Co-identità Elvio Fachinelli Claustrofilia Saggio sull'orologio telepatico in psicanalisi Milano, Adelphi, 1983 pp. 199, lire 8.000 La freccia ferma Tre tentativi di annullare il tempo Milano, L'Erba Voglio, 1979 pp. 171, lire 4.500 11 precedente libro di Elvio Fachinelli, La freccia ferma, era una singolare riflessione a partire da un caso: un modo bloccato di vivere la scansione temporale. Ma il caso del tempo vissuto ossessivamente - notava Fachinelli - ha una verità implicita che riguarda l'esistenza individuale di ciascuno, verità retrodatata al momento di una difficile scelta infantile tra appartenenza e distacco dall'altro. L'immagine evocata era quella di una stretta passerella in cui, come un equilibrista, ciascuno deve cercare di mantenersi. Il tempo lineare e progressivo, il nostro «tempo sociale», cancella il ritmo più profondo che scandisce l'equilibrio instabile a cui continuamente dobbiamo provvedere. Così il quadro curioso disegnato da Fachinelli andava dilatandosi nel corso della narrazione, e dal caso di un ossessivo giungeva a considerazioni poco rassicuranti sulla nostra scena storico-sociale, ormai svuotata di ogni relais simbolico o rituale in grado di far circolare il dilemma individuale attraverso l'unico medium - la scena sociale, appunto - che possa attenuarne l'irrigidimento e il blocco. tempo - qui i tempi dell'analisi, quello spezzettato della singola seduta (che tende ad abbreviarsi) e quello lento, quasi immobile dell'intero trattamento (che tende ad allungarsi indefinitamente) - si trasforma più che espandersi. La scena si sposta in un prima che precede la zona in cui la regressione freudiana poneva i suoi limiti: si supera a ritroso il confine della nascita e si entra in un'area ipotetica, seppure già indagata da ricerche sullo psichismo prenatale (Fachinelli si rifà a quelle dell'argentino Raskovskij e dell'italiano Mancia). Contemporaneamente è Pier Aldo Rovatti disposta, i fili non potranno essere sciolti e anzi gli interrogativi saranno stati moltiplicati. Già il titolo si presenta come un intrico: «Claustrofilia. Saggio sull'orologio telepatico in psicanalisi». Cosa lega la claustrofilia con l'orologio telepatico? E, posto che si venga in chiaro sulla claustrofilia (tendenza al chiuso, a rinchiudersi, come leggiamo a p. 63), cosa è mai questo «orologio telepatico»? La sorpresa e il rebus da decifrare indicano al lettore che genere di storia si accinge a seguire. E la sorpresa di Fachinelli di fronte all'intervistatore dell' Espresso che da buon giornalista coquello teorico, perché l'espressione «orologio telepatico,. pretende a un preciso contenuto di°pensiero, a quello autobiografico, quasi irrilevante, quando Fachinelli decide di far visita a un «esperto,. (ricavandone l'indirizzo dall'annuncio di un giornale) per poi arrestarsi, con un moto di riso, dinanzi alla sconcertante coincidenza tra il nome della via in cui dovrebbe recarsi (via Plutarco) e quello comparso poco prima in una seduta, proprio in uno di quei sogni che egli utilizza nel libro per le sue ipotesi (via Pompeo, «che sentivo nominare per la prima volta»). Questa dilatazione non sembrava comunque la cifra più genuina della ricerca, la quale visibilmente era percorsa da una tensione verso qualcos'altro. Come recensore non specialista di questioni psicanalitiche, ero rimasto colpito dal tentativo di Fachinelli di costruire una «narrazione teorica», estranea ai modelli saggistici correnti e anche ai moduli psicanalitici che pure si servono da sempre del racconto dei casi. Inseguendo un tema che già di per sé sembrava domandare un trattamento non codificato in una forma comune di esposizione, mi pareva che Fachinelli mirasse a un'operazione ambiziosa quanto interessante: stringere in un unico impasto espositivo registri diversi, saggistico, autobiografico, narrativo (una narrazione con colpi di scena e ritrovamento dell'incastro sulla base di indizi non congruenti), ma senza rinunciare al risultato conoscitivo. Le reazioni di Samuel. La sequenza delle trentasei foto, scattate a intervalli irregolari, ha coperto un tempo di 40 minwi circa (mentre sullo schermo passavano due cartoni animati). Questo tipo di narrazione non voleva funzionare come un materiale da consegnare, alla fine, alla riflessione interpretante: mi sembrava che, all'inverso, l'intenzione fosse, pur con le molte e dovute cautele, quella di rifondere l'interpretazione nella narrazione, e di conseguenza quella di conservare la molteplicità dei piani e degli spunti, anche abbozzati o solo suggeriti; e inoltre di non collocarsi, come autore, fuori della scena ma, nella misura del possibile, di venirne a costituire un elemento interno. la cosiddetta «scena primaria» a fornire il riferimento: il bambino che osserva da fuori qualcosa e qualcuno (la madre) che però vive anche pienamente da dentro. Ma una terza scena è sotto gli occhi, e certamente è la più prossima: il colloquio analitico, appunto quell'ora scarsa che tenderebbe a diventare senza tempo, non certo e non solo per l'astuzia commerciale di un'istituzione. Piuttosto c'è da c.hiedersi: su cosa così saldamente si mantiene questa capacità imprenditoriale? Dire «transfert» è troppo poco, per Fachinelli. Un ulteriore spazio si intravvede, a tratti, accanto a queste scene. Più defilata, quasi a margine, ma ben presente, sta la scena privata dello psicanalista Fachinelli: pensieri, dubbi, lapsus, interessi e preoccupazioni personali che affiorano e talora diventano predominanti anche perché si intrecciano con il resto, dalla lettera all'editore tedesco a proposito del titolo da dare alla traduzione della Freccia ferma (non senza un poco di 11 nuovo libro, Claustrofilia, è esibizionismo intellettuale), alla uscito a breve distanza di anni, questione del trasloco dello studio come una continuazione. Man- (preoccupazione ben reale oltre i tiene questo carattere, nonostante risvolti simbolici). siano alquanto cambiati i temi e Anche qui, dunque, e ancora più ora l'ambizione scientifica punti a marcatamente, il lavoro del teorico un bersaglio più grande (corregge- è la messinscena di una storia a più re Freud integrandolo su un punto fili, dove accadrà che, per tentare di Bib nròteca g rrroo 18 rìbctrli secondo una trama preglie al volo la «telepatia» per fare il pezzo è, come dire, «dovuta» più che autentica (cfr. «Viva la telepatia», in L'Espresso, 30 gennaio 1983). Di questi fenomeni paranormali Freud si interessava in privato, anche se poi in pubblico era molto cauto: la maggior parte degli psicanalisti - annota Fachinelli - «ha ereditato la cautela e perso l'interesse». Sul quale interesse, abbastanza marginale nel libro (ed è il suo modo di spiccare), in ogni caso tutti i registri della storia vengono chiamati a misurarsi: da Le varie scene si intrecciano, infatti, sotto il segno della ricerca di un «rapporto» che ha a che fare con ciascuna di esse. Nel rapporto tra due persone accade qualcosa che non si lascia definire nei modi usuali: lì il tempo tende a un appiattimento, e forse ad annullarsi, la comunicazione mostra un'intensità tale che forse è possibile uno scambio. Ma non si tratta propriamente di una fusione, di un'identificazione totale nell'altro, o di una duplicazione. Lacan è chiamato in causa nell'ultimo capitolo del libro a proposito delle sedute brevi e delle interruzioni che costringono a una precipitazione e alla rottura di una continuità. Non sembra però che Fachinelli restituisca a Lacan la pregnanza (e la complessità) di uno dei suoi saggi più ispirati, quello appunto sul «tempo logico,.. D i nuovo il discorso resta sospeso, e chiede un'altra continuazione. Intanto, Fachinelli ha lasciato il filo del tempo (che non è certo sciolto, come può sembrare dalla strutturazione del libro) e si è rivolto a un oggetto più inquietante, la co-identità. E forse la vera polemica con Lacan è a questo punto sottintesa, e riguarda il «rapporto duale», relazione di reciproca cattura, rischio dell'immaginario per Lacan sempre in agguato e tanto più nella seduta analitica. L'ipotesi che i sogni non si arrestino alla soglia della nascita ma trascinino un fondo più antico e pur sempre individuale, e il primo tentativo di attraversare quest'area che viene qui chiamata claustrofilica, produce dei risultati, dei materiali, delle persistenze simboliche che, nella narrazione, solo di sfuggita vengono considerati per il loro autonomo valore teorico. Subito infatti si spostano di registro: se hanno qualcosa da dire, dovranno aiutarci a sbrogliare l'enigma di un «incontro» cui - pare - vogliamo restare attaccati accettando come un vantaggio il rischio di una perdita, almeno parziale, della nostra identità individuale. Così, mentre il problema tecnico che veniva sollevato («perché l'analisi tende a divenire interminabile?,.) sembra liberato di qualcuno dei suoi veli attraverso l'individuazione di un'area in cui il bambino non ancora nato e la madre che non l'ha ancora partorito sono assorbiti in una unità ancora più persistente di quella che poi sarà data a vedere dopo la nascita, e dunque in essa «chiusi» (e si tratterà allora di rompere quest'involucro o questo cordone), è proprio a questo punto (su cui gli specialisti avranno molto da discutere) che il libro di Fachinelli mostra quel «di più,, che la narrazione aveva fatto intravvedere fin dall'inizio. Lo scioglimento programmato del rebus che si era spinto fino alla costruzione enfatica della formulazione stessa dell'enigma (si pensi ancora al titolo) inciampa in un limite interno. Il vero rebus è quello che non era stato messo in programma perché esce dalla psicanalisi. La tesi da dimostrare è ormai scavalcata da una storia che tende a esplodere in varie direzioni. Fachinelli si dimostra consapevole di questo. Il montaggio delle varie scene non è infatti solo un espediente per catturare l'attenzione e farla poi approdare alla «scoperta» teorica. Tra la «cattura» di cui parla Lacan (ma perché non Sartre, e, genealogicamente, perché non Hegel?) e la «doppia cattura» di cui è sembrato delirare Deleuze, ferocemente anti-analitico, si situa uno spostamento teorico che anche Fachinelli ha sotto gli occhi. Quel mondo metaforico e allusivo di acque che si mescolano, di differenze che si scambiano, di giardini meravigliosi e di fortezze buie, che si disegna nell' «area claustrofilica» prenatale, è, intanto, davvero da neutralizzare? Anche Fachinelli dubita che sia poi il «chiuso» a predominare e che non si tratti solo di fare i conti con il passato. La co-identità è misteriosa, non assurda. Vi oscilla l'identità individuale, su cui ci siamo ortificati per secoli: attività e passività agiscono da entrambi i lati, col rischio che uno schiacci l'altro, ma senza che ciò sia necessario. C'è dunque un altro principio di individuazione che la coscienza individuale non può che tradire? È eccezionale, o è invece una normalità da cui lo sguardo rifugge per abitudine e per timore? Che cosa precisamente sta mimando la seduta analitica? Una realtà sepolta o una dinamica quotidiana? Anche Fachinelli, pur con i piedi ben saldi sul terreno psicanalitico, è incerto. E se quell'amore per il chiuso fosse di fatto una spinta all'aprirsi, la condizione minima, seppur complessa, che regge ogni rapporto?
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