Alfabeta - anno V - n. 52 - settembre 1983

Il fantasmafracassone Alberto Abruzzese U rantasma fracassone Roma, Lerici, 1982 pp. 70, lire 5.000 A primo acchito si sarebbe portati a credere che il «fantasma fracassone» che dà il titolo al pamphlet di Alberto Abruzzese sulla politica culturale del Pci sia il Pci stesso. Il libretto, infatti, è noto per contenere un violento e sarcastico attacco al to presto come per altro meritava. Quel che appare tutlavia un po' deludente, in questa prima tesi di Abruzzese, è il fatto che al suo fondamento viene individuata quella che gli inglesi chiamano «want of keeping,., cioè ad un tempo «volontà di continuità» e «volontà di conservazione,._ Un desiderio, cioè, di mantenimento del potere da parte del gruppo dirigente attuale, che Abruzzese definisce oltre tutto «vecchio-.e. spes- •più grande partito di classe della sinistra•, dal punto di vista della 1 sua organizzazione culturale. L'immagine andrebbe dunque bene: il partito è un •fantasma• perché il suo peso cullurale è assai lieve, ma è "'fracassone• perché a parole promeue di spaccare mari e monti. E invece la designazione presente nel titolo è piuttosto un'altra. li fantasma fracassone è un ruolo a cui l'autore invita i propri lettori, si suppone militanti o simpatizzanti per Berlinguer: un ruolo •fracassone• pur nella consapevolezza di essere considerati dal partito come dei fantasmi, entità senza corix, e senza peso decisionale. Ad alcuni mesi dalla pubblicazione, il volumetto di Abruzzese sembra caduto nel dimenticatoio, censurato dalle poche parole che su di esso sono state spese. Vediamo allora più da vicino in che cosa mai consistessero le denunce di Abruzzese, e in che cosa eventualmente il suo saggio permetta l'atteggiamento di non-risposta che ne è seguito. L'autore parte da una considerazione che negli ultimi anni, a dire il vero, è stata corrente nell'area intellettuale di fiancheggiamento cordiale o critico verso il Pci. E cioè che a quel partito manchi del tutto una ix,litica culturale. Diamo per scontato, per il momento, che ciò sia vero. Abruzzese fa seguire alla sua affermazione la ricerca delle cause di tale carenza politica. E ne individua almeno due. La prima starebbe nella medesima forma di apparato del partito: le decisioni, sempre più di vertice, muovono verso il basso senza aver preso in considerazione l'input inverso. E tali decisioni sono perennemente relative a due obiettivi: l'accettabilità e la legittimazione da parte di alleati e avversari {ix,liticadi totale inserimento nel sistema), e la messa in scena di un consenso della base (politica di assorbimento di tulle le istanze di base per neutralizzarle, e in compenso garantirsi il trasferimento verso la base di quel principio di totale inserimento all'interno del sistema). Credo che Abruzzese abbia delle ragioni da vendere, in questo senso. Ricordiamo, a mo' di esempio, che dopo la vittoria elettorale del 1975 circolava lo slogan della mobilitazione degli intellettuali per la costruzione di un progetto culturale teso al miglioramento della qualità della vita. Lo slogan è rimasto slogan: e quando l'elaborazione di un progetto (per intendersi, sul tipo di quello di Ruffolo e dei socialisti negli anni sessanta, sia pure con diversi contenuti) si è messa in moto, poi il progetto è finito in un cassetto, sostituito da un generico discorsetto pubblicato so poco competente. Ora, può darsi benissimo che nei fatti vi sia una colpevole protervia attribuibile a un bisogno di potere individuale, ma mi pare che essa sia un effetto superficiale, non la causa motrice. Il funzionario grigio, dotato di atarassia, impenneabile ai fermenti sociali e intellettuali, esiste quando è adeguato a una linea politica, e non l'inverso. Inoltre, qualunque tipo di organizzazione (sia essa privata o Omar C labrese pubblica, a delinquere o dopolavoristica, economica o senza fine di lucro) tende alla conservazione del proprio gruppo dirigente. Bisogna vedere come vi tende, e che relazione esiste fra il modo di tendervi e la struttura medesima di quell'organizzazione. P rendiamo, fra i molti possibili, tre modelli di organizzazione applicabili a dei partiti. Primo modello: il partito è inteso come una proprietà privata; il grupix, dirigente resta al comando finché mantiene la sua proprietà e produce degli utili per gli altri aderenti. È il modello che molto grossolanamente può essere identificato con la Dc e le sue "'correnti•, che sono dei veri e propri "'pacchetti• di amministrazione. Il grupix, dirigente democristiano cambia o quando cambia l'assetto proprieta• rio (ecco allora le varie .-uscite di dagli Editori Riuniti, e dimentica- / trucchi del cinl!millOgrafo in una •figurina" Lit1big scena» tipo quella di Zaccagnini) o quando una gestione non produce degli utili (vedi le uscite del tipo di quella, a suo tempo, di Fanfani, e poi di Bisaglia, e cosl via). L'ideologia di questo tipo di 01ganizzazione è naturalmente di tipo privatistico: si fonda sull'idea che l'organizzazione dello Stato è aderente all'organizzazione del partito, e che dunque lo Stato stesso è modellato sulla somma di interessi privati. Paradossalmente, è il modello Dc quello più «leninista. esistente in Italia. Secondo modello: il partito è in· teso come una macchina produttiva. Il modello è chiaramente molto centralizzato, completamente teso alla crescita della macchina nel suo insieme. E il suo gruppo dirigente si mantiene al comando grazie al principio del successo produttivo: fincM il reddito ix,litico cresce, il gruppo resta stabile. L'immagine più aderente a questo tipo di apparato è quella del management efficientista, e il partito a cui sempre grossolanamente essa si adatta è evidentemente il Psi nella sua gestione craxiana. Paradossalmente, questo modello è forse il più vicino a uno degli attributi che di solito si affibbiano al Pci, e cioè il principio del centralismo democratico. L'efficienza dell'apparato, infatti, richiede quasi di necessità un momento di decisioni di vertice a cui il resto della piramide si adatta. Le «correnti• seguitano a esistere, ma il loro ix,tere decisionale è ridotto e accantonato: sono eventualmente solo delle sohuioni di ricambio potenziale per elementi che si logorano. Ma la squadra che: vince non si cambia. Terzo modello, infine: il partito è inteso come una specie di organismo vitale, che deve essere alimentato in ogni sua pane. Sopravvive solo se si mantiene una specie di «solidarietà.» delle sue componenti. La coesione come strumento di esistenza può anche significare non una virtù morale di unanimità e accordo, bensì la ncoessità di evitare rigetti dal momento che il partito non ~ più un blocco monolitico, ma ha subìto un insieme di trapianti. li suo gruppo dirigente, dunque, si mantiene in vena se evita tali rigetti e ottiene una forma di generale consenso. Questo modello, aMa.i vitalistico, è il modello che più corrisponde al Pci. D Pci, infatti, è un partito che ha sublto nel tempo numerosi «-trapianti•, e non è affatto come pensa Abruzzese «il più grande partito di classe• italiano. Finch~ era un monolitico partito di clas.se, allora la sua forma di apparato era quella del gruppo sociale omogeneo. Oggi le oosc sono un po' cambiate, e pur rimanendo il Pci una forza «di clas.se•,si deve ammette• re che la sua natura~ in parte mutata, e che ha molta più necessità di consenso di una volta. È a mio parere la sopravvalu- F acciamo ancora un esempio. ~~~~~~~- tazione del consenso che fa sl che il Pci spesso non abbia una politica cuJturale. È la sopravvalutazione del ronscnso, infatti, che ha determinato la curiosa idea di «-pluralismo•per lungo tempo dominante nel partito. Nell'idea di molti dirigenti comunisti predomina un concetto eclettico, quello dei cosiddetti 1 «cento fiori» (e a nulla valgono le 1dichiarazioni che negano alla politica del partito il carattere di eclettismo). Insomma, il Pci si comporta come lo Zeusi dell'aneddoto pliniano nei confronti della bellezza .... femminile: si prendono i particolari più belli di cento modelli, e da quelli si costruisce per .sommatoria un modello bellissimo. ~ ,; Ma il principio, come non vale e: i pittura, non vale in politica: plu- ·~ ralismo ~ invece attenzione ai ccn- - to modelli, ma scelta di uno solo, ~ sia pure corretto. E quando il modello non funziona più, si cambia, ~ seguendo il principio della prova e 1 dell'errore. A mio modo di vede- I re, dunque, l'affermazione iniziale ~ di Abruzzese va precisata. Non ~ ~ vero che il Pci non ba politica culturale, anzi: ne ba troppe, e fra di j esse non sceglie, lasciando convi- §.. vere apertamente concezioni della ~

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==