perché le sovvenzioni al teatro. L'Agis afferma che senza i contributi statali e locali i biglietti dovrebbero essere messi in vendita a un prezzo dieci-<juindicivolte superiore, ovvero si dovrebbero chiedere per una poltrona dalle SO alle 75.IXXJ lire. I rontributi servirebbero insomma a formare un prezzo politico e sarebbero indispensabili. Ma non è affatto certo che sia cosi. Sappiamo che a volte i rontributi costituiscono un reddito d'impresa (cfr. Rodolfo Di Giammarco, «Si apre il sipario nonostante la crisi», in La Repubblica, 5 gennaio 1983), e che alcuni dei gruppi e artisti più apprezzati e rappresentativi del teatro italiano all'estero prendono meno, tutti assieme, del più insignificante e criticato organismo a gestione pubblica. Non solo, ma si sono affermati fuori e malgrado il sistema vigente. Se questa legge passa com'è, significa solo un aumento proporzionale dei fondi per quelli che già vi attingono, non un allargamento dei soggetti e nemmeno una razionalizzazione dei criteri di sovvenzione. La commissione centrale che dovrebbe valutare le domande è, tra l'altro, la somma incarnata dei pregiudizi culturali e dell'estraneità ai nuovi fermenti che hanno caratterizzato il passato recente del teatro italiano. 1n questi giorni i quotidiani ci danno una chiara idea di come si tenti di costringere a un'impostazione arretrata del problema. Da una parte il ministero non liquida i vecchi stanziamenti, dall'altra nulla si garantisce dei nuovi: cosl le formazioni più picrole corrono il rischio di dover chiudere, senza tante discussioni. Questo e altri segni dicono di un'atmosfera - se non di una volontà - di restaurazione, e costringono gli osservatori più sensibili a levarsi in difesa dei più deboli e a denunciare la situazione. L'arretramento diventa cosl generale: i killer e le loro vittime, intrappolate dalle contingenze, eludono i termini decisivi del problema. Non è detto che il denaro non possa essere distribuito altrimenti. Appena qualcuno ha parlato della perversità delle sovvenzioni, è stato sepolto da accuse di qualunquismo: il polverone della polemica ha consentito di non prendere in considerazione delle possibili altemative o delle sostanzi.alicorrezioni. Accenniamo alle più significative: detassazione (attraverso una specie di «fiscalizzazione» degli oneri sociali e di altro tipo, fino ai trasporti e alle affissioni) che sarebbe direttamente proporzionale alla produttività effettiva di ogni organismo; realizzazione di strutture autonome, le quali potrebbero rinnovare rapporti di produzione con compagnie e differenziare le politiche di ospitalità e promozione culturale; realizzazione di servizi, dall'informazione agli spazi murali, dai magazzini ai luoghi per provare, dalle biglietterie centrali elettroniche nei grandi centri alle compagnie di trasporto; eppoi l'incentivazione della sola forma corretta di formazione professionale oggi ipotizzabile, quella che nasce nel coordinamento tra insegnamento sul campo acquisito per apprendistato, e insegnamento storico-teorico che spetterebbe all'università; moltiplicazione dei punti di accesso alla produzione spettacolare (perché separare il teatro?) con una politica di luoghi di accoglienza e supporti tecnici anziché sovvenzioni. Tutto ciò non per creare una sorta di paradiso del teatro, che anzi bisogna ricordarne l'importanza marginale (e la sopravvalutazione di principio è sempre sospetta). Bisognerebbe perciò non incentivare le concentrazioni, i coordinamenti e la capillarizzazione di organismi «pluralistici» che sono la palude della cultura (abbiamo casi di teatri di quartiere o simili, con bilanci ridicoli, che sono gestiti con la stessa complessità sottogovemativa e lottizzatrice che domina alla Rai ... ). Il teatro è sicuramente utile a chi lo fa e solo incidentalmente a chi lo consuma. Bisogna trattarlo con la sua tipicità, ovvero moltiplicare le possibilità di accesso e non sostituire l'alea dell'esito artistico con un apparato assistenziale: in una parola, non imporlo. Cultura e professionalità sono categorie usate in modo mistificante: infatti, né l'una né l'altra sono rintracciabili in molti dei «teatri-modello», e servono piuttosto a frenare l'accesso ai finanziamenti. Il teatro è oggi, nella sua nonna, uno strumento di divulgazione ascientifica, di coltura dell'incompetenza, al contrario di altre discipline e sport. La sovvenzione è prefigurata per premiare il successo di pubblico ottenuto con operazioni di marketing piuttosto che tramite la qualità, e tende a incentivare comunque una «innovazione d'inseguimento» dei caratteri consolatori in evoluzione (moCathyBerberian Aldo Premoli «If you think about the sense, the sounds would take care of themself,.. Lewis Ca"oll U na voce bellissima, ca/dii, vibrante, quella della scomparsa Cathy Berberian, una di quelk che penetrano immediatamente nel cervello. E vi si riverberano, anche dopo, quando il recital è finito e la sala si è svuotata. Una voce capace di gravi conturbanti e guizzi argentini di cui pare impossibile prevedere il tetto. Ma non solo «una voce». Cathy Berberian apparve a/l'orizzonte dellamusica europea negli anni cinquanta, stagione di enorme importanza inventiva, ma quasi senza reazioni tra il pubblico. Del resto, quando k reazioni vennero non furono sempre positive. Con il proprio passato (anche quello collettivo) si tende spesso a essere più indulgenti del dovuto. Cosi ora si ricordano con piacere gli episodi in cui l'autorità dell'interprete sottomise l'uditorio incredulo sulla validità della partitura; come accadde per la prima esecuzione scaligera di S.-.quenza III. Certe accoglienze negativissime, quando non insultanti, ricevute durante piccole manifestazioni o importanti festival, si preferisce invece scordarle. A noi non pare giusto. Per la pienezza dei mezzi e la rara intelligenza, la Berberian avrebbe potuto, sin da allora, praticare un repertoriopiù gratificante sotto l'aspetto del successo e del guadagno; scelse invece, con naturakzza, la «nuova musica». Da ultimo, intorno alla «divina della musica contemporanea», al1'«usignolo de/l'avanguardia», al «mito vivente», il consenso era divenuto unanime. Tuttavia, anche il successo più recente non va esente da incertezze. Al termine dei «salotti» musicali in cui, accompagnata dal solo pianoforte, trasvolava dalla musica barocca alla contemporanea, attraversoilfolk-song e la canzonetta, ogni volta giungeva certissimo il tributo dell'applauso. Resta da capire se indirizzato a/l'ironia e allo spirito del cabaret che infondeva nei suoi spettacoli, o al modo di risolvere i problemi dell'interpretazione antica e della ricerca contemporanea. Problemi che per comprendere il personaggio Berberian non possono in alcun modo venire sottovalutati. Cathy non era solo una voce, abbiamo detto. Di origine armena, era nata in Massachusetts e vissuta a New York; aveva studiato da mezzosoprano a Tanglewood prima di giungere in Italia nel '49, un anno dopo avere sposato Luciano Berio. Dotata di cultura classica, cantava agevolmente in dodici lingue (compreso il turco, il greco antico e moderno, l'ebraico, il russo e il natio armeno). I compositori che scrissero per lei (oltre a Berio, Strawinskij, Cage, Bussotti e Henze) sapevano di doversi misurare con doti assolutamente al di fuori del comune: non si accontentava di ricevere, interveniva. E non solo con i compositori contemporanei. La Lettera amorosa di Monteverdi, nella sua interpretazione, diviene l'auscultazione delle emozioni di una donna che scopre di essere amata - e non, come era accaduto fino ad allora, un brano da conservatorio scritto quattro secoli fa. La musicalità e l'istinto, guidati dalla sapienza, le permisero questo miracolo: l'antico recitar-cantandodella camerata fiorentina reagisce qui con lo B,uiotecaginobianco spreachgesang del Pierrot Lunaire di Schonberg. Tanto nei recital che nei dischi la Berberian faceva seguire a Monteverdi le Chansons de Bilitis di Debussy: e non a caso, tra i contemporanei, lo riteneva quello più vicino allo stile liricoprimitivo («Ilfatto è che fare queste cose non è solo una cosa vocale. È soprattutto una cosa mentale. Anzi, direi che più dell'BOper cento del cantaresta nel cervello e trovo che, quando uno deve fare un altro stile, è proprio la disciplina mentale che permette a Ritratto di Cathy Berberian, di Roberto Zamarin (Gasparazzo) un cantante di trovare subito... Se pensi, se ti concentri sul significato, il suono verràfuori da sé, ed è favoloso questo» La voce di Cathy Berberian, intervista raccoltaper li piccolo Hans n. 35, luglio-settembre 1982). L'esecuzione diventa così un atto creativoper eccellenza. Sylvano Busso/ti confessa di aver costruito «O» - Atti vocali come «un collage sulle possibilità della voce di Cathy », eppure tanto in «O» che in Fontana Mix e Tue Wonderful Window of the Eighteen Spring di Cage non è ancora raggiunto quel margine di indipendenza compositiva così evidente in Circles, Visage e Sequenza III di Berio. Nessun compositore possiede strumenti così raffinati da indicare come si deve «cantare la voce» in questi brani. In Circles la cantante invade di continuo la zona strumentale sino ad assumerne la guida («la voce poi come strumento è molto più interessantedi uno strumemo normale» perché «abbiamo la parola che credo sia la base di tutto il canto»). In Visage la capacità di tessitura sonora della cantante suggerisce le alchimie elettroniche di Berio in modo ancorapiù evidente: l'immagine psichica della protagonista si compone attraverso la dizione e il colore delle sillabe che raramente giungono ali'articolazione della parola completa. Ne nasce uno schema di movimento scenico, una larva di teatromusicale che Sciarrino ha per esempio furbescamente riproposto di recente nel suo Lohengrin, tagliato sulle possibilità vocali di Gabriella Bartolomei. Cathy nel '61, la Bartolomei nel/'83: segno che il «Berberianstyle» ha fatto scuola. Di tutt'altro genere era stata la maniera di Demetrio Stratos nel recepirequesto insegnamento («Ma la voce per me, a parte la comunicazione nella vita normale, quotidiana, è la mia esistenza, è il mio bisogno di comunicare come persona... Non è l'applauso, non è quello che succede, ma il contatto diretto con il pubblico, il cantare, e mentre si canta - perché si è schizofrenici in quel momento - si ha il controllo della voce... la voce che è tua; e poi fra dellizzati dai serial tv fino ai minimi dettagli recitativi), oppure a premiare una periodica penitenza culturalistica del consumatore per l'evasione cercata altrove. D'ora in poi la cultura e l'informazione diventeranno decisive per quella riqualificazione dei modi di produzione e dei consumi che caratterizzano il passaggio dalla conclusa fase di espansione (basata sul marketing) a una di relativa stagnazione, in cui la sopravvivenza di mercato si conquista solo con le specializzazioni e la concorrenza. Questa legge è anacronistica perché non ha saputo cogliere pragmaticamente le incertezze del presente, e ripropone una figura storica obsoleta del teatro: propone la conservazione di qualcosa che si sta uccidendo da sé per inseguire il gusto corrente, e ignora quei fermenti di produzione dell'immaginario attraverso pratiche attorali inedite che sono il miglior teatro di oggi, da incentivare nella sua ricerca di forme. Il problema della conservazione esiste ed è importante, riguarda i monumenti e i residui della tradizione, a volte preziosissimi. È però contestabile che una buona conservazione possa essere assicurata da chi odia il presente. Vecchio e nuovo sono nello stesso habitat: l'equilibrio non si trova per decreto ma consentendo a tradizione e ricerca di mettere in gioco la loro produttività (anche in questo senso l'esempio francese è significativo). Certo, le norme non hanno il potere di creare un teatro a loro immagine, ma hanno un peso terribile e crescente. Non è utile né corretto, oggi, occuparsi di teatro senza sapere quali strutture e condizioni agiscono tra le quinte dell'evidenza estetica. l'altro, tu sei lo strumento»). Le conseguenze sociali che Stratos ricavada questo modo di intendere la vocalitànon trovano la Berberian impreparata, anche se l'aspetto politico è assolutamente estraneo al suo modo di intendere la musica. Qualsiasi espressione, qualsiasi modo per comunicare, può essere amalgamato al canto tradizionale: il parlato, il sussurro, il riso, il pianto, il grido, la tosse, il canto jazz, il battito delle mani, lo schioccare delle dita, la risonanza ottenuta usando la mano come fosse una sordina da cornetta davanti alla bocca. Nella Sequenza III per voce sola tutto questo c'è già. Ma della sua voce-strumento che le consentiva di interpretare Ticket to Ride su note acutissime, come fosse una romanza, e Summertime su suoni bassi e vibranti, solo lei conosceva tutti gli umori. Così si scrisse un brano da sé: in Stripsody le sue doti drammatiche e quelle vocali convivono in perfetto equilibrio. Rare frasi («It's a bird! lt's a piane! No, it's Superman!» o «You stupid hite come down out of the tree») in una partitura fatta di figurine e onomatopee dei comics («stomp, stomp, bleath! boing! pah! trrrr! chomp, chomp, sob! splash!») in cui compaiono anche la Callas («Sempre libera... »), Marlene Dietrich e Marylin Monroe («Oh! Smack!»). Con Stripsody, insomma, il cerchio sembrerebbe chiudersi: l'esecutore si è trasformato in compositore portando alle estreme conseguenze la tendenza, propria della musica contemporanea, a creare in stretto contatto con i meccanismi dell'esecuzione. Se non che, questo ruolo di musicista che nessuno le avrebbe negato, Cathy Berberian lo ha rifiutato sino all'ultimo.
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