mente tutto l'ambiente. Ci troviamo come di fronte alle pennellate di un Rauschcnbcrg. il quaJc dice che la vita non basta e che l'arte non basta e che bisogna riempire il vuoto con vita e arte. Rispetto alle periferie urbane - di cui non mi sento di decretare una condanna totale, mi sembrerebbe un atteggiamento reazionario, - c'è da dire che sono una espressione della cacofonia democratica. Una democrazia ha un margine di disordine notevole e deve averlo, ma l'intervento dell'architetto ci deve essere, con il pone su questa cacofonia dei segni che riescano a riscattarla. a darle un significato positivo. D. Ciol, nel tanno delle grandi periferie, basterebbe un numero su~me di episodi di nocevole qualità per rentkrlo viyibilt? Zevi. Proprio cosi. Le periferie sono squaJlide per colpa dei regolamenti ·ediliri comunali che le hanno compresse, uniformate, appiattite. E poi son state costruite dalla speculazione senza architetti, ma attraverso ingegneri, geometri, di scarsa qualità. Però bisogna per prima cosa essere in grado di riconoscere il significato estetico di queste periferie. ln questo senso la pop-art, il riconoscimento del significato estetico del brutto, ha permeato durevolmente la cultura americana. Una città non può essere tutta bella, la beatiful city è stato un ideale ottocentesco, francese, accademico, una citta di monumenti nauseante. La ciuà è fatta di poesia e prosa, e dalla dialettica tra questi livelli: parolacce e gergo rientrano nel linguaggio della città. Il problema è.che bisogna capire la periferia - non rifiutarla in blocco, ma intervenire per darle un'anima, per estrarre da questo panorama, oggi abbastanza ingrato, un'immagine che sia invece attiva. D. L'archittno, con il suo attuale modello profusionale, avrà lii possibilitd di inserirsi in questo ttn• tativo di ri.scano? kvi. È un grosso problema. L'architetto può tutto; se davvero vuole produrre opere pregevoli, prima o poi riesce a farle. La storia dell'architettura antica e moderna dimostra come sia questione di sacrificio e di fatica, di costi psicologicied esistenziali. Siamo di fronte a problemi cosl vasti che l'organizzazjone professionaJe normale degli architetti non funziona più. È una cosa che mi interessa particolarmente in questo periodo, percbt si constata - non solo nelle zo. ne terremotate del sud ma anche nelle grandi città - che il metodo seguito finora, cioè un'amministrazione comunaJe che fa il piano regolatore, una commissione urbanistica, una commissione edilitd edilizie tki comuni. Zevi. Si, ma e.onfunzioni di controllo, non operative: questo è il difetto. I piccoli insediamenti, i piccoli comuni, sono dì due tipi: quelli che hanno un'autonomia economica, e quelli che non l'hanno. l comuni terremotati dell'irpinia non possono essere ricostruiti cosi com'erano, perché erano già in crisi e in abbandono prima del terremoto. In questo caso non si può difendere •l'unità del borgo•, ma solo attivare processi che l'urbanistica moderna ha d'aJtronde ben formulato. Si tratta di unire una serie di comuni, per le zone terremotate si parla di sedici, venti comuni uniti assieme; al baricentro di questi villaggi costruite un nuovo polo di attività terziarie - scuole, sanità, tempo libero, ccc. - in modo che la conservazione di questi centri sia relativa aJlo sviluppo di questo baricentro che serve tutti i nuclei. Questo polo superiore di attività terziarie può rivitalizzare una serie di insediamenti sparsi nel territorio e create l'effetto città - insomma, frammenti metropolitani sparsi, come dice Aldo Loris Rossi. li problema della conservazione è un problema di intervento, non di sclerosi. Per questo sono contrario ad atteggiamenti neoconservatori che vorrebbero ricostruire i paesi terremotati dove erano e come erano, senza considerare che già non funzionavano. D. Cht si fa di periferie e borgate artuali? Zevi. Sono contrario a risolvere a pezzi e bocconi i problemi della città. A Roma l'amministrazione di sinistra ha completamente abdicato ai suoi compiti urbanistici. Ha affrontato in maniera non molto incisiva i problemi del centro storico e ha affrontato con energia i problemi delle borgate, perimetrandole e dotandole dei necessari servizi. Il risultato della sommatoria tra centro storico sclerotizzato e borgate vitalizzate singolarmente con i servizi non porta a una nuova immagine della città - non porta cioè alla sensazione che ci sia un disegno per il futuro. Partendo da concezioni pessimistiche rispetto alla possibilità di poter attuare il piano regolatore generaJe, gli amministratori di sinistra hanno proceduto a Roma per capitoli. zia e magari quaJche professionista incaricato di dare un aiuto sporadico all'amministrazione, è qual- ' cosa che non funziona. I problemi oggi sono taJi che bisogna creare quelle che gli inglesi chiamano «agtncia•, ovvero enti dotati di una certa autonomia da] potere politico, come avviene appunto in Inghilterra. Una volta che il pote• re politico ba deciso di costruire una ntw town, le agtncies provve• dono a tutto il processo di realizza- Il risultato è che l'abusivismo conzione e creano le news towns in no- tinua e le borgate non sono affatto tevole autonomia. Se si vogliono reintegrate con il centro, ma restafare dei lavori importanti, per no dei poli non autosufficienti perN esempio del tipo parco del colle ché manca un disegno policentria Oppio o della via Appia, bisogne- co. I servizi a livello superiore a ·i rà arrivare a creare queste agen- Roma esistono, ma si tratta di &. eia, cioè dei gruppi di professioni- decentrarli e questo non si fa solo i sti che non siano solo degli incari• ponando l'acqua, la luce e il gas -. ca.ti dell'autorità comunale, sog- nelle borgate, ma trovando per ] getti alle varie commissioni, ma ogni zona periferica una funzione g persone ed enti con una notevole urbana che riguardi tutta la città. 0 responsabilizzazione. D. Ptr portare un flusso di intt· ~ D. I regol~nli edilizi, i piani rusi dalla città verso la singola t: urbanistici di grandi e piccoli co- borgata? S muni sono redatti spesso da archi- Zevi. Naturalmente. ;! tttri, e architetti sono presenti an- D. Non ci sono stati in questo "'5 cM nelle commissioni urbanistiche senso i tentativi di Nicolini con il decentramento culturale? Zevi. Nicolini ha sfruttato il metrò per portare la gente delle borgate al centro storico - e questo è anche giusto, perché il centro storie.o non può essere proprietà esclusiva di quelli che vi abitano. Però non è avvenuto l'inverso. E poi non si tratta ·di rappresentazioni effimere: ci vogliono strutture permanenti, che diano una funzione urbana aJle borgate, perché assumano in st una funzione centrale per tutta la città. D. Cera ilctnrro musica/tal Testaccio.. Questa non è già una strullura? Zevi. Certo, questo sì. Ma c'è lo scandalo dell'auditorium per la sede dove opeta, che è una sala preBaGatrinò. sa in affitto dal Vaticano. È uno degli sconci più grossi che l'amministrazione di sinistra non ha saputo risolvere. D. Quindi la proposta per la città futura potrebbe essere il creare poli periferici come poli di iflleresse per tuua la ciuà? Zevi. Sì. Come in certe zone vi sono dei piccoli comuni non autosufficienti per i quali bisogna creare dei poli commerciali, culturali, di interesse comune, nelle città grandi si tratta di decentrare i servizi per indurre le periferie ad assumere una funzione urbana che è data da strutture permanenti al servizio di tutta la città. I centri storici D. Cht alleggiamtnto si augura nti confronti dei centri storici? .Zevi. Quello di rivitalizzarli, prima di ricostruirli. Se sono vitali, si può avere un atteggiamento di conservazione; se no, si tratta di trovare i mezzi e fare un'opera attiva per rigenerarli. In ogni caso, anche all'interno dei centri storici, io sono sempre per la presenza dell'architettura contemporanea - una presenza qualificata che deve far capire che la conservazione dei centri storici è un'operazione della cultura moderna, non di quella conservatrice: occorrono, insomma, inserti moderni nel centro storico per far capire che lo si difende. Anche nel centro storico si costruisce e si rinnova, ma con il criterio del falso antico, e in questo caso non si tratta più di difesa ma di sclerosi, che va rifiutata. La difesa del centro storico non è un atteggiamento nostalgico e reazionario, che dimentica il presente, ma un atteggiamento attivo, ag• gressivo, che conserva il centro storico perché è necessario oggi. Di questa necessità dà il segno con inserti contemporanei, non importa se grandi o piccoli - può essere anche una maniglia, ma se la si inserisce, deve essere moderna, non copiata dall'antico. Tra poco, invece, non potremo più scrivere una storia dell'architettura perché tutti i monumenti vengono sempre più profondamente alterati nei loro organismi e nella grana dei loro materiali da lavori fatti dalle Sovrintendenze, quasi sempre deleteri. C'è la retorica dell'architettura aulica come quella dell'artigianato. Non c'è. niente di più osceno dello pseudorustico: il Partenone si può forse copiare, ma un casale contadino è proprio impossibile da rifare. D. E I' amort rinascenteper I' archittllura dei centri storici, per l'architellura tradizionale? Zevi. Dopo la guerra ho combattuto perché il ponte a Santa Trinita di Firenze fosse ricostruito con la tecnica originaria, quella dell'Ammannati, e non con il cemento armato; il metodo di costruzione è parte integrante del processo architettonico. Considerazioni generali D. Penso che quando 1m archi• teuo progttra, abbia una ipotesi formale di partenza di cui è inna• morato, e che dipe11dastrellameme dalla sua personalità, più cht dalla realtà in cui si trova a operare... Zevi. Un atteggiamento «artistico,., cioè una scelta di forme stilistiche vecchie, assonanti a certi archetipi o tradizioni, è una scelta gratuita che porta a risultati arbitrari. Ben diverso è verificare una ipotesi, che è un procedimento scientifico. Una cosa è il capriccio formalistico, altra è una visione di qualsiasi tipo, plastica. spaziale, tecnologica, che poi viene verificata. Questa mi pare la via giusta. Certo l'architettura non viene fuori solo dall'analisi. Una volta chiarito il programma ci vuole lo scatto della fantasia, l'immagine che viene nel corso del processo analitico; il lavoro diviene allora la verifica dell'immagine sui dati. ln ogni tipo di operazione c'è una scelta, statica ha un significato straordinario: la felicità della vita invece della sicurezza stabile dell'edificio. D. Mi viene in mente una frase di Marco Dezzi Bardeschi: «/ popoli felici non hanno architettura». L'immagine stabile, statica tkll'architettura corrispondtrtbbe a un'immagine del potere... Zevi. È una frase simpatica, è come dire che i popoli felici non hanno eroi. I popoli, però, non sono molto felici e allora hanno bisogno di eroi. D. Per rispecchiarsiin loro? Ztvi. Sì, contribuiscono alla loro felicità. D. Ma l'architeuura si è sempre posto il problema, almeno in terrnini teorici, di salvaredalla infelicità. La stessa distinzione che lei mi faceva tra spazi liberatori e spazi schiavizzanti.. • Zevi. Proprio per questo la frase di Dezzi è simpatica ma non regge. La maggior parte degli spazi edificati sono spazi-prigione, c'è assolutamente bisogno di liberazione. In Italia, salvo qualche periodo, c'è sempre stata un'architettura di eroi - si vede che l'Italia ha bisogno di eroi ... D. Un edificio o situazione arcl1ite11011ichae lei riconosce come liberatoria, un esempio in positivo delle sue asserzio11i? Zevi. Le ultime architetture di Michelucci. Lui proprio in tarda età ha acquistato straordinarie capacità liberatorie. Dalla chiesa dell'autostrada del Sole all'ospedale di Sarzana ora in costruzione, il suo intento è sempre stato liberatorio: ha sempre voluto che il singolo edificio fosse un catalizzatore della vita comunitaria. Quando voleva che la gente camminasse sul tetto della chiesa dcli'Autostrada, voleva un edificio non a sé stante ma fruibile. D. Lei quindi, come storico e critico dell'architettura, no11guarda tanto a un fatto esteticodi linee, formt, materiali, ma principalmente alla fruibilità, alla funzione... Zevi. Ai risvolti esistenziali. La fantasia, il ruolo che l'edificio ha nel contesto in cui si colloca- Umberto Eco direbbe la funzione seconda. Una banca è una banca, ma quando diventa una passeggiata della città, c'è una funzione seconda che diventa il vero atto creativo. Il resto sono fatti secondari. D. Michelucci stesso raccontava in una sua intervista a Panorama che l'amministrazione delle Poste aveva stralciato dal suo progetto per il Palazzo delle poste di Firenze una galleria con funzione di strada urbana pedonale coperta, con lagiustificazione cht taliprevisioni non rientravano nelle attribuzioni dtll'amministrazione stessa. Zevi. Siamo alle solite: l'ottusità e la gelosia di carattere burocratico. Michelucci è uno dei pochi che si sforza di rompere la dicotomia tra edilizia e urbanistica, dando valenze urbane all'edificio. • D. O/treall'ollusitàtallagelosia l burocratiche, non giocherà anche ~i-w.~_ ~ .. in questi divieti una formalizzazio• 1c ne t un impoverimento culturale, per cui una scuola e solo una scuola t cosi via? ma una cosa è l'arbitrio formalistico, altra la ricerca espressiva. D. Renzo Piano dichiara senz'altro un atteggiamento scientifico, quanto meno per lt soluzioni tecnologiche cht adotta.. Ztvi. Piano è un artista che non parte da preconcetti di carattere stilistico, ma da una ricerca espressiva basata su un preciso programma edilizio, su una precisa funzionalità e su una tecnologia avanzata. Non mi pare che il Beaubourg risponda a un qualche archetipo: è. un edificio che mette particolarmente in risalto l'impiantistica, cioè il comfort, la vita umana. Sottolinearla al posto dell'apparenza Zevi. È la settorializzazione di una certa cultura, per cui le varie funzioni devono restare separate. Cosl i quartieri sono dormitori, senza uffici né fabbriche. Ma in Francia ci sono scuole al quarto piano, con abitazioni sopra e uffici sotto. Senza lo spreco delle nostre scuole, chiuse e inutili per un terzo dell'anno. Bisogna andare verso una plurifunzionalità degli edifici, in particolare di quelli pubblici e non solo per necessità economiche, ma anche esistenziali. Nella city di Londra case e uffici stanno assieme per evitare l'abbandono alla malavita, che invece si ha nei quartieri degli affari a New York.
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