Alfabeta - anno V - n. 47 - aprile 1983

Lanuovaleggesulteatro Norme per una disciplina organica delle attività teatrali di prosa Senato della Repubblica settima commissione permanente 10 luglio 1982 Lf imminenza di una legge sul teatro, la prima del dopoguerra, ci consente di gettare uno sguardo sul funzionamento ai più sconosciuto di questo settore, ma anche di testimoniare per mezzo di un esempio dei processi di ristrutturazione cui, più in generale, è soggetta la produzione culturale. Di importanza non secondaria è il ruolo dello Stato in queste faccende: uno Stato-ostaggio di interessi corporativi. In questo articolo descriveremo il modo in cui sono state assegnate le sovvenzioni fino a oggi e come dovrebbe funzionare la nuova legge; seguono delle brevi ipotesi alternative, nel senso di una razionalizzazione o per una radicale conversione dei criteri. Finora lo Stato per assegnare sovvenzioni emana ogni anno, attraverso il ministero del Turismo e Spettacolo, una circolare che detta i criteri di compilazione delle domande. Le cifre richieste vengono definite presso I'Agis (Associazione generale italiana dello spettacolo) dalle compagnie che fanno parte di una delle sue sezioni (compagnie private, teatri stabili, cooperative, sperimentali, teatro ragazzi) e presentate al ministero, il quale - per mezzo di una commissione - ripartisce le somme a disposizione. È anche possibile chiedere sovvenzioni direttamente, senza la mediazione dell'Agis. I criteri sono diversi per ogni settore (e a ogni settore corrisponde un articolo della circolare). Le sovvenzioni possono essere assegnate come avviamento e come consuntivo. Formalmente, le sovvenzioni servono ad appianare il passivo del bilancio stagionale della compagnia, e al programma di attività si allega perciò un bilancio di previsione che motiva contabilmente la richiesta. Ma i criteri riguardano essenzialmente il numero di recite a pagamento effettuate (borderò), la quantità e la qualifica delle persone impiegate, le giornate lavorative, i biglietti venduti, l'opinione della stampa, l'allestimento di testi vecchi e nuovi d'autore italiano, le attività promozionali, le rappresentazioni in zone culturalmente depresse, ecc. Sono criteri • orientativi e non automatici, mentre le decisioni della commissione sono (dovrebbero essere) segrete, e insindacabili. Alla commissione partecipano rappresentanti dei diversi settori produttivi, delle parti sociali e politiche e dello stesso ministero. li riconoscimento della sovvenzione avviene per lettera, ma il versamento effettivo tarda di molto (in media: oltre un anno di attesa); di norma le compagnie si fanno scontare le suddette lettere da una sezione speciale della Banca nazionale del lavoro. La richiesta di sovvenzioni statali non è incompatibile con quella L a sovvenzione statale al teatro di prosa ha toccato quest'anno la quarantina di miliardi e con la legge dovrebbe diventare di 80-90 miliardi. Pare (perché in questo senso non esistono statistiche) che il denaro statale provochi un flusso corrispondente dagli enti locali e altri soggetti; in questo modo si dovrebbe passare dai circa 80-85 miliardi di oggi a circa 180 miliardi in futuro. li progetto di legge è stato approvato nel luglio scorso dalla commissione permanente del Senato, all'unanimità, dopo discussioni ultradecennali. Se il governo Spadolini non fosse prematuramente caduto, oggi la legge sarebbe già esecutiva. All'uscita della bozza della commissione i giornali hanno dedicato diverse pagine alla faccenda, e tra i tantissimi intervistati non ce n'era uno che si dichiarasse soddisfatto. L'osservatore poteva chiedersi chi l'avesse fatta quella legge. L'hanno fatta, in sostanza, coloro che se ne lamentadi altri finanziamenti: comunali, no. regionali, di enti pubblici o privati. La legge è un'altissima alchimia Su ogni fronte la contrattazione è delle richieste di ognuna delle pardiversa, secondo le norme e i rap- ti in causa (teatranti, ma anche porti di forza contingenti. partiti, regioni, associazioni). Ov- 'Bib otecag1ob1anco Antonio A rtisani viamente non rappresenta in pieno le richieste di alcuno, ovviamente a tutti sembra la caricatura di ciò che avrebbe dovuto essere. È un ibrido di perfezione mostruosa e una sintesi premonitrice della logica perversa, di corporativismo imperfetto, che oggi domina il funzionamento degli enti pubblici. Prima di cercare una spiegazione, notiamo che il passato già attira le nostalgie del buon senso. La circolare ministeriale, infatti, per quanto discutibile, veniva stilata ogni anno e in una certa misura registrava le novità di struttura. Oggi si sente dire tra i professionisti del teatro che, se non fosse per l'incertezza perenne sulla cifra globale e per il ritardo nei pagamenti, in fondo la circolare non sarebbe così male. Alla richiesta se non sia allora possibile ovviare a quei disguidi, la risposta è che sì, ma ci vorrebbe un intervento legislativo, il che significherebbe mettere in moto gli stessi meccanismi. «Lo Stato considera le attività di prosa di rilevante interesse nazionale, in quanto mezzo di espressione artistica e strumento di formazione dei cittadini e di affermazione della cultura italiana all'estero». Ma queste parole del prologo, a parte il piglio volitivo, non spiegano il perché di questa «considerazione» né soprattutto con quale scopo lo Stato dovrebbe metterci del suo. Riguardo ai soggetti sovvenzionabili è presto detto: tutti, privati e pubblici, coloro che si dedicano alla produzione, promozione, ricerca, formazione, distribuzione, con apertura ai festival e manifestazioni straordinarie, e una particolare attenzione per il repertorio italiano e il lavoro svolto all'estero. La legge estende i suoi criteri alle regioni, che dovranno adeguare le proprie nonne in materia ed estendere l'intervento alle formazioni non professionali, all'università e alla capillarizzaziooe della distribuzione. Le regioni devono presentare programmi annuali e funzionare analogamente tramite commissioni (allargate, nel loro caso, a «esponenti del mondo della cultura»). Per gli organismi a gestione pubblica (che potranno essere fino a due per regione) sono previsti programmi triennali, sospensione dei contributi e ricambio dei dirigenti in caso di disavanzo. li Piccolo Teatro viene elevato a teatro nazionale, e sono fissati i criteri con cui altri se ne faranno (criteri che non si adattano completamente al Piccolo e ai quali quasi tutti gli altri teatri stabili credono di corrispondere) e quelli di revoca. Il 75 per cento dei fondi è gestito direttamente dallo Stato, il 20 per cento ripartito tra le regioni e il 5 per cento destinato come plus alle regioni meridionali e insulari. La commissione centrale è un altro ostaggio della democrazia perfetta. È composta da 26 persone più il ministro: 4 rappresentanti di vari ministeri, 6 delle regioni, 7 del ministero dello Spettacolo, 1 dei critici teatrali, I degli autori, I dell'Eti, 3 dei sindacati, I dei teatri pubblici, I dei comuni, I delle province. Dura in carica tre anni e può deliberare con la presenza di un terzo dei membri, cioè 9. Non si dice della sua frequenza di lavoro, né del compenso professionale che spetta a chi vi è impegnato. Altri aspetti della legge: è assicurata una sovvenzione all'Eti, un'altra all'ldi; viene creato un piccolo fondo per l'edilizia teatrale (5 miliardi in cinque anni); si aumenta il fondo di credito presso la Bai e viene rimandato il problema dell'Accademia nazionale d'arte drammatica (viene detto in proposito che si farà un nuovo statuto, e che l'Accademia sarà finanziata con un apposito fondo). Due positive novità: 1'80 per cento delle sovvenzioni viene erogato al momento dell'assegnazione e il resto a consuntivo, mentre è prevista una revisione triennale dei requisiti di richiesta. Insomma, lo Stato allarga le braccia e mette sul tavolo quello che può, mentre tutti i produttori riconosciuti si fanno carico di regolare i rapporti di forza intersettoriali e tra componenti politiche, sicché tutto resterebbe come prima, ma stabilizzato. I finanziamenti sono dati per appianare i passivi e dunque crescono con questi: una volta che on teatro avrà ottenuto l'idoneità alle sovvenzioni, dovrà ampliare ragionevolmente di anno in anno il divario tra costi e ricavi puri. I pretesti «culturali» per farlo sono definiti in via di principio. Pur comprendendo la difficoltà a formulare criteri oggettivi per pianificare una simile spesa, è da rilevare come la legge eluda anche una semplice prospettiva di razionalizzazione, di finanziamento in base a verificata produttività. L'esempio francese ci dice che quella prospettiva è praticabile, con effetti di maggiore articolazione pluralistica dell'unanimismo assistenziale italiano (cfr. in proposito Renzo Tian, «A suon di Teatro», in Il Messaggero, IO febbraio 1983). D oveodo pensare a una nuova legislazione in materia, ci si poteva aspettare di meglio, e non per determinismo ideologico ma in base a un'interpretazione dell'esperienza degli ultimi anni. Invece di dare per scontato che si dovesse sostenere e rafforzare il quadro precedente, si trattava di prendere atto della sua crisi, che non può essere occultata dal semplice incremento di biglietti venduti. Innanzi tutto, c'è da chiedersi

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