Alfabeta - anno V - n. 53 - ottobre 1983

l'occhioe ilmondo Alberto Boarto Arte e sdenz.a per il disqno dd mondo (Torino, Mole antonelliana giugn~ttobre 1983) a cura di Giulio Macchi Milano, Electa, 1983 pp. 288, iU., li.-e 40.000 S otto la volta ostentatamente esoterica della Mole antonellian.a, lo spazio, di cui resta difficile a1 visitatore scorgere i limiti materiali, si presenta sapientemente sovraffollato di documenti cartografici, tavolette preistoriche, pergamene e portolani medievali, atlanti rinascimentali, mappamondi, gigantografie più che contemporanee. I numerosi apparecchi scientifici appartenenti a disparate civiltà, che interrompono la processione orizzontale delle immagini, forniscono una esemplificazione concreta degli strumenti dei quali l'uomo si servi per costruire le sue mappe terrestri e aeree. Con spettaoolarc aderenza al tema affrontato, l'esposizione continua nel matroneo del primo piano, dove lascia la quota terrestre per innalzarsi a quelle celesti, cosmiche, interplanetarie, e sprofonda poi nel piano sottostante, che funge come da sotterraneo alla mostra. Vi sono stati confinati giustamente le riserve, i fuochi, le piste dell'immaginario, mappe di continenti fantastici, maniacali e utopici, non contrassegnati da nessun grado di latitudine nt di longitudine. Percorrendo questi suggestivi itinerari e passando da un piano all'altro, si avverte sempre più la presenza di un'accorta regia, dove la lettura scientifica dei dati non solo non esclude l'ipotesi di altre letture, ma sembra anzi tentarla. li disegno del mondo, sia della Terra che dell'intero universo - dal momento che non sembra possibile separare l'una dall'altro, - tocca un centro troppo vulnerabile degli interrogativi di ciascun uomo, percht si possa chiuderlo nella rigidità di un'unica interpretazione. Di fronte a simile tentazione e alla stessa abbondanza dei materiali messi a disposizione, per non smarrirsi, sarà bene attenersi ai dati elementari implicati sempre nella cost.ruzjone di ogni carta. Prima di tutto l'attenzione che l'uomo riversa sul proprio habitat, lo spazio in cui vive, territorio, bacino marino, continente, mondo, allo scopo di conoscerlo o anche solo di raffigurarselo, e poi l'atto materiale di fissare in segni convenzionali le conoscenze e le nozioni ac:quisite. In questo movimento ciò che interviene è l'occhio e la mente, e come rientra nell'estensione dello sguaido l'impiego di strumenti ottici, cosl fanno parte della mente anche l'immagina- !:::; zione, il sogno, le inevitabili do- -~ ::::a=~~J~~~o::smogoni- g'. ~ ~ 1 Fra l'occhio e la mente c'è divario, collaborazione difficile, ardui momenti di concordanza, tanto che si pongono all'origine di due diversi tipi di carte. Mentre l'occhio svolge un'attività irriducibil- ~ mente concreta, empirica, secon- :: do un raggio locale, circoscritto al- ! la propria potenza focale e al limi- l te del proprio orizzonte, la mente i:i per suo conto collega, riassume, procede per sintesi. Se è grazie alle conosccnze accumulate dall'occhio lungo gli spostamenti dei marinai e dei mercanti greci e fenici che Ecateo di Mileto può disegnare nel V secolo avanti Cristo la prima carta del Medjterraneo, è jn prevalenza frutto di speculazione intellettuale, dove tiene un gran ruolo un modello di perfezione e di armonia geometrica, il fatto che nella cerchia pitagorica cominci a farsi strada l'idea della sfericità della Terra. Se la mente si sposta per inquietudine interna, l'occhio è costretto invece a spostarsi materialmente, a superare ogni volta il limite sempre settoriale a cui resta vincolato. Per altro sono anche troppi gli impulsi e le avidità che spingono l'occhio a dislocarsi, a porsi in cammino, a diventare un occhio nomade. Cosl, alla loro origine, le carte risultano opera di quei reali viaggiatori che sono i navigatori e i commercianti e di quei viaggiatori solo fisicamente sedentari che sono i cosmologi, i geografi, gli astronomi. Nei confronti di queste due intraprendenti categorie, il potere, in qualunque sua fonna, compie prima di tutto una funzione di conservazione e di sfruttamento dei dati raccolti. Si fa attivo unicamente nei suoi momenti offensivi; oltrepassa il proprio orizzonte e si mette in viaggio solo nel caso in cui decide d'intraprendere una guerra di conquista. orientamento di questa esposizione cartografica. Nell'antichità, l'occhio ha percorso solo una parte assai limitata del mondo, quella che nella sua prospettiva rappresenta l'ecumene, le terre abitate. Per quanto possieda la convinzione che al di là di tale limite si distendano altre terre, giudica queste «terre incognite» disabitate e inabitabili. Più tardi la scienza biblica verrà a riconfermare questa visione ecumenica, riallacciando i tre continenti abitati ai tre figli di Noè. Già la caratteristica che ha questo occhio, di tenersi strettamente legato al proprio spazio umano, indica, accanto alla sua sostanziale limitatezza, l'altra sua prerogativa. Esso possiede una visione fortemente centralizzata, antropocentrica, del mondo, connessa in sostanza con i processi percettivi e comportamentali più elementari dell'uomo e soprattutto con i suoi processi di proiezione immaginaria. Per tutti questi motivi, come lo spazio terrestre - e le carte che lo raffigurano - dispone di un centro religioso o cosmogonico, di un fulcro qualitativo, cosl la Terra fa a sua volta da centro sovrano a un cosmo perfettamente concluso e finito. scoperta del «nuovo mondo», ha Un11trale incisionipiù antiche dellaRoccolraFossard,dtl 1560-1580. avuto termine (sarà bene sottolinearlo) solo all'inizio del nostro secolo. L'esplorazione definitiva delle due calotte polari fa cadere le ultime •terre incognite» ancora esistenti. Parallelamente a questa enorme dilatazione delle conoscenze lungo gli spazi terrestri, che si conclude col loro esaurimento, l'occhio scopre di abitare e di essere solidale con una Terra che, invece di occupare il centro di un universo finito, si muove alla periferia di un universo dalle dimensioni infinite. Nel corso della modernità l'occhio si è spostato non solo sopra la Terra, ma si è visto costretto a modificare anche radicalmente i suoi rapporti con la totalità del cosmo. È pure il momento in cui l'occhio, assieme alla scienza ottica che ne discende, rafforza il proprio predominio, nel settore della cartografia, rispetto non solo all'immaginazione ma anche alla pura astrazione della mente: alle cane tolemaiche, basate sulle coordinate squisitamente matematiche della longitudine e della latitudine, succedono carte che, congiungendo l'ottica con la matematica, vengono costruite con l'impiego sistematico della triangolazione. Un fitto reticolo geometrico che ricopre l'intera superficie ne resta il contrassegno più vistoso. Per altro, nella rappresentazione estetica della pienezza del moderno, più che la suggestione dell'esattezza scientifica, raggiunge una nota avvincente il senso della dilatazione e dell'apertura di qualsiasi prospettiva: in modo visibile, istantaneo, lo sfondamento illusionistico eia a faccia fra l'osservatore e la cosa osservata. Niente più dei sistemi di rileva• mento topografico adottati, da quello messo a punto da Leon Battista AJbcrti (•procedimenti per misurare con la vista») ai numerosi sistemi schiettamente moderni che portarono a perfezione la vecchia scienza degli agrimensori, danno conto di questa visione orizzontale e solidale. Nella triangolazione che apprestano fra tre punti, l'osservatore occupa un punto dell'orizzonte non meno dei due punti del territorio che si è proposto d'ispezionare e di misurare. Oggi, invece, l'esaurirsi di qualsiasi forma di esplorazione orizzontale del pianeta ha segnalo anche la fine di questa antica visione orizzontale, che pure era riuscita a oltrepassare la non facile soglia fra l'antico e il moderno. Ciò che ha preso il suo posto è una visione esclusivamente verticale, un veloce colpo d'occhio portato dall'alto verso il basso. Come la Terra ha cessato di fornire la piattaforma mobile dell'osservazione e si è trasformata nell'oggetto esclusivo dell'osservazione, così a sua volta l'occhio, lo sguardo dell'osservatore, si è innalzato al di fuori della Terra, da dove può osservarla in un atteggiamento di assoluta separazione e indipendenza. In definitiva, le tecniche riguardanti l'ispezione a distanza della superficie terrestre - il cosiddetto •lelerilevamento» o •remote sensing)I,- scrutano la Terra con un sentimento di estraneità e di non più diretta appartenenza, molto simile a quel distacco e a quella estraneità con cui nel passato, sia nell'antico che nel moderno, l'uomo osservava qualsiasi altro pianeta disperso nella galassia. L'osservatore odierno ha cessato di mostrarsi legato, solidale con l'oggetto della sua osservazione, il globo - dal momento che ha smesso di farne parte ed è entrato a far parte in sua vece di un'altra, affatto esterna, dimensione. Le conseguenze appaiono enormi e non prevedibili. Un sintomo tra i più vistosi di questa profonda mutazione possiamo riscontrarlo nella realtà stessa del potere (dello Stato), che ha cambiato totalmente la sua natura. Dopo aver abban- - 1 donata la sua antica natura seden1 taria e aver oltrepassato il proprio ;ç--.:. orizzonte, si è posto permanente- . mente in viaggio. Come nel passato veniva a trovarsi solo nei suoi PruenJa una Commedia sempliu eprimiriva, che ricorda, per remie f,sionomie, certefarse medievali ~ 1 momenti di guerra offensiva, così oggi il suo occhio (l'occhio tecnico-militare) si trova in permancnO ra, forzando gli interrogativi come gli stessi percorsi della mostra, ci chiediamo se la situazior1e in cui è venuto a trovarsi l'occhio, nei nostri giorni protolunari, non rappresenti una novità assoluta, tale da distinguersi da ogni altra situazione del passato. Per la prima volta nella sua storia l'occhio di osservazione e di esplorazione ha viaggiato fino al punto da collocarsi in un luogo posto completamente al di fuori del pianeta: satelliti, osservatorio lunare, osservatori spaziali. Questo spostamento costituisce a mio parere la grossa novità dei nostri giorni, tanto che l'avventura dell'occhio e le sue trasfonnazioni interne ci forniranno la chiave, se non di decifrazione, almeno di Una rappresentazione dell'universo secondo la scienza astronomica di Claudio Tolomeo, su cui si sono chinati non solo gli alessandrini ma anche i grandi uomini del nostro Rinascimento, ci restituisce immediatamente simile concezione geocentrica. Più ancora un raggio di sole o, con maggiore evidenza, uno scroscio di pioggia che si riversa dall'apenura del Pantheon di Roma, ridesta sensibilmente in noi, sotto la cupola emisferica, la grandiosità di simile visione 1 cosmica. È dal momento stesso della sua fondazione che l'occhio moderno si sposta, oltrepassa ogni volta il proprio orizzonte, in un viaggio di esplorazione del pianeta che, iniziato più di quattro secoli fa con la nellc cupole che innalza il baroc- za a ridosso, sopra il territorio avA questo punto cade opportuna un'osservazione nel nostro intento di arrivare a definire la novità assoluta che contraddistingue la posizione occupata dall'occhio nei nostri giorni non più moderni. Il passaggio fra antico e moderno si presenta netto come una frattura, e tuttavia esso non arriva a mutare né la collocazione dell'occhio - il punto della sua osservazione, che continua a essere confinato sempre a terra, implicato col territorio che percorre, esplora, misura, - nt il tipo della visione a cui dà origine, che possiamo definire una visione orizzontale, frontale, una sorta di facversario, e ne trae costanti rilevamenti che dalla superficie si spingono fino a radiografare la profondità delle sue terre e dei suoi mari. Da quando è lo Stato a essersi messo in viaggio, sono scomparse tulle le tradizionali figure dei viaggiatori, marinai, mercanti, esploratori, a cui pure si devono le antiche carte. Nel generale disorientamento della creazione, forse un si/k screen di Rauschenberg col suo spazio disancorato e l'enorme dilatazione sonora dell'ultimo Stockhausen ci danno i primi, sommari, avventurosi rilevamenti del presente capovolgimento nell'ordine totale sia dell'ottica che della visione.

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