Alfabeta - anno V - n. 46 - marzo 1983

formazioni e valutazioni sulle loro conseguenz.e. Ma lo scenario non era inatteso ed è possibile ricorrere alle analisi precedentemente pubblicate dalla stampa italiana ed internazionale. Intanto, si può prendere atto della dichiarazione rilasciata dal segretario di Stato americano George Shultz dopo l'annuncio della Nigeria: il ribasso del petrolio «è una buona cosa», a patto però che la serie di ribassi non si trasformi in una corsa incontrollata - riferisce il Corriere della Sera (La Nigeria rib- il prezzo del greggio, 21 febbraio 1983, p.5). Volendo un indicatore della sensibilità che la stampa italiana dimostra verso questi drammatici e decisivi sviluppi dell'economia mondiale, si può osservare che la notizia del ribasso nigeriano è nella prima pagina del Corriere della Sera, ma non in quella della Stampa, del Giornale, del Giorno e del- !' Unità. La maggior parte dei commenti e delle analisi, dopo la riunione Opec del 24 gennaio, propendeva per una valutazione positiva degli effetti che il controshoc petrolifero avrà sull'economia mondiale, in particolare sulla ripresa nei paesi industrializzati. La reazione più vistosa è stata quella del compassato The Economist, la cui copertina del 29 gennaio mostra Popeye mentre ingoia non già spinaci, ma il contenuto di una lattina di benzina. Nell'editoriale di apertura si legge: «C'è la speranza che i grandi paesi industriali possano presto venire inondati di petrolio mediorientale meno caro e più abbondante. Ciò darebbe una opportunità per uscire dalla recessione inflazionistica del 1973-83e per entrare in un boom non-inflazionistico nel periodo 1983-93.Il petrolio a basso prezzo potrebbe rivelarsi tanto corroborante per le stanche economie occidentali quanto gli spinaci lo erano per Popeye» (Now trive Popeye, The Economist cit., p. 13). La valutazione dell'Economist è, generalmente, condivisa dalla maggior parte della stampa, anche specializzata; ma, spesso, i toni sono molto meno entusiastici e non mancano preoccupazioni di segno opposto. Per comprendere queste preoccupazioni, bisogna tenere presente la intricata situazione dei flussi finanziari internazionali che accompagnano i flussi di petrolio. Sull'altra sponda dell'Atlantico, un settimanale altrettanto «autorevole» dell'Economist, Business Week, ha pubblicato un articolo intitolato li panico finanziario che il petrolio potrebbe scatenare. «Mentre molti economisti sostengono che il ribasso può solo portare a una crescita economica più forte, i banchieri internazionali debbono far fronte a sei mesi di crisi prima che il mondo risenta di qualche beneficio di lungo termine». Il fatto è che già nel 1982 i paesi Opec, per la prima volta dalla «crisi petrolifera» del 1973,hanno registrato un deficit nella loro bilancia dei pagamenti; in sostanza è scomparso il surplus di petrodollari che le banche internazionali bitamento complessivo verso l'estero di 161miliardi di dollari ..Lo stesso Business Week riferisce l'opinione di William J.McDonough, vicepresidente della First National Bank di Chicago, una delle maggiori banche Usa: «Se il prezzo scende molto al di sotto dei 30 dollari, penso che assisteremo a una caduta libera che equivale al caos nel sistema finanziario. Si avrà una crisi di liquidità, su questo non c'è dubbio» (The financial panie that oil could set off, in Business Week, 14 febbraio 1983). Se The Economist vede nella diminuzione del prezzo del petrolio un fattore decisivo per togliere il «mondo dal cornicione», Business Week restituisce l'immagine opposta: il controshoc petrolifero pone il mondo in una drammatica corsa contro il tempo, in cui risulterà decisivo far uscire l'economia mondiale dalla recessione prima che la crisi di liquidità provochi il panico finanziario. In pratica, la sola speranza a breve termine è riposta nella ripresa dell'economia americana, l'unica che appare in grado di «trainare» le altre fuori dalla stagnazione del commercio mondiale e dalla spirale delle strette creditizie. Ciò spiega perché la stampa economica internazionale scruti con il fiato sospeso gli indicatori statistici che dovrebbero segnalare la fine della recessione americana e l'inizio della «recovery» salvifica. Se la ripresa americana non si farà attendere e risulterà abbastanza forte da «trainare» le altre economie occidentali - soprattutto quella giapponese e tedesca - allora anche la domanda dei beni dei paesi in via di sviluppo (a cominciare dal petrolio) potrebbe crescere. Paesi come il Brasile, la Corea del Sud o l'Argentina si gioverebbero dei bassi costi del petrolio per alimentare la ripresa delle proprie esportazioni. Di conseguenza, i paesi in via di sviluppo (produttori o importatori di petrolio che si.a/ no) vedrebbero diminuire il proprio fabbisogno di valuta e allenterebbero la pressione sul sistema bancario internazionale, allontanando i pericoli di insolvenze a catena e di panico finanziario. In effetti, durante il mese di febbraio i segnali di ripresa hanno cominciato ad accendersi nel quadro degli indicatori statistici che seguono mese per mese (talvolta settimana per settimana) la dinamica dell'economia Usa. L'opinione prevalente è che i segnali siano abbastanza forti e univoci da dimostrare che la recessione è finita. La loro interpretazione, come vedremo, è tuttavia abbastanza delicata e alcuni osservatori temono una ripresa di corto respiro ovvero troppo debole. Nei loro numeri di fine anno, i maggiori settimanali americani, Time e Newsweek, hanno usato, nelle loro previsioni per il 1983, lo stesso aggettivo per qualificare la natura della «recovery»: elusive. Time ha aggiunto considerazioni pesantemente ironiche sui centri di previsione che, nel corso del 1982, avevano più volte annunciato la fine della recessione: «I centri «riciclavano» verso i paesi impor- di previsione che scrutano l'oriztatori di greggio, in particolare zonte alla ricerca di una ripresa verso quelli in via di sviluppo. economica cominciano a sentirsi La diminuzione delle vendite e un po' come Vladimir ed Estrai! ribasso dei prezzi, nel corso del gon, i frustrati della commedia 1983, porteranno ancora più in Aspettando Godot che continuano ~ rosso i conti di molti paesi petroli- ad aspettare qualcosa che non acferi; non solo le banche internazio- cade mai» (The elusive recovery, nali vedono prosciugarsi le fonti in Time, 27 dicembre 1982, p. 47; che alimentavano il castello di 500 Chasing an elusive recovery, in miliardi di dollari prestati ai paesi Newsweek, 3 gennaio 1983, p. 44). in via di sviluppo, ma debbono I dati più significativiche indicaprovvedere al finanziamento di al- no l'inizio della «recovery» sono: cuni paesi petroliferi che ora ri- la diminuzione del tasso di disocschiano la bancarotta. Fra essi, il cupazione durante il mese di gen- ~ Messico resta il caso più grave; ma naio ( dal 10,7 per cento al 10,2 :: non bisogna dimenticare che, se- per cento); l'aumento della produ- ~ condo i calcoli di Business Week, zione industriale ( +0,9 per cento) ~ Messico, Venezuela, Nigeria, Jn- e del tasso di utilizzazione degli ru {!55l e ·d!"s I c1a n ianti (dal 67,3 per cento al 67,8 per cento), sempre nel mese di gennaio. Non è naturalmente nelle nostre competenze analizzare il livello di affidabilità di tali indicatori. D'altra parte, nuovi dati saranno presto disponibili e potranno confermare o smentire il senso di questi. Ciò che interessa è registrare i dubbi interpretativi emersi nella stessa stampa americana specializzatae restituire in modo più diretto il climadi suspence che accompagna attualmente la dinamica degli eventi eoonomicimondiali. È 1~teressante, in proposito, riferire ciò che ha scritto Business Week nel suo «Business outlook» (la rubrica che segue settimanalmente i dati congiunturali) del 21 febbraio, a proposito del calo dei disoccupati registrato in gennaio. Dopo aver notato che la diminuzione ha sorpreso gli economisti, poiché di solito la disoccupazione continua ad aumentare anche durante l'inizio della ripresa, scendendo dopo e non prima di esso, Business Week fa rilevare che i dati indicano «un curioso declino della forza-lavoro complessiva nell'ordine delle 600.000 unità». Infatti, al calo dei disoccupati non si è accompagnato «un proporzionale aumento nell'occupazione, che è rimasta immutata nel mese di gennaio. Dove sono andati a finire quei 600.000 lavoratori?» si chiede il settimanale. La risposta è sconcertante: «Probabilmente si sono persi nei computers degli statistici, se non si sono aggiunti al già grande numero dei lavoratori 'scoraggiati'» (con questo termine vengono designati i lavoratori che, avendo perso speranza di trovare impiego, non vengono più rilevati dalle statistiche della forza-lavoro). «È probabile che il tasso di disoccupazione di febbraio subirà un balzo verso l'alto» conclude Business Week. Da parte sua, il quotidiano specializzato The Wall Street Joumal, accanto alla notizia dell'aumento della produzione industriale dello 0,9 per cento nel mese di gennaio, pubblica un articolo in cui si spiegano i motivi per cui gli «executives» americani, pur intravvedendo i segni di una svolta, «rimangono scettici». Il giornale ricorda, tra l'altro, che «molti economisti ritenevano la ripresa già in corso durante la primavera e l'estate dello scorso anno. Il prodotto nazionale lordo - depurato dall'inflazione - e la produzione complessiva di beni e servizi erano cresciuti nel corso del secondo e del terzo trimestre, ma sono caduti a livelli da recessione nel corso del quarto trimestre». Molte imprese, giudicando avviata la ripresa, avevano fatto ripartire la produzione per ricostituire le giacenze; quando in autunno le vendite si indebolirono, le giacenze rimasero invendutè e la produzione dovette essere tagliata a livelli da Grande Depressione per smaltire gli stocks. «Quest'anno - scrive The Wall Street Journal - i dirigenti sono decisi a non produrre beni fino a quando non saranno sicuri di avere realmente dei clienti. Questa cautela potrebbe indebolire le prospettive di una ripresa» (U.S. Executives Spot Signs of Rebound But Remain Skeptical as a Precaution, in The Wall Street Joumal, 17 febbraio 1983, p. 3). Nel· frattempo, l'Interim Committee del Fondo monetario internazionale, riunito a Washington il 9 e 10 febbraio, ha ricevuto l'assenso dell'amministrazione Reagan ad aumentare le proprie disponibilità finanziarie, così da poter intervenire con nuovi prestiti ai paesi sull'orlo della bancarotta. Non sono mancate, anche all'interno del Congresso Usa, voci che hanno visto nell'intervento del Fmi un'azione volta al «salvataggio» delle grandi banche, ormai incapaci di sostenere il gioco dell'indebitamento. Già all'indomani dell'assemblea del Fmi a Toronto, Claude Julien scriveva su Le Monde diplomatique: «Così come, su scala nazionale, una impresa privata si rivolge allo Stato - come la siderurgia francese prima della nazionalizzazione - con l'argomento che la cessazione delle sue attività aggraverebbe la crisi e getterebbe sulla strada migliaia di disoccupati, così le banche private si rivolgono al Fmi insistendo sulla catastrofe mondiale che sarebbe provocata dalla loro bancarotta. La legge del capitalismo è sempre la stessa: in nome della libertà d'impresa, il potere pubblico deve guardarsi, quando tutto va bene, dall'intervenire nel corso degli affari; ma, in nome dell'interesse nazionale (o mondiale), il denaro pubblico deve volare in soccorso del denaro privato quando questo è stato gestito imprudentemente» (Un merveilleux écran de fumée, in Le Monde Diplomatique, novembre 1982, p. 1). Se l'intervento massiccio del Fondo monetario può tamponare le falle più pericolose (come quella messicana), tuttavia non è certo che riesca a rimettere in moto il commercio internazionale, anche perché le grandi banche - ormai spaventate - cercano di ridurre al minimo i loro prestiti ai paesi in via di sviluppo. Si teme che le drastiche misure restrittive imposte dal Fmi ai paesi che ricorrono ai suoi «sportelli» finiscano per costituire un ulteriore colpo di freno alla domanda dei paesi in via di sviluppo, minacciando così anche la sospirata ripresa delle economie industrializzate. Queste preoccupazioni sono ampiamente espresse dalla stampa americana. «Le prescrizioni di austerità del Fmi potrebbero essere rischiose» titola Business Week. «Molti osservatori ammoniscono che i piani di austerity del Fmi potrebbero risultare controproducenti (self-defeating), portando non allo sviluppo e a un debito gestibile, ma a dure contrazioni sia nei paesi in via di sviluppo sia nelle nazioni industriali ... La prospettiva che economisti e banchieri trovano più terribile è che l'austerity possa innescare una esplosione politica» (lmf austerity prescriptions could be hazardous, in Business Week, 21 febbraio 1983, p. 48) Shultz says U.S. banks go too far in reducing loans to Third World (Shultz - il segretario di Stato americano. Ndr - afferma che le banche Usa sono andate troppo lontano nel ridurre i prestiti al Terzo Mondo) titola il Wall Street Joumal del 16 febbraio. Lo stesso articolo riferisce una significativa dichiarazione del segretario al Tesoro Donald Regan: «Regan ha affermato che la preoccupazione delle banche per i loro problemi sui prestiti ha contribuito a mantenere alti i tassi di interesse, a causa della necessità di cautelarsi da possibili perdite» sugli stessi prestiti. Poiché la discesa dei tassi di interesse è unanimemente considerata una delle condizioni necessarie alla ripresa sia dell'economia americana sia del commercio mondiale, in questo punto vediamo chiudersi il circolo perverso che rischia di perpetuare la stagnazione. Un fattore in più che aumenta la suspence in questo thrilling economico su scala planetaria. Un thrilling che molti giornali preferiscono evitare ai propri lettori. Note (1) Il testo integrale del documento si può leggere in Mondo Economico del 19 gennaio 1983, p. 62. (2) Alcuni quolidiani di questi giorni parlano però di una produzione scesa a 200.000 barili il giorno nei primi mesi del 1983. (3) Sulla situazione determinata dalla decisione nigeriana rinviamo anche a Esodo africano, in La Gola n. 5. EINAUDI GADDA Racconto italiano di ignoto del novecento. Sullo sfondo di un'Italia tra disordine e violenza, prima della resa al fascismo,un romanzo inedito che si presenta oggi al lettore nella sua eccezionalitàcompositiva. A cura di Dante Isella, «Einaudi Letteratura», pp. xxxvr-387, L. 25 ooo. CORTAZAR Il viaggiopremio. Sulla nave di Cortazar, in pieno oceano, un variopinto teatro del mondo. «Supercoralli», pp. 363, L. 18 000. RODARI Storie di re Mida. In un indiavolato crescendo fatto di paradossi e colpi di scena si snoda questa commedia-apologo. «Struzzi», pp. xr-81, L. 5000. EINAUDI SAGGI Tre libri diversamente documentari, polemici e d'attualità: La scuola e i diritti del bambino, di Mario Lodi («Nuovo Politecnico», L. 10 ooo); Keynes, una rilettura fatta dagli economisti Pigou, Kahn, Cairncross e FedericoCaffè («PBE», L. 6500); Pipe-line, lettere da Rebibbia di Toni Negri: una testimonianza centrale del nostro momento («Nuovo Politecnico», L. 10000). Il Medioevo, il Seicento e il Settecento figurano nelle loro varie angolazioni urbanistiche, scientifiche, linguistiche e letterarie nelle tre opere di Chiara Frugoni, Una·lontanacittà («Saggi», 99 illustrazioni, L. 34 ooo), di Koyré, Studi newtoniani («Paperbacks», L. 18 ooo) e di Folena, L'italiano in Europa. Esperienze linguistiche del Settecento, da Mozart a Voltaire a Goldoni, dall'opera al teatro, al melodramma, in un libro di alta scuola e di grande leggibilità. («Paperbacks », L. 25 000). UN CLASSICO Lo Dhvanyiloka. I principi _ dello dhvani, di Anandavardhana. Scritto in Kasmir nel rx secolo e divenuto ben presto un classicodella teoria letteraria indiana, risponde alla domanda: che cosa differenzia il linguaggio «poetico» dal linguaggio comune? («Nue», L. 25 000). EINAUDI MUSICA Dopo l'attesissima ristampa del Mozart di Paumgartner (L. 38 ooo) e la pubblicazione dei saggidi Ruwet Linguaggio, musica, poesia sul Lied, Schumann, Debussy, Boulez e Stockhausen (L. 12 ooo) esceora CompagnoStrawinsky di MassimoMila. Ecco come l'autore spiega il suo titolo: «Non si vuol certo arruolare Strawinsky nelle file d'un socialismoche lui non amava. Si tratta di riconoscere, piu esattamente, d'aver riconosciuto di colpo, e con sorpresa, in un artista apparentemente cosi frigido e poco confidenziaie,un compagnodi strada dell'uomo moderno, un fratello. «Saggi», pp. xu-200 con 12 illustrazioni fuori testo, L. 2 5 ooo.

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