Alfabeta - anno V - n. 50/51 - lug.-ago. 1983

Luce Irigaray Passioni elementari trad. it. di Luisa Muraro Milano, Feltrinelli, 1983 pp. 106, lire 13.000 Speculum trad. it. di Luisa Muraro Milano, Feltrinelli, 1975, 1980' pp. 348, lire 8.000 Questo sesso che non è un sesso trad. it. di Luisa Muraro Milano, Feltrinelli, 1978 pp. 181, lire 3.800 Amante marina trad. it. di Luisa Muraro Milano, Feltrinelli, 1981 pp. 214, lire 12.000 H a preso posto silenziosamente, negli scaffali delle librerie, l'ultimo libro di Luce Irigaray: Passioni elementari. Pure, solo cinque anni fa, l'uscita di Questo sesso che non è un sesso fece scalpore- e non solo all'interno del movimento delle donne. Venuta in Italia per presentare il suo libro e incontrare, come diceva, le femministe italiane, la Irigaray era stata accolta con un entusiasmo affettuoso e un'approvazione pressoché unanime. Incarnava allora la speranza di trasformare l'afasia delle donne sul proprio sapere, del corpo e del godimento, in un discorso che le avrebbe fondate in uno statuto culturale autonomo e sessuato. Quel libro aveva un sottotitolo («Sulla condizione sociale e sessuale delle donne») che ne faceva un testo - e quasi un manifesto - politico. Aveva anche degli interlocutori-avversari, Freud e Lacan, e un destinatario dichiarato, le donne. Fu subito annesso, e considerato letteratura del movimento oltre che sul movimento. In Amante marina, uscito tre anni dopo (1981), abbandonato il terreno del politico, la Irigaray ingaggiava un dialogo con Nietzsche: le sembrava il filosofo che più avesse tentato di rompere con «il logocentrismo metafisico che corre da Platone a Hegel». La sfida era al più prossimo, al più simile, fra gli interlocutori della «cultura maschile», per mostrare anche lì la radicale alterità del «femminile». Passioni elementari si muove lungo un tracciato analogo ma con un'ambizione in più: essere già discorso femminile autonomo, che non si cura di sostenersi con rimandi e referenze culturali. Un discorso, cioè, dotato di una sua propria articolazione simbolica, o che almeno costituisca un esempio di ciò che un tale discorso potrebbe essere. Francamente bisogna dire che il risultato manca totalmente l'obiettivo, per il semplice motivo che si tratta di un obiettivo impossibile, seppure suggestivo e seducente. Forse, se il libro della Irigaray stenta a vendersi, se non se ne parla, è anche perché la politica delle donne - politica nel senso più allargato che il femminismo ha dato alla parola - non può più nutrirsi né di miti, né di suggestioni, né di alterità solo immaginarie. Si comincia a interrogare in altri modi, più forti e consapevoli, la questione della «differenza». In questo senso, Passioni elementari è datato: realizza ciò che annunciava Speculum (1975), il libro che costò alla Irigaray la sospensione dall'insegnamento al Dipartimento di psicoanalisi dell'Università di Vincennes, ma non la sua esclusione dall'École diretta da Lacan (da quella Scuola non ci sono mai state esclusioni, solo dimissioni volontarie). Valeria Magli in «Le Milleuno», 1978 Un misticismo protofemminista Passioni elementari è un libro di poesia scritto da una mistica: è la prima impressione che se ne ricava una volta arrivati alla lettura dell'ultima riga. Una mistica postmoderna. E postfemminista. O protofemminista? Sparite le donne, la sorellanza, la rivendicazione sociale, il discorso politico. Sparita pure la polemica con i padri della psicoanalisi, Freud e Lacan. Sparito l'attacco «argomentato» alla cultura detta patriarcale e alla filosofia che le è omogenea. I tracciati del percorso della Irigaray si dissolvono o meglio si fluidificano - per usare un termine caro all'autrice - in un discorso poetico. Prende forma una filosofia poetica in cui il tattile, ciò che parla della materia - materia del corpo e materia fisica - predomini sul visivo. Una bella poesia? Forse, ma non è questo che più interessa valutare. Il progetto del libro è più ambizioso e ciò su cui vuole misurarsi non è - non è solo - il piano estetico. Quanto alla filosofia che contiene, essa pretende non solo a una visione del mondo complessiva, ma anche radicalmente estranea a quella della razionalità occidentale: si tratta nientemeno che di inaugurare un Discorso, un Linguaggio al femminile. Questa mistica che parla in prima persona a un Tu maschile e senza nome - cioè a Dio, - è anch'essa senza nome, giacché si dà il nome di La donna. Il che non ne fa una santa Teresa, cioè un'anima, piuttosto ne fa l'Anima o l'Amante, il femminile che parla al maschile. B1bl1otecagoi bianco La coppia divina Questo testo è allora Discorso dell'Amante rivolto all'altro della coppia divina; un Altro sordo e cieco, abitato da un'altra logica, dalle sue passioni - a tratti scelte fra le più banali, luoghi comuni delle passioni maschili («Egli si rivolge a lei. Questa attenzione il più delle volte non è che tendere a una consumazione in più. E non l'attenzione a un'altra. Essa non esiste per lui» p. 53), - dall'ignoranza di sé, da desideri di possesso totalizzanti. Lei, l'Amante, invece sa; trasparente a se stessa, fluida, senza inizio né fine («Il tutto, per te e per me, non è lo stesso. Per me, non è mai uno. Mai terminabile, sempre infinito» p. 89), propone un'altra dimensione dell'amore: «Tra l'amore che fluisce attraverso le pareti involucro delle pelli o mucose e l'amore che si appropria Lydia Schouren, Polyphoni.x 5 Italia, 1983 nel e per il medesimo, non c'è altra differenza che l'attraverso che lascia a ciascuno il suo divenire vivente ... l'amore è il motore del divenire che lasn • ·1<> e l'altro alla loro crescita,, , . Tutto quest" , . ·-r.: di un Altro luogo, di un Altro godimento, di un Altro discorso - l'abuso di maiuscole è qui giustificato dalle pretese del testo, - viene detto. Su questa possibilità di dirne e di scriverne e di fame insieme una specie di filosofia che con questo dire coincida, non ci sono esitazioni. Questo dirf del godimento di La donna permetterà anche all'altro della coppia di accedervi: è la riconciliazione degli amanti divisi. Giungiamo così, alla fine del libro, a un catartico lieto fine: «Per la prima volta, mi sei apparso ... Nessuna scorza ti negava più a me... Tra noi, il cielo era, a corpi aperti, nube illuminante. E io ero cambiata in nube ... e non conoscevo più la morte, ma restavo in una leggerezza in cui tulto si abbracciava ... E come dire l'unione del più denso e del più lieve? L'alleanza del più medesimo e del più altro? Mescolata e così calma e ampia, eppure attenta a lasciarti il tuo cielo. Confusi e restituiti a noi stessi» (pp. 98-99). Ecco: Per la Irigaray c'è La donna e, grazie alla sua mediazione che spalanca a un altro «sentire», c'è rapporto sessuale. È la sua risposta a Lacan, l'antico maestro e, in fondo, ancora il vero interlocutore della Irigaray. Il rapporto sessuale, il godimento, ciò che «non va» tra gli uomini e le donne; questioni dell'ordine dell'«impossibile», di ciò «che non cessa di non scriversi» - era la posizione !fi Lacan, che pure non si stancava di contornare i modi di quest'impossibilità formalizzandola nelle sue «scritture». Ma certo che si scrive, ma certo che cessa di essere impossibile, risponde la Irigaray- e da Speculum in poi non fa che cercare le strade per dimostrarlo fino ad approdare alla soluzione, inevitabilmente immaginaria, di questo testo. Sul finire del libro, infatti, quando comincia a smorzarsi l'annuncio di questo segreto sapere del femminile e del suo singolare godere, si fa spazio un voto. Si tratta di un «Wunsch» nel più puro senso freudiano che, proprio come nei sogni, permette di continuare a dormire e, naturalmente, a sognare. È un voto di riconciliazione fra l'uomo e la donna che produce una «alleanza in cui i partiti opposti vengono a unirsi in un'intensa mescolanza» (p. 101). Una per una È curioso che la Irigaray non parli più alle donne - tranne che in due o tre pagine - ma è anche naturale perché questa teoria di La donna le fagocita tutte, ne livella le differenze, le disparità del parlare e del sentire. E perché non rivendicare piuttosto questo essere non-tutte, questo dover essere prese una per una che la saggezza del vecchio Don Giovanni aveva così ben compreso? E ancora: dov'è la psicoanalista in questo testo? Dov'è quell'esperienza quotidiana dell'indicibile di un «reale» che la pratica analitica rivela tanto più bruciante e scoperto nelle donne? E poi: cos'è questa tentazione dell'analista di cedere alla letteratura e alla poesia? Al punto di non interrogare più soltanto l'artista e il poeta, ma di prenderne il posto. Capita che un analista non sia che uno scrittore mancato, ma capita anche che voglia mancare di esserlo. Il perché sta nella x del desiderio che lo incolla alla sua poltrona a registrare più prosaicamente i balbettii dell'inconscio - nient'affatto poetici, bisogna ammetterlo: la pesantezza e la noia della letteratura analitica per chi non fa l'analista stanno lì a dimostrarlo. Ho tranciato pesantemente adottando una logica da aut-aut: o il poeta o l'analista, o La donna o la castrazione, o il riconoscimento dell'immaginario o la sua magnificazione, o la verità dell'analisi - l'inconscio non conosce la differenza sessuale - o la sua denegazione. La durezza del mio giudizio sarebbe ingiustificata se il testo non pretendesse di essere che un delirio poetico - e non c'è connotazione spregiativa - come un altro, l'approdo di un percorso soggettivo, il modo di dire una differenza. Invece pretende di dire /a differenza, esalta l'immagine di una specie di Madonna laica, eleva alla dignità di significante una formazione immaginaria. Questa dimensione dell'immaginario, cioè la donna che sa e dice ed è maestra d'amore, non appartiene solo alle donne. Gli uomini ne sono anch'essi impregnati, come mostrano mille esempi rintracciabili nella cultura. Così come ne è segno la curiosità e l'attenzione, più o meno manifeste, degli uomini per ciò che nel movimento delle donne prendeva forma di parola. Allora: certo che c'è da dire ancora sulla particolare inserzione delle donne nel simbolico, ma sul come e sul che cosa produca come conseguenza il discorso resta aperto. E plurale. Perché le donne, purtroppo o per fortuna, sono una più una più una, e poi ancora.

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