Alfabeta - anno V - n. 53 - ottobre 1983

Asiaticai Pesaro XIXMostra i.Dtcmazionale dd nuovo docma (Pesaro, I 1-19giugno 1983) Giorgio De Vincenti saro di autori affennati come Lino Brocka, Mikc dc Leon o Ishmael Bcmal, pur non autorizzando risposte definitive, contiene tuttavia clementi non secondari di dibatti- L a XIX Mostra intcmazionaJe del-nuovo cinema di Pesaro, to. dedicata alle cinematografie orientali, ha avuto come assi por- P rendiamo per esempio il caso più noto, il cinema di Lino Brocka, che ha conosciumobilitazione di una parte consistente delle forze intellettuali e culturali nazionali, la risposta in qualche modo alternativa, o per lo meno di opposizione dichiarata, appare priva di riferimenti culturali, appare cioè come una sorta di conferma involontaria degli stessi assunti di partenza del programma di Marcos: l'assenza di un terreno tanti il cinema filippino e quello cli Hong Kong. L'uno e l'altro (così come le altre sette cinematografie J)Tesentialla mostra) banno dato luogo a vivaci resoconti della critica; e tuttavia in entrambi ci sono clementi che vanno sottolineati più di quanto sia stato fatto. Per guanto riguarda il cinema filippino, le questioni da riproporre sono almeno due: la prima, che va ben al di là del fatto cinematografico, ~ quella dell'identità del popolo filippino; la seconda riguarda la censura istituzionale e politica - nel quadro di quella che il regime di Marcos chiama la «nuova società.. Il primo problema trova radici nella secolare occupazione spagnola dell'arcipelago, scalzata solo all'inizio di questo secolo dalla sua:essiva occupazione statunitense durata fino ad anni recenti (con una breve parentesi giapponese durante la guerra). Uno dei risultati più vistosi di questo intrigo secolare~ la presenza di una popolazione alla perenne ricerca di un'identità, nazionale e culturale. Risultato che appare ben chiaro anche a una prima lettura dei film filippini visti a Pesaro: alla grande varietà dei tratti somatici, che oscillano - sul comune ceppo malese - tra i due estremi spagnolo e cinese, si accompagnano modelli di vita e culturali di pretto stampo occidentale, la cui adozione tuttavia appare non priva di problemi e forzature. Ed t qui che la questione della censura si saJda strettamente a quella dell'identità nazionale filippina. Il programma della censura dopo la proclamazione della legge marziale (21 settembre 1m), infatti, prevede un intervento che non t solo palesemente repressivo sul piano delle libertà civili e politiche, ma che si dichiara anche finalizzato a un -senso di responsabilità nazionale» - responsabilità che si identifica con la partecipazione alla costruzione di quella nuova società propugnata dal regime di Marcos, che vuole essere anzitutto processo di omologazione sociale e affermazione di un'identità filippina nella direzione di una modernizzazione intesa dichiaratamente come una più decisa e totale occidenta.liz:zazjoned-el Paese. Ecco allora profilarsi una possibile chiave interpretativa, non dico esaustiva, ma almeno capace di schiudere la porta a domande pertinenti: se con buona approssimazione le cose stanno cosi, se ci~ di fronte al problema nazionale della ricerca d'identità il regime di Marcos (come risulta anche da un passo riportato nel secondo volume di ;;:; documentazione, pubblicato dalla ~ mostra per le edizioni Marsilio) -~ ~r:'::Cm!:::~:~!i:=~=a: i rione del Paese, dell'omologa.zio- ~ ne culturale e della pace sociale, ] possiamo chiederci con maggiore ,g chiarezza quale sia il ruolo giocato 0 dal cinema filippino in tutto que- ~ sto, e in particolare la funzione C svolta dai cineasti più impegnati, ! le cui opere sono in parte note an- i che agli specialisti occidentali. 1i Qò che si t potuto vedere a Pcto recentemente (e in gran parte culturale nazionale da cui trarre proprio grazie a Pesaro) una certa affermazione internazionale. La critica ha paragonato questo autore a cineasti come Godard, Fassbinder, Pasolini. E se un certo modo di rappresentare la violenza e il sesso, congiunto in alcuni film alla riflessione sul fenomeno del divismo, può far pensare a questi autori, c't però da segnalare una differenza di non poco conto: nel caso di quei cineasti europei il contesto cu.Jturalein cui si è prodotta la loro opera è identificabile e stabilizzato, i punti di riferimento sono riconoscibili, siccht il loro discorso acquista immediatamente, per cosl dire, una sua chiarezza ed alimento per la costruzione di una società che sappia individuarsiculturalmente e socialmente rispetto ai modi di vita occidentali. Da questo punto di vista il cinema di Brocka, piuttosto che eversivo, appare a uno sguardo più ap• profondito come una presa d'atto degli stessi assunti di partenza del programma della «nuova società», e forse anche come una dichiarazione di impotenza degli intellettuali rispetto al problema della ricerca di un'identità nazionale (diefficacia. , Non solo le analisi del linguag- f gio svolt~ da Ga:ct~rd,ma a~che. ~ _ \ le tragedie pasoliruane o ,. . -:-- • ' i migliori film 'realisti' . ~ di Fassbindcr divengo- • no significanti, oltre che per -.:_ . .. , • quanto contengono, anche per ~ quanto rifiutano, per le cancellazioni e le espunzioni di cui si rendono protagonisti come testi fllmi- / ci, e ciò sia sul piano dei contenuti \ ~ che su quello del linguaggio. In altre parole, i fi.Jmdi questi cineasti producono senso in un preciso lavoro di critica del proprio contesto culturale- un contesto che t per lo più noto, almeno nei suoi tratti generali, e che comunque quei testi filmicicontribuiscono a interpretare, delucidare, disvelare. Il lavoro dei rinvii e degli scarti, della scrittura e della cancellazione, dell'assunzione e del rifiuto, t la sostanza stessa di quei film. Gzan Farù1a. Ora, ciò non sembra accadere nel caso del cineasta filippino: dietro il testo esplicito dei suoi film sembra aprirsi per lo più un vuoto, l'assenza di un contesto che concorra a produrre senso, un contesto assunto come tale e partecipe dell'operazione di scrittura. Cosl ad esempio Angela Markado alterna, a una prima parte (centrata sullo stupro della protagonista da parte di una banda) che fa pensare a Fassbinder e al primo Pasolini, una seconda parte (la vendetta di lei) che denuncia piattamente l'origine fumettistica del soggetto, senza mostrare alcun lavoro del testo su questa matrice. E Kon1robe.rsyal, con la sua storia di una diva e della regista che l'ha 'costruita', non sembra andare più in là di un generico e stereotipato discorso critico sui meccanismi di fabbricazione di una star (la seconda parte è un'esplicita e facile accettazione delle regole del melodramma, e appare coniugare insieme il piacere dell'autore per il genere e lo sguardo al mercato interno cui il film è destinato). Questo vuoto, questa assenza del contesto, t precisamente il luogo in cui si instaura sia l'operazione censoria, sia la più generale proposta di modernizzazione del regime di Marcos, sia il problema di fondo della ricerca d'identità del popolo filippino. Di fronte al programma governativo di un'occidentalizzazione del Paese, attuata sl attraverso precisi rapporti economici, ma anche attraverso la chiarazione che appare confermata da film come Ballerà più forte il tuo cuore? di Mike de Leon). Una constatazione, questa, che tra l'altro potrebbe mostrare il suo peso anche successivamente a un'eventuale sconfitta del regime sul piano politico. Va detto, a questo punto, che un giudizio così severo lascia impregiudicate due questioni delle quali chi scrive non vuole minimamente tacere l'importanza. La prima è che Lino Brocka è un autore quanto mai prolifico, e che i pochi suoi film visti in Occidente non consentono di tracciare un quadro complessivodella sua opera; la seconda è l'esistenza di una effettiva battaglia instaurata dai cineasti fi. lippini contro la censura di Marcos, battaglia di cui è prova anche il documento inviato da Brocka e de Leon a Pesaro quest'anno, in cui si denunciano i poteri illimitati che una recente decisione della Corte suprema concede in materia censoria al presidente filippino. Queste considerazioni vietano di attribuire a quanto detto finora valore maggiore della semplice formulazione di un'ipotesi da verificare. Un'ipotesi che in ogni caso sembra più produttiva del puro e semplice coro di elogi di cui il cinema di Brocka è stato oggetto presso la critica occidentale negli ultimissimi anni. Queste brevi osservazioni sul cinema filippino non possono trascurare neppure un ultimo confronto prospettato dalla critica: quello con il «cinema nòvo» brasiliano. Anche a tale proposito non si può non registrare uno scarto profondo tra il lavoro per cosl dire in profondità svolto vent'anni fa da Glauber Rocha e compagni - impegnati in una critica politica che passava attraverso l'interrogazione sugli aspetti più sedimentati dell'eterogenea cultura brasiliana - e il lavoro dei cineasti filippini, che nei casi migliori sembra trovare il proprio humus al massimo in un ripensamento degli aspetti di superficie della colonizzazione europea e americana (con l"eccezione, si direbbe, di un film come ltim, di Mike de Leon). A nche il discorso sul cinema di Hong Kong sembra consentire una riflessione di doppio grado, che investe sia le caratteristiche di quella cinematografia sia il modo in cui essa è stata letta dai critici occidentali. Per quanto riguarda il primo punto, non si può non partire dal• l'osservazione della notevole dovizia di mezzi tecnici ed economici a disposizione dei cineasti di laggiù, dovuta alla presenza di una florida industria cinematografica; allo stesso tempo colpisce il grado di occidentalizzazione raggiunto da questo piccolo territorio, che appare come una sconcertante appendice asiatica delle metropoli occidentali. Anche qui, insomma, analogamente a quanto si è detto per le Filippine, appare centrale il problema dell'identità nazionale, problema che è stato sollevato esplicitamente dai giovani critici e cineasti presenti alla mostra. Ed è forse spiegabile in questa chiave non soltanto l'adozione massiccia del cinema di genere, ma anche - ed è questo, mi pare, l'elemento più rilevante - l'incapacità di questi film, o almeno la loro scarsa propensione, a lavorare sulla più antica tradizione culturale cinese. Cosl un problema di identità è sollevato non solo dalle commedie dei fratelli Hui, come Moderne guardie del corpo, il cui umorismo di netto stampo britannico non va oltre la ripetitività di sketch televisivi, ma anche da un autore celebrato come KingHu, di cui si sono visti a Pesaro film come Pioggia opportuna sulla montagna vuota e La. crisi del padiglione del gel.somi• no d'inverno, considerato da molti come il suo capolavoro. Pur ispirati alla tradizione dell'Opera di Pechino, questi film non sembrano lavorarla in profondità, e appaiono tutto sommato come superficiali giochi coreografici, il cui massimo debito sembra andare a certi modi del cinema di genere di stampo occidentale. Va aggiunto piuttosto che nell'ambito della commedia gongfu appare più interessante un filmcome Il figliol prodigo, di Hong Jinbao, che rivela una profonda e diretta conoscenza del repertorio «marziale,-del teatro cinese. L'autore - approdato recentemente alla regia, dopo essere stato attore teatrale e cinematografico, istruttore di arti marziali e coreografo (tra l'altro per la Crisi del padiglione di King Hu), - lo fa giocare con solo apparente semplicità e con un uso sapiente degli stereotipi: il risultato è un film che mostra una certa eleganza proprio nel suo rispetto delle convenzioni e nella tta.sparenza dei suoi elementi costitutivi e cui non appare estraneo un lavoro su precisi elementi della cultura popolare cinese. Un problema di identità culturale (talvolta assunto direttamente come tale) è mostrato anche dal «nuovo cinemai- di Hong Kong, manifestatosi nella seconda metà degli anni settanta, quando una serie di giovani registi realizzò per la televisione locale film a soggetto e documentari di un certo rilievo. Approdati al cinema, questi autori (in particolare Patrick Tam, Ann Hui, Tsui Hark e Alex Cheung) costituiscono il contingente più interessante dell'odierno cinema di Hong Kong. Le loro opere cinematografiche si iscrivono pressoché tutte all'interno dei generi tradizionali - dal dramma psicologico al thriller, dalla commedia gongfu al cinema di avventure alla James Bond, - e fanno ampio uso dei modi stilistici del cinema occidentale, che questi autori conoscono bene, anche in virtù di studi specialistici fatti in Europa o negli Stati uniti. Questi film appaiono come la presa d'atto di una profonda, ormai avvenuta colonizzazione, che fa sl che la generazione del dopoguerra (per sua stessa dichiarazione) stenti a riconoscere la propria appartenenza culturale; ed è cosl che questi film splendenti e dalle tecniche sofisticate sembrano covare la stessa rabbia impotente che ispira le azioni di tanti dei loro protagonisti. Ne risulta un panorama desolato, in cui la crudeltà e il sangue sono l'unica risposta possibile - e comunque sempre ben circoscritta aUa privatezza e all'illegalità - che i cinesi di Hong Kong sembrano poter dare al processo coloniale avvenuto sul loro territorio. li discorso sullo stile occidentale di questi film acquista allora una valenza nuova, che va ben al di là dell'astratto criterio di professionalità, cui si è attenuta per lo più la critica occidentale nei propri resoconti: esso prova, infatti, il grado di penetrazione della cultura occidentale in quei Paesi, e serve a definire una sorta di punto di partenza per ogni discorso ulteriore, che non potrà non tener conto di questo rapporto problematico, e spesso sofferto, tra ciò che si è e ciò che si sarebbe potuto essere. Una conferma indiretta di quanto detto è costituita dal film Madama Dong, della regista Shu Shuen (Tang), una delle più notevoli opere viste alla mostra, considerata come un antesignano del nuovo cinema di Hong Kong (il filmè del 1969). La regista utilizza tecniche sofisticate (la post-sincronizzazione e il mixaggio furono fatti negli Stati uniti) al servizio di uno stile severo quanto innovativo sul piano del linguaggionell'ambito delle convenzioni del cinema di Hong Kong (l'eccellente fotografia è firmata da Subrata Mitra, un indiano ehe aveva lavorato con Satyajit Ray). Ne risulta un film che è insieme una riflessione sul cinema e sui valori antichi della cultura cinese (la storia si svolge durante la dinastia Ming), considerati sotto una precisa prospettiva critica, ma anche come valori da rielaborare in quanto momenti 'alti' della storia cinese. Ed è per questo motivoche in Madama Dong il piacere della visione è anche piacere della riflessione, operazione intellettuale che rilegge il passato per porre interrogativi al presente.

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