Delcinis~i,politico Roberto Calasso La rovina di Kasch Milano, Adclphi, 1983 pp. 496, lire 20.000 I n un momento come l'attuale, in cui la riflessione sulla storia sembra essere dimcnlicata dal pensiero che medita e che in1erroga, il libro di Roberto Calasso va energicamente controcorrente e affronta una questione tra le più ambigue della storia moderna: il rapporto tra Talleyrand e la modernità. Quest'uomo, il quale a cavallo tra il XVI.I.Ie il XIX secolo riesce a prestare i propri servizi ai cinque diversi regimi che tumultuosamente si succedono in Francia e in essi svolge un ruolo di primo piano, in effetti costituisce una intollerabile sfida alla concezione moderna della politica, intesa come affermazione di idee, di contenuti, di programmi medfante la lolla, la testi• monianza, la coerenza personale. Tale sfida è rivolta non solo contro i principi della rivoluzione che pure Talleyrand scrvl nel 1789 (proprio lui aristocratico e vescovo), promuovendo la confisca dei beni ecclesiastici, ma a ben vedere nella stessa misura contro i principi della restaurazione, di cui tuttavia fu uno degli artefici partecipando al Congresso di Vienna e presiedendo il primo ministero sono Luigi XVHJ: a ben vedere, egli t lontano da Joscph de Maistre non meno che da Robespierre. La sfida, in realtà, t rivolta contro il principio stesso della politica moderna che prelende di congiungere inseparabilmente le idee e l'effettualità, la teoria e la pratica, il programma e l'azione. E ovvio perciò che un uomo cui si attribuisce la frase: «La mia opinione? Ne ho una la mattina, un'altra il pomeriggio e la sera non ne ho più nessuna», sia stato nel secolo degli ideali e delle fedi oggetto di riprovazione quasi universale: Calasso giustamente cita il luogo comune registrato da Flaubert: «Talleyrand, principe di. Indignarsi contro». Questa virtuosa indignazione non t tanto rivolta contro il cinismo in se stesso, quanto contro l'effettività di un cinismo che non si nasconde dietro la fede, che non fa nulla per mascherarsi dietro al suo opposto, un cinismoaperto e a suo modo perfino trasparente e ovvio. G li storici hanno fornito varie spiegazioni di questo paradosso. Alcuni, come Louis Madelin (Talleyrand, Paris, Flammarion, 1944), ne fanno un uomo dell'ancien rlgime, che t smarrito nella nuova età aperta dalla rivoluzione francese: Talleyrand resta per lui il giovane vescovo che alla leuura del breviario romano preferisce quella del «divino»marchese di Sade, l'erede delle azioni misurate degli uomini di Stato del passato, l'aristocratico che fa dell'indifferenza la sua virtù e della seduzione la sua arma. Altri, come Georges LacourGayet, autore di una monumentale biografia in tre volumi (Talfeyrtmd, Paris, Payot, 1979), vedono al contrario nella fedeltà alle idee del 1789, nella sua simpatia verso la monarcbfa costituzionale, il vero elemento unitario di una vita che si è svolta tra tanti mulamenti e contraddizioni. Altri ancora, come lo scrittore Jacques de Lacretelle (nel saggio Une vie menlt par l'ambition, in Autori vari, Talleyrand, Paris, Hachette, 1964), sottolineano che soltanto in due occasioni egli è riuscito ad essere davvero un protagonista, e queste due occasioni (il Congresso di Vienna e l'ambasciata a Londra dal 1832 al 1834) appanengono pienamente al XIX secolo. Altri infine, come Jean Orieux (Talltyrand ou la sphinx incompriSt, Paris, Flammarion, 1970), più salomonicamente pensano che egli appartenga a tutte le età in cui ha vissuto: «Parla la lingua di Voltaire, traffica come Mirabeau e finisce per zoppicare nei 'tenebrosi affari' della Comédie Humaine». L'originalità del libro di Calasso consiste nel fatto che egli lo trasforma in un nostro contemporaneo, facendolo testimone e interprete di tutta la nostra esperienza storica: UJ rovina di Kasch, per· ciò, non t tanto un libro su Talleyrand quanto un'amplissima riflessione sulla situazione storica attuale condotta in presenza di Talleyrand, Tra l'uomo definito da Madame de Stael il più impenetrabile e il più indecifrabile degli uomini, del quale un suo collaboratore affermava: .Più si studia il suo carattere e meno forse lo si comprende; è difficile trovare in lui qualcosa di stabile•, e l'epoca in cui viviamo, definita da Calasso «l'innominabile attuale•, nei confronti della quale noi saremmo in uno stato di costante inadeguatezza, esisterebbe cosl un rapporto di coappartenenza essenziale. Talleyrand anticiperebbe la nostra età percM, più che un uomo di Stato o un vero politico nel senso moderno, sarebbe gìà un uomo transpolitico, uno che insieme attraversa e va oltre la politica, ma non nel senso trascendente e metapolitico (che, per esempio, Del Noce dà a questo termine nel suo La concezione transpolitica della storia cot1tempora11ea, Napoli, Guida, 1982). nt nell'accezione di patologia delta politica (con cui Baudrillard adopera questa parola nel suo Ln stratlgies fata/es, Paris, Grassct, 1983), e tanlo meno nel senso polemologico di conrntto totale (cui si riferisce Paul Virilio in «Transpolitica», Alfabeta n. 22): Talleyrand t transpolitico percht apre uno spazio in cui effenività e indeterminazione vengono paradossalmente a coincidere. I nnanzi tutto, t impanante osservare che l'effettività di Talleyrand, per il quale conta ciò che riesce, non è mai la bieca idolatria del fatto compiuto: l'uomo che per la contessa di Dino era «divinatore, complesso, successivo.., non t il furbo che si accoda al carro del vincitore di oggi (quella figura miserabile descritta da Prezzolini nel suo Codice della vita italiana), ma semmai colui che scommette sul vincitoredi domani e s'impegna fin d'ora di condizionarlo e di ricuperarlo al proprio partito. Il termine «partito- non deve essere inteso in senso moderno («.lonon sono mai stato un uomo di partito - confessa Talleyrand, - non ho mai voluto esserlo ed t questo che ha fatto la mia forlb), bensì nella sua accezione secentesca, quella usata dal cardinale di Retz quando diceva: «Bisogna cambiare spesso opinione per restare del proprio partito». Proprio questa pretesa e questa capacità di vincere qualsiasi cosa accada - che ricorda l'attitudine ignaziana di volgere a t(Qlagg:ior gloria di Dio»ogni evento e quella sadiana di considerare come un piacere ogni sensazione, anche la più dolorosa, - costituisce, a mio avviso, l'essenza del transpolitico: «non soffro di niente percM sooo pronto a tutto•, «non mi dibatto contro la necessità.». Sono questi riferimenti a Loyola e a Sade che impediscono di considerare la transpolitica come un mero oppor· tunismo: dato e non concesso che «proprio partito» valga per «proprio interesse», resta da vedere che cos'è l'interesse per questa tradizione di pensiero. Alla radice del transpolitico sta in fondo lo stoicismo, che sostiene la coincidenza tra volontà e realtà, tra adesione soggettiva ed evento: il saggio trasfonna qualsiasi evento in un evento favorevole unicamente in virtù della propria cooperazione, l'occasione è per lui una ~uka.irìa, una disponibilità permanente. In un passo delle sue MemolU, infatti, Talleyrand scrive: «lo decisi (... ) di non lottare affatto contro un torrente che bisognava far passare, ma di tenenni en siruation e in grado di concorrere a salvare ciò che poteva essere salvato, di non elevare ostacoli tra l'occasione e me, e di riservarmi per essa». Questa idea del proprio interesse è perciò in fondo estremamente prossima a quella di sacrificio, cui Calasso dedica un memorabile excursus del suo libro. Le pagine sul sacrificio non sono perciò affatto estrinseche rispelto al soggetto, ma ne illuminano l'essenza profonda: vale per Talleyrand l'identificazione tra cortigiano e santo, un topos della trattatistica secentesca sul potere. L a IIanSpOliticadi Tallcyrand ~ forse una politica vuota, una politica senza contenuto? lo effetti t stato rimproverato a Talleyrand di non avere alcuna teoria dello Stato, ~ alcun progetto di governo, ma solo un «grande spirito di condotta,i.: in altre parole, di essere stato non un uomo di Stato, ma un diplomatico. Calasso sottolinea questo ruolo di gran ciambellano, di cerimoniere, ma giustamente non lo intende in modo estrinseco, come appareoza o maschera; per Talleyrand lo stile, il rito, la cerimonia è l'essenziale. Talleyrand perciò ci guida verso un pensiero rituale che appartiene alla romanità e al Barocco. Per questa tradizione cultura.le, il rito non è la maschera del potere ma t il potere, l'effettualità stessa. Innanzi tutto, perch~ t dominio delle passioni, indifferenza; in secondo luogo, percht t pensiero della società su se stessa: se i riti sono abbandonati, la società va in rovi• na, come mostra la leggenda africana della rovina di Kasch, che dà il titolo al libro di Calasse e ne costitui.scèla pane centrale. Ciò, tuttavia, non deve essere intes0 nel senso di un conservatorismo politico-$0CÌale,non pià di quanto il primato del mito implichi il progresmmo! Anzi, semmai il primato del rito sul mito implica una posizione di radicale rifiuto della tradizione logoc:cntricaoccidentale, la quale ba riconosciuto senso e valore al gesto, al corpo, solo se questo resta subordinato alla parola, all'anima. L'..apertura. ,rerso la cultun. africana, cui il titolo del libro rimanda, nasce da una inttlmoae, le cui conseguenze sono incalcolabili: forse il nostro avvenire sta al punto di confluenza tra gli aspetti più vilipesi e rimossi della nostra tradizione e le culture extraeuropee. Da questo sorprendente confronto tanto l'una quanto le altre usciranno cambiate e forse si potrà riconsiderare in modo più sereno e distaccato, senza esagerazioni, la modernità e la politica. Parlaredipsicoanalisi Mario Francioni Storia della psicoanalisi franctSC Torino, Boringhieri, 1982 pp. 370, lire 37.000 Reuben Fine Storia della pslcoanallsl Torino, Boringhieri, 1982 pp. 427, lire 50.000 J. Frank Sulloway Fttud biologo dtUa pskbe Milano, Feltrinelli, 1982 pp. 7'!}, lire 40.000 Q uando, il 14 novembre 1922,Sigmund Freud scrive al «caro amico" Cari Gustav Jung apostrofandolo, per la prima volta dopo la loro lunga amicizia, con un «Caro dottore», fra i tanti motivi che segnano il distacco e la rottura della loro intensa collaborazione, emerge anche un preciso riferimento ai cedirmnti che J ung, nel suo ultimo viaggio in America, avrebbe operato nei confronti di alcuni capisaldi della teoria, per favorirne la diffusione. L'obiettivo Fndiano Susi di Jung è «conquistare» l'America; Freud sa che, nel Nuovo Mondo, ha portato la peste. E la peste non si diffonde in modo indolore, non conquista facilmente le folte e gli ospedali. Si impone per la sua irrinunciabilità. Le parole di Freud sono sottili ma ferme: «La ringrazio molto per le Sue notizie sullo stato delle cose in America. Ma, come sappiamo, la contesa non sarà decisa laggiù. Lei tuttavia non dovrebbe ritenere un Suo merito il fatto che le Sue modifiche abbiano diminuito molte resistenze, perchf Lei sa che quanto più vorrà allontanarsi dalle innovazioni psicoanalitiche tanto più sicuramente avrà il plauso degli altri e tanto minore sarà la resistenza-. ln seguito, quando ricorderà l'episodio, Freud sarà ancora più esplicito: «Nel luglio 1912Jung, in una lettera dalla America, s.i vantò delle sue modifiche alla psicoanalisi, che avrebbero infranto le resistenze di molte persone fino ad al- ~ lora ostili. Replicai che questo non a era titolo di gloria e che quanto -~ più egli sacrificavale verità psicoa- ~ :::::~~ ::::ie'!:.vrcbbc visto ~ Freud si pone dunque, con riso- 1: lutezza e decisione, contro una e forma di diffusione della psicoana- § lisiche può dar luogo a cedimenti, .., rinunce, volgarizzazioni, riduzioni ~ della sua teoria. Sarà neces.sario C dire, allora, dle le sue lezioni, ! quelle del 1932, non furono mai §. pronunciate; mentre le prcc:cdcn- Q
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