Alfabeta - anno V - n. 50/51 - lug.-ago. 1983

Introduzionael metodo diLeonardodaVinci Paul Valéry e on gli Scritti su Leonardo di Paul Valéry si inaugura una nuova collana della Electa, diretta da chi scrive, che reca un titolo goetbiano e un po' scherzoso, perché giocato anche sul berensoniano nome di chi la stampa: d'una censura sistematica in chiave antiletteraria del linguaggio critico, mi auguro che il paradosso eguale e contrario, di una critica d'arte «letteraria,. e non specializzata, possa riuscire di qualche utilità. Mentre gli editors dei cataloghi d'arte americani sfoderano le loro forbici inquisitorie, depennando i periodi superiori alle due righe, questi scritti possono ricordarci, fra l'altro, che la lingua è uno strumento critico della cui ricchezza e duttilità è sciocco, oltre che inutile, volersi privare. nea, il colorito vaniloquio di certa critica «militante». A entrambe, forse, i nostri «poeti» banno qualcosa da dire, a parte la qualità della scrittura e la libertà dell'approccio critico. Pur nei limiti d'un accostamento tangenziale e asistematico all'arte figurativa, i loro scritti rivelano spesso una rara penetrazione del giudizio, che scaturisce da un'adesione sincera e totale al proprio oggetto d'affezione. nel primo dei tre brani splendidamente tradotti da Beniamino Dal Fabbro e qui anticipati ai lettori di Alfabeta (è l'apertura dell'Introduzione al metodo di Leonardo da Vinci, del 1894), dove il pittorescienziato è ricondotto, secondo una sotterranea polemica antipositivistica e una plateale inversione dell'indagine biografica, a una semplice «deduzione del genere». Gioconda - sono sottomesse a un incanto verbale così profondo: il solo, forse, in grado di sfiorare il mistero dell'arte leonardesca. Le affinità elettive. L'idea, che mi pare nuova in sede editoriale (ma cosa non è già stato fatto?), è di frugare nei territori confinanti fra l'universo degli artisti e quello dei letterati, dei filosofi e dei poeti, per cavarne una storia fatta dai primi e scritta dai secondi: seguiranno infatti le Lettere su Cézanne di Rilke, Velazquez e Goya di Ortega y Gasset e altri titoli già programmati. Questa collana dispenserà piccole dosi di antiveleno contro quella che lo stesso Ortega chiamava la «barbarie dello specialismo,., oggi imperante anche negli studi di storia dell'arte. E dal momento che ormai s'è giunti al paradosso (per altri versi, salutare) Ma, naturalmente, non si tratta soltanto di una questione di forma. Causa o effetto che sia, in molti casi il processo di normalizzazione linguistica condotto negli studi specialistici s'è accompagnato con un impoverimento della creatività metodologica e con uno sterile appiattimento di tono quasi neopositivistico; e ciò mentre a questa storia dell'arte in vitro s'oppone curiosamente, nel campo dell'arte contemporaC'è da considerare, infine, l'interesse non sempre marginale che questi testi, ora accessibili anche nella nostra lingua, possono rivestire nell'ambito della produzione letteraria dei loro celebri autori. È il caso di questo Leonardo di Valéry, che ci appare, accanto al Monsieur Teste e al Socrate dei Dialoghi, un personaggio quasi immaginario, eroe dell'intelletto e creatura immateriale levata sui «relitti esteriori» delle vicende biografiche. Un intento subito dichiarato, Ma tale polemica, che circola in tutto il saggio, e la descrizione di una purissima «commedia intellettuale» non impediscono a Valéry di penetrare come pochi la sostanza poetica del Leonardo «vero», di quello che l'autore conobbe nei musei e sui fogli di Windsor. Lo si avverte nel secondo brano (tratto dalla medesima Introduzione) dove, dopo una delle più affascinanti descrizioni dei sottili meccanismi del pensiero, il poeta francese (ventitreenne!) ci offre una pagina memorabile: poche altre - neppure quella di Walter Pater sulla Valéry, a distanza di tempo, commenta se stesso, e annota anche a margine della Nota e digressione del 1919, che già costituiva un commento all'Introduzione del 1894, invitando così a un duplice gioco a incastro che riflette il percorso intellettuale dell'autore (più tardi, nel 1929, ritornerà sul tema nella lettera a Leo Ferrero intitolata Leonardo e i filosofi, anch'essa annotata e compresa nel volume dell'Electa). Della Nota del 1919 riportiamo la parte iniziale, dove il poeta dà conto anche delle ragioni personali di una delle sue prime «partite a scacchi con la conoscenza dell'essere», e ne rilegge l'impulso antibiografico, antidocumentario: ancora, per Valéry, «il vero allo stato bruto è più falso del falso». Francesco Porzio La preoccupazione di dover scrivere d'un grande tema mi obbliga a considerare il problema e ad enunciarlo prima d'accingermi a risolverlo: e questo, in generale, non è il movimento dello spirito letterario, il quale non indugia a misurare l'abisso che la sua natura gli ingiunge di superare. Oggi scriverci questo primo paragrafo io maniera affatto diversa, ma ne conserverò l'essenza e la funzione, poiché ha per scopo di far pensare alla possibilità d'ogni opera del genere, ossia allo stato e ai mezzi d'uno spirito che vuole immaginare uno spirito. In realtà ho chiamato uomo e Leonardo quello che m'appariva allora potenza dello spirito. Universo, - è piuttosto universalità. Non ho voluto designare il Totalefavoloso (che la parola D' un uomo resta quello che ci richiamano il suo nome e le opere che fanno di tal nome un segno d'ammirazione, d'odio o d'indifferenza. Pensiamo che ha pensato, e possiamo ritrovare in seno alle sue opere quel pensiero che gli viene da noi, e anche rifarlo a immagine del nostro. Agevolmente ci raffiguriamo un uomo ordinario: semplici ricordi ne resuscitano i moti e le reazioni elementari. Tra le azioni indifferenti che costituiscono il lato esteriore della sua esistenza noi troviamo una successione analoga alle nostre: quanto lui, ne siamo il legame, e il cerchio d' attività che la sua persona suggerisce non sconfina da quello che ci appartiene. Se riteniamo che questo individuo eccella in qualcosa, ne saremo ostacolati nell'immaginare i travagli e i percorsi della sua mente. Per non limitarci ad ammirarla in maniera confusa, saremo costretti a estendere in una direzione la nostra idea della capacità che domina in lui, e di cui, con certezza, non possediamo che il germe. Ma se le facoltà della mente presa in esame sono largamente sviluppate insieme, o se le tracce della sua azione sembrano considerevoli in tutti i generi, l'immagine ne diventa sempre più difficile da cogliere nella sua unità e tende a sfuggire al nostro sforzo. Da un estremo a un altro di tale distesa intellettiva ci sono distanze tali che noi non le abbiamo mai percorse. La continuità dell'insieme manca alla nostra conoscenza, come le sfuggono quegli informi brandelli di spazio che separano degli oggetti noti e vagano alla mercé degli intervalli; come si perdono a ogni attimo miriadi di fatti, escluso il piccolo numero di quelli suscitati dal linguaggio. Bisogna indugiare, tuJtavia, rerukrsi conto, superare la pena imposta al nostro intelletto da quella riunione d'e/ementi eterogenei a suo riguardo. Qui ogni intelligenza si confonde con l'invenzione d'un ordine unico, d'un solo motore, e desidera animare con una sorta di suo simile il sistema che si è imposto; s'adopera a formare un'immagine decisiva, e con una violenza che dipende dalla sua ampiezza e dalla sua lucidità finisce col riconquistare la propria unità. Come per opera d'un meccanismo, un'ipotesi si manifesta, e compare l'individuo che tutto ha fatto, la visione centrale in cui tutto dev'essere avvenuto, il cervello mostruoso o lo strano animale che ha tessuto migliaia di puri legami tra tante forme, e di cui quelle costruzioni enigmatiche e diverse furono i travagli, l'istinto rimanendo indietro. La formazione di questa ipotesi è un caso che comporta delle varianti, ma non casuali: vale quanto varrà la logica analisi di cui dovrà essere oggetto, ed è la materia del metodo che ci occuperà e ci servirà. Mi propongo d'immaginare un uomo di cui siano apparse azioni tanto ragguardevoli che, se mi decido a supporre in esse un pensiero, non ve ne sarà uno più esteso. E voglio che abbia un sentimento della differenza delle cose infinitamente vivo, le cui avventure potrebbero ben chiamarsi analisi. Voglio che tutto abbia a orientarlo: è sempre a/l'universo ch'egli pensa, e al rigore'. È fatto per non dimenticare nulla di quanto partecipa alla confusione dell'esistente: nessun arbuBibl1otecaginobianco sto. Egli si cala nella profondità comune a tutti, vis' a/lontana e si contempla; attinge alle abitudini e alle strutture naturali, le lavora in ogni parte, e gli accade d'essere il solo che costruisca, enumeri, sommuova; lascia ritte chiese e f ortezze, compie ornamenti pieni di dolcezza e di grandezza, mille arnesi e le figurazioni rigorose di qualche ricerca, abbandona i residui di non si sa quali grandi giochi. In questi passatempi, nei quali s'immette la sua scienza, non distinta da una passione, egli si compiace di sembrar pensare sempre ad altro... Lo seguirò mentre si muove nella bruta unità e nello spessore del mondo, in cui si farà sì intrinseco alla natura da imitarla per raggiungerla, e finirà nella difficoltà di concepire un oggetto non contenuto in essa. Un nome manca a questa creatura-di pensiero, per comprendere l'espansione di termini ordinariamente troppo distanti, e che si disperderebbero. Nessuno mi sembra più conveniente di quello di Leonardo da Vinci. Chi si raffigura un albero è costretto a raffigurarsi un cielo o uno sfondo su cui lo si veda ergersi, e vi è in questo una sorta di logica quasi sensibile e quasi ignota. li personaggio che io designo si riduce a una deduzione del genere. Quasi nulla di quanto ne saprò dire si dovrà intendere dell'uomo che ha illustrato tal nome: non perseguo una coincidenza che giudico impossibile mal definire. Cerco di dare uno sguardo sul particolare d'una vita intellettuale, una suggestione dei metodi che ogni scoperta implica, una, scelta tra la moltitudine delle cose immaginabili, scopo che s'indovina rozzo, ma in ogni modo preferibile alle serie d'ambigui aneddoti, ai commentari dei cataloghi di collezioni, alle date. Una tale erudizione non farebbe che falsare l'intenzione affatto ipotetica di questo saggio; non mi è sconosciuta, ma ho scelto di non parlarne per non dare occasione di confondere una congettura relativa a termini molto generali coi relitti esteriori d'una personalità ben dileguata, i quali ci offrono la certezza della sua esistenza pensante non meno di quella di mai conoscerla meglio. LI osservatore è chiuso in una sfera che non si rompe mai, dove ci sono differenze che saranno movimenti e oggetti, la cui superficie si mantiene unita, sebbtne tutte le sue parti si rinnovino e vi si spostino. L'osservatore non è dapprima che la condizione di quello spazio limitato, e ad ogni attimo egli è questo spazio limitato. Nessun ricordo, nessun potere lo turba mentre egli s'eguaglia a quello che guarda. E per poco che io possa concepir/o in un tale durare, dirò che le sue impressioni differiscono in minima parte da quelle che lo coglierebbero in un sogno. Egli perviene a sentire il bene, il male, la quiete come giunti 2 a lui da quelle forme tutte qualsiasi tra le quali s'annovera il suo corpo. Ed ecco lentamente alcune cominciano a farsi dimenticare, a essere vedute appena, mentre altre riescono afarsi scorgere - là dove sempre erano state. Una confusione assai intima dei mutamenti che provoca nella visione la sua durata, e la stanUniverso, di solito, tenta d'evocare) quanto il sentimento dell'appartenenza d'ogni oggetto che contiene (per ipotesi) di che definire ogni oggetto ... Un autore che compone una biografia - può tentare di vivere il suo personaggio o di costruirlo. E vi è opposizione tra le due scelte. Vivere è trasformarsi nell'incompleto. In tal se·nso, la vita è tutta aneddoti, particolari, istanti. La costruzione, al contrario, implica le condizioni a priori d'un'esistenza che potrebbe essere - TUTTA DIVERSA. Una tal sorta di logica porta nella serie d'esperienze sensibili a formare quello che sopra ho chiamato un Universo - e qui anche un personaggio. Si tratta, insomma, d'un uso del possibile del pensiero, controllato dal più di coscienza possibile. Tentativo immaturo di rappresentarsi un universo individuale. Un Io e il suo Universo, ammettendo che siano miti utili, devono, in ogni sistema, avere le stesse relazioni reciproche d'una retina con le sorgenti di luce.

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