Alfabeta - anno V - n. 53 - ottobre 1983

Unaleg11,.1nausea Le vieche hanno un cuore. Festival lnttmaxionale del Teatro in piazza Santarcangclo di Romagna, 28 giugno-IO luglio 1983 Fr:stlvallnttatro Polverigi, 2-9 luglio I983 U na leggera nausea ci assale per i festival, le rassegne, le manifestazioni che quest'anno hanno invaso l'Italia, tanto esse hanno mostrato fragilità, ripetitività, confusione, sia che fossero di vecchia data, sia che apparissero per l'estate di necessità. 11 teatro estivo ~ diventato preda di occasioni, ha esaurito gran parte della vitalità, si ~ tradito in infiniti rivoli; soprattutto, il teatro dei festival, delle rassegne, delle manifestazioni non ha quasi più una ragione di alterità, di esperienza, vorrei dire che non ha nemmeno gran ragione di consumo e di cultura. In altre parole, non sembra più essere in grado nemmeno di entrare nelle esigenze moderne di mercato e di comunicazione. Se si prendono in considerazione quelli di Santarcangelo, per esempio (noblast obligt), le osservazioni che Ugo Volli - senza essere loro nemico, tutt'altro - ha redatto sull'edizione di quest'anno ci sopraggiungono come notizie di una perdila sccc:adi qualità, di una indiscussa deprivazione di tensione, con un ammonimento severo per il futuro: andare al di là delle titolazioni e delle convenzioni. Il limite di guardia è stato raggiunto anche da Polverigi, dove il vano inseguire novità a ogni costo si accompagna a una pretesa e mai praticata nozione di laboratorio e di confronto, e per i cui promotori l'indifferenza nei confronti delle scelte dal punto di vista tematico è depauperata da un illusorio predominio del «meglio» alJ'inscgna di un mercato comune europeo «depresso». Santarcangclo e Polverigi hanno già una tradizione, e sono quasi delle istituzioni, ma non basta loro essere partiti da un'alterità di gruppo o di esperienze per sentirsi autorizzati a perseguire annate e stagioni a occhi chiusi. Voglio dire che senza un'analisi dei passaggi obbligati, senza un'indagine sui processi mutati, può capitare anche a loro di precipitare nel vuoto delle occasioni, preda del meccanismo produttivo stagionale. La nostalgia animatrice alla Jean Vilar, per intenderci, o quella di base del teatro di gruppo, sono talmente ininfluenti oggi da non poter qui essere seriamente riprese in considerazione. Nemmeno l'esperienza a suo modo salutare del «terzo teatro» o quella ben centrata della spettacolarità metropolitana sono in grado di resistere all'usura. li teatro politico di gruppo è stato divorato dagli stessi suoi animatori o padrini che siano stati, anzi è stato senza pietà assassinato; altrettanto la sensibilità culturale popolare-antropologica è stata manomessa da troppi sodalizi politico-amministrativi, e immessa in contaminazioni di comodo e senza fede. Il terzo teatro (cosiddetto) è passato dall'originario e dal profondo al prodotto e allo spettacolo senza gran dignità intellettuale e senza pratiche di rilievo. La spettacolarità, infine, ha giocato troppo meccanicamente con la metropoli e i mass-media per non rimanemc prigioniera, e in un certo modo si è svuotata delle sue innegabili ragioni di cittadinanza. Q ueste semplici annotazioni dovrebbero mettere in allarme non soltanto i promotori di Santarcangelo e di Polverigi, ma tutti gli altri promotori - che so? da Asti al Beat 72, per citare i più provveduti e non tener conto della miriade di dilettanti, autoproclamantisi tali, di festival, di rassegne, di manifestazioni. L'allarme, infatti, non può che essere generale, e includere quindi amministratori, politici, critici, associazioni, spettatori, tutti quanti responsabili per un verso o per l'altro di una decadenza clamorosa di rappresentatività pubblica e di plausibilità artistica. Ciò non significa necessariamente moraleggiare a vuoto, né richiamarsi ad austerità ridicole, quanto-reggere-per chi ne ha voglia e può - a una tensione, a una comunicatività, di natura moderna e tendenzialmente contemporanea, e impedire che nuove sensibilità, nuove attitudini non soltanto non trovino più riscontro ma ne siano profondamente impedite. Per chi crede, dopo tutto e malgrado tutto, nel movimento e nel mutamento, e considera tuttora il teatro un'esperienza e un'accensione (e il discorso è rivolto a cotitolo di dife5a, è rintracciabile laddove clementi didattici e momenti espressivi si danno la mano e fon.ano in un certo senso la indifferenza e la politicizzazionedelle scelte (Fara Sabina, Montalcino, ccc.). Non voglio qui - ritenendomi anch'io colpevole, senz'altro, di occasioni sia pure mondane, come invasioni leggere di paesaggio, - riporre eccessive po-, sitività su incontri che periodicamente sono stati fatti (da Cosenza a Salerno) e che, essendo nati in tempi stretti di ricerca e con riOes• sioni operative piuttosto chiare, adesso stentano a far presa, a essere utili. Insomma, l'estate italiana non va più per la ricerca, le è ostile e provvisoria, comunque la si prende, dal versante idiotamcntc culturale pressapochista a qucUo stupidamente espositivo d'arte prete5a; come pure dal versante del pubblico, instradato verso informazioni tradite in partenza o comunicazioni sollevate di qualsiasi rapprescngcttualità da parte di questo o quell'ente promotore, senza ch.ie• dersi le ragioni elementari di mercato e di cultura, di pubblico e di luoghi, sotto l'assillo di temibili perdite di continuità di sovvenzioni e di una disperata ricerca di agenzia privilegiata di consumi, sotto l'istinto di una troppo scoperta soggettività di novità, su un gioco per altro ormai chiaramente dettato da altri, per quanto riguarda il mercato, e decisamente per• duto e disperso, per quanto riguar• da le scoperte dall'ingegno evidente e dal senso fuggitivo. Toccherebbe ragionevolmente alla critica, allora, essere la più distanziata possibile, la più severa p()Wbilmente, senza farsi cullare dalla dolce vertigine dei passaggi estivi, dalla molteplicità ingann~ vole delle occasioni; in particolare, come bo tentato qui di spiega• re, dall'ossessiva e ruminante con• fusione delle offerte di mercato e storo, evidentemente, non ai praticanti del consenso e del-" l'abitudine), non può che suonare condanna a morte quell'abborracciare ormai titolazioni geniali e insensibili anziché preparare coscienziosamente cd eseguire progetti e programmi; quel perdere di consistenza di tali titolazioni per strada anziché confermarvisi e insistervi esemplannente (i grandi miraggi e colpi al cuore (!) di Santarcangelo, le promesse non mantenute e sviate del Beat 72 per gli annali (!) del teatro, ecc. ecc.). Troppo spesso, d'altronde, si suole contaminare modalità divcr• se, oppure attraversare campi non conosciuti, non in funzione di esperienze che si incrocino utilmente, ma di elenchi da far solidalizzare politicamente; né in funzione di specifici che sono saltati e riammessi doverosamente, ma per sollecitazioni di facciata e di superficie. Questo panorama non è privo di generosi sforzi, di impegni complessi, di fatiche inenarrabili, di in· grati rifiuti; ma tutti sanno che es• so soggiace a costrizioni amministrative sempre più livellatrici e a ammonizioni politiche di dubbia generosità e di cattive abitudini, per compromessi spesso evitabili e per atroci intrusioni di incompetenza. Di conseguenza il nostro discorso non vuole lasciare in libertà lo spostamento progressivo verso il superfluo e l'inutile, e non desidera essere catastrofico rispetto a questo evidente stato di crisi del fare teatro di incontri, di confronti, ma intende sollecitare reazioni e stimolare risposte. Allora non basta sottolineare che non sono più tanto le metropoli, le grandi città, a esprimere esigenze e mutamenti, esperienze e movimento, quanto luoghi di periferia, con gruppi che lavorano duramente e in silenzio (da Cesena a Caserta, da Scandicci a Mantova, da Perugia a Cagliari, ecc.); né basta aggiungere che un minimo di ragionevolezza, senz'altro a Particolareda una incisione rappruentant"ecomici ilaliani. Zanni suggerisceun discono amo1010 a PantJJloM,mentre q~t'ullimo •l mostrato• anche da un vistosissimofallo tatività; o dal versante stesso della critica, costretta a giri di valzer e di chilometri per spettacoli che soltanto in pochissimicasi sono fc• deli a se stessi, e perciò sopraffatta dagli impegni e dai luoghi senza possibilità di riflettere agilmente su quel che succede dentro e fuori le rassegne, i festival, le manifestarioni. A questo punto la corruzione (pardon, l'abbassamento di tensione), sia soggettiva che pubblica, sia di gruppo che di or• ganizzazione, sia di amministrazione che di produttività, sia di informazione che di comunicazione, diventa talmente estesa e non arginabilc da meritare qualche rilievo, almeno a titolo di difesa. Il primo: di una illusoria tentazione di salvaguardia da parte di questo o quel gruppo di prestigio, comunque e dovunque esso sia costretto o voglia presentarsi, in nome evidentemente di ragioni di borsa e di cassetta, non di esperienza e di espressività, senza nemmeno chiedere garanzie di al· lestimento oppure pretendere da se stessi il massimodi rendimento. li secondo: di una sempre più approssimativa tentazione di prodi cultura come etichettatura utile e rispettabile - e, per quel che ci riguarda sensibilmente, dalle deprivazioni e dal travestimento delle espericnz.ee dei modi della con• temporaneità nel corso delle estati nazionali. Che fare allora? l'esaltazione dell'alterità degli anni '68, politica o di linguaggio che fosse, presupponeva un nemico ben individuato e un combattimento totale, di intervento o rifiuto che fos.sc.La lotta contro gli specificie l'adesione a una sensibilità degli anni 77 voleva imporre una diffusa modalità di intervento artistico e un complice intendimento di politicità segreta. Negli anni '80 l'esaurimento del• l'alterità alle istituzioni e alle produttività, il dissanguarsi delle pratiche contaminate per interdisciplinarità indistinta e per devitaliz. zazione artistica, ci inducono a promuovere e a prospettare tatti• che che impongano una produttività alta e una professionalità non tradizionale, una energia ad alto carico di tensione e una diffusione di modalità contemporanee basse, e quindi a sostenere e imporre una strategia che su attitudini non obsolete né tràditc ci avvolga di visioni, di visionarictà, di velocità, di percettività, in grado di reggere tensioni e di sostenere differenze per .sensibilità.Attitudine e .sensibilità come allenamento, come riconoscimento allora (e qui ci fermiamo per il momento sull'argomento principe degli anni ottania). T utto ciò non va considerato fatuità predicatoria, né perdizione intellettualistica, in quanto si accompagna e sta in contrasto con l'attuale chiusura istihr zionale, con la mancanza di rigore delle pratiche teatrali moderne - non soltanto in Italia, e non soltanto per l'estate. In questo senso, tutto ciò fcrisoc le dispute atroci tra effimero e struttun, avanguardia e mas5--IDC· dia, festa e dopofesta, tradizione e avanguardia, che sempre pii) stan· ca.mentea onore del vero tagliano a fettine il c:ocomcro(C0550!d) elle estati italiane. Tutto ciò, infine, deve naturalmente servi.re come dispositivo di dibattito, come ser• vizio di dialogo, e non essere con• sidcrato risentimento paramente soggettivo, o uscita di scena personale. Parados.salmentc ma non troppo, festival, rassegne, manifestazioni, non avrebbero alcunché da perdere, se organizzatori, amministratori, critici e via dicendo, soprattutto se gruppi e pubblico, spettatori e artisti, chiedessero e imponessero un anoo di intervallo, una stagione di meritato riposo e di utili vacanze, e nel frattempo ragionassero e dibattessero su questo innegabile e indistinto abbassamento di attese e di offerte, di proposte e di risultati, delle estati teatrali italiane. Un anno di aspettativa, insomma, come prevenzione di malattia cronica e magari con il congela· mento delle sovvenzioni. Ma resti un ammonimento soltanto, in modo che davvero non mi si cataloghi subito come restauratore e non mi si imputi una qualcbc catastrofe reazionaria. POJt-scriptum. Qui non si fa che cenno delle grandi manifestazioni tipo Spoleto o Biennale, o di altre appena sorte come Benevento, e bisognerebbe avere una pagina a disposizione per tante elaborazio. ni regionali, provinciali, comunali. Le grandi istituzioni cootano su una regolarità e su una convenzione mondano-culturali per nulla appetitose e coraggjosc; le pia:ole (o nuove) istillmOni compiono una fatica del diavolo a mescolare svago e cultura, istruzione e socialità, senza venirne fuori arditamente, per scoperte. Stranamente si vuole l'antico e si assoggetta il nuovo, si auspicano grandi pubblici e si alzano prodigiosamente i prezzi, si nutrono~ stalgie irTCCUperabielisi stringono i rapporti privilegiati tra pubblico e prodotti. Insomma, il richiamo alla professionalità questa volta va inteso da gran parte di questi ri- ~ chiami pubblici come un «lasciate- ~ ci lavorare», senza poi avere gran- ·c7a de entusiasmo per quel che si fa, &. come un .-:nonci rompete le scat~ i le con eh.i sa quali mai novith, ~ senza nemmeno avere il coraggio 1 di dichiararlo e di imporlo. g Cosl il malessere, che pure t 0 csteso, si finge di bkx:carlo. E il ~ teatro fa da paravento moodano e e da timor divino contro la paura dc- ! gli acciacchi e della dissipazione. i

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