Alfabeta - anno V - n. 46 - marzo 1983

Fordismeocinema L a ronoscenza della storia del cinema avviene un film alla volta. Secondo la nostra attuale esperienza di spettatori, quasi ogni film ci giunge dal passato come un tesoro recuperato, salvato dalla spazzatura, ricostruito attentamente grazie a un archivio, se non come un vero e proprio classico, almeno come un archetipo di particolare valore. A volte possiamo pensare singoli film all'interno di raggruppamenti più vasti: le opere di un certo regista, i prodotti appartenenti a un genere come il musical o il film dell'orrore, le opere di un particolare periodo o epoca storica. Ma è quasi impossibile afferrare la storia del cinema come un tutto. Al massimo, si può generalizzare partendo da casi specifici. Ma l'oggetto di tali generalizzazioni non risulta sufficientemente chiaro e perspicuo. Il significato principale del convegno e della retrospettiva «Hollywood/ Lo studio System/ Il caso Wamer Bros.» presentata alla Mostra internazionale del nuovo cinema a Pesaro il dicembre scorso, era l'iniziare da una prospettiva «impossibile»: cercare di definire il generale nel cinema, e collegare ogni specifico con il tutto. Si considerava non l'intera storia del cinema, ma un suo segmento senza dubbio dominante dal punto di vista quantitativo e ideologico: lo studio system di Hollywood esaminato tramite l'esempio di una compagnia di produzione (oltre che di distribuzione e di proiezione). Capire lo studio system significa capire l'industria cinematografica americana e ottenere cosl una conoscenza più approfondita del modo di fare film e del significato propri della stragrande maggioranza (in termini storici) dei film di tutto il mondo. Le prospettive presentate e discusse al convegno non sembrano in grado di alterare radicalmente, almeno per ora, la natura degli studi filmici.Autori, generi e testi continueranno a essere le parole-<:hiave di questo ambito di ricerca. Ma poiché l'esperienza di Pesaro è stata assimilata da coloro che vi hanno partecipato, e inizia a ripercuoter.,i sugli studi critici e storici che essi producono, la sua influenza potrebbe essere profonda e duratura. Nessuno può esaminare un materiale costituito da trenta film prodotti dallo stesso studio in un breve periodo, con numerosi sceneggiatori, registi, e attori che compaiono continuamente nei titoli, senza afferrare in modo completamente nuovo il significatodi un «sistema»di produzione filmica. Che cos'era quel sistema? Nel suo apogeo, gli anni trenta, consisteva in un gruppo di otto principali studics di Hollywood che producevano dai quattrocento ai cinquecento film all'anno, oltre a rontrollare le compagnie di distribuzione e la maggior parte dei più importanti teatri e catene teatrali nelle grandi città. (Può risultare più esatto dire che le compagnie di distribuzione/proiezione controllavano gli studi di produzione; in entrambi i casi, esse costituivano un monopolio sull'industria cinematografica americana in tutti i suoi aspetti e avevano una posizione di rilievo sul mercato internazionale, e in molti paesi predominante). Lo studio della Wamer Bros., sede a Burbank (California), ' i.lo• ue ·O":ll O I IGI do dai cinquanta ai =ta film all'anno - più del prodotto complessivo di molte cinematografie nazionali dell'epoca. Per realizzare ciò, la Wamer assumeva attori, registi e sceneggiatori con contratti a lungo termine (con clausole opzionali che permettevano ai datori di lavoro, e non ai dipendenti, di annullarli a intervalli prestabiliti). Coloro che venivano assunti con questo tipo di contratto, artisti salariati, erano obbligati ad adattare la loro creatività nell'ambito delle costrizioni di un sistema che richiedeva quantità e ripetizione - la frequente ripetizione di certi stili, formule, convenzioni standard. Per contro, essi ricevevano non solo un impiego relativamente sicuro - una cosa che poteva essere apprezzata nel campo perennemente instabile dello spettacolo, particolarmente in un periodo di depressione economica, - ma anche salari paragonabili a quelli dei dirigenti industriali, vale a dire fra i più alti nel paese. T u~to questo, naturalmente, è piuttosto noto, anzi accettato senza riserve. Le cose stavano cosl perché Hollywood era cosl, cosl grande, cosl potente, cosl di successo. Ciò che manca è precisamente una prospettiva che ponga Hollywood al di fuori di un ambito quasi mitico e la collochi in un contesto più critico e comparativo. Perché è diventata cosl? Doveva svilupparsi necessariamente in quel modo o vi erano delle alternative? I suoi effetti risultarono positivi nei confronti dell'industria, o possono essere stati dannosi? Di solito si tende ad accettare c.iòche esiste, e a considerarlo naturale e inevitabile. Non tutti lo fecero, comunque, anche all'epoca. Anzi, un personaggio come Samuel Goldwyn criticò il sistema già nel 1933. A suo avviso, il problema era quello di una sovrapproduzione (cosl affermò nel corso di un'intervista al New York Times del febbraio 1933). Goldwyn criticava il sistema dei contratti in quanto portava al conformismo e alla mediocrità; suggeriva di ridurre il numero dei film prodotti ogni anno da quattrocento o cinquecento a non più di cinquanta, con un sistema simile a quello dei teatri di re ay, dove ogni attore, sceRobert Sklar neggiatore e regista operava come un free lance firmando un conti-atto solo per una singola produzione. Naturalmente, Goldwyn tirava l'acqua al suo mulino. Egli stesso stava allora operando come un produttore indipendente proprio nel modo da lui auspicato, realizzando non più di tre o quattro film all'anno (indipendenti come Goldwyn lanciavano i loro film attraverso la United Artists, una compagnia di distribuzione/proiezione che agiva specificamente al loro servizio). Nondimeno, le sue osservazioni rendono possibile una prospettiva più critica sul sistema hollywoodiano: ciò che egli propo- •se funzionava nel teatro, e in realtà somigliava a quella che sarebbe diventata la pratica normale di produzione nella Hollywood degli anni sessanta e settanta. Si vede cosl come Hollywood fosse essa stessa il prodotto di una particolare società e cultura - della sua ideologia e delle sue pratiche economiche. Dunque Hollywood deve essere compresa non semplicemente in termini di storia del cinema e neppure di storia dei media; la sua ascesa e il suo declino sono sintomi della concorrenza tra i media della comunicazione, dal vaudeville alla televisione. In ultima analisi, bisogna comprenderla nei termini di un modo di produzione che non era un unicum, ma faceva parte della matrice sociale e industriale del suo paese e del suo tempo. Hollywood, in breve, stabiliva nell'industria dello spettacolo una versione del modo di produzione americano che Gramsci chiamava «fordismo». È ciò che Goldwyn, da piccolo imprenditore, criticava: volume della produzione, standardizzazione, razionalizzazione, alti salari. Come Henry Ford, i magnati di Hollywood ritenevano di dover produrre non per una élite, e neppure per un pubblico di massa, ma per una classe operaia e per una piccola borghesia che cercavano di migliorare la loro situazione di vita attraverso redditi più alti e l'acquisizione di beni di consumo. L'analogia tra Hollywood e Ford non vale certo incondizionatamente, ma entrambi vendevano un'ideologia come pure un prodotto, l'ideologia - per dirla di nuovo con Gramsci - dell'«americanismo». 11 modo di produzione hollywoodiano era funzionale ali' «americanismo» e - allo stesso tempo - determinato da esso. In pratica, ciò significava parecchie cose, talora contraddittorie: distribuzione ampia, se non di singoli film a parecchi cinema contemporaneamente (come avviene ora), per lo meno di parecchi film diversi a molti cinema; ma anche un impegno a cambiare e la sua concomitante obsolescenza, e dunque un nuovo «prodotto», con nuovi stili (che riflettessero i cambiamenti di stile nelle industrie di consumo), che rimpiazzavano costantemente il vecchio. Era quest'impegno a rendere necessari i metodi di produzione come la «catena di montaggio» negli studios cinematografici: la richiesta autodeterminata di quattrocento o cinquecento film all'anno. Per vendere !'«americanismo» Hollywood vendeva anche se stessa. Come Thomas Elsaesser ha utilmente sottolineato a Pesaro, il prodotto di Hollywood non era soltanto un singolo film o una serie di film, ma un servizio che includeva l'esperienza dell'andare al cinema, l'ambiente fisico collegato al cinema stesso, il cibo e le bevande acquistate alla cassa. Ma soprattutto il servizio valeva come immagine e ideologia, se non sempre di ordine sociale, almeno di quelle forme che i conflitti sociali potrebbero assumere. Resta da vedere perché il sistema smise di funzionare o, più precisamente, perché ciò avvenne cosl presto. Il modo di produzione descritto come «fordismo» si trova ora profondamente in crisi negli Stati uniti, ma in generale ha continuato a essere piuttosto solido fino agli anni settanta. Il modo di produzione dello studio system, invece, raggiunse il proprio apice nel 1946, l'anno seguente alla fine del conflitto mondiale, e cominciò a declinare subito dopo. Finora si possono fare soltanto ipotesi. La molteplicità delle cause è una spiegazione ovvia ma insufficiente. Una possibilità è che l'opulenza che Hollywood offriva come immagine di sogno divenne una realtà nel dopoguerra per molti americani che utilizzarono la loro ricchezza dedicandosi nel tempo libero ad attività diverse dall'andare al cinema: le automobili di Henry Ford davano maggior piacere, a quanto sembra, che non le immagini dello schermo. N ell'ambito dell'industria, i conflitti di lavoro e l'epurazione dei comunisti attraverso le liste nere avevano distrutto le relazioni datore di lavoro/dipendente su cui si era basato il sistema dei contratti, accelerando l'ascesa di quegli imprenditori individuali che Goldwyn auspicava e che oggi costituiscono la norma nell'industria cinematografica americana. Più importante è forse la decisione della Corte suprema degli Stati uniti, che nel 1948 dichiarò essere lo studio system un monopolio illegale dal punto di vista della legge americana. Le compagnie cinematografiche furono obbligate a lasciare le loro sale di proiezione, processo che diventò completo alla metà degli anni cinquanta. Forse quello in cui lo studio system riuscì meglio fu il funzionamento dei cinema. Se è così, l'interruzione forzata del legame di integrazione verticale lasciò gli studios nella posizione di chi fa semplicemente dei film, anziché vendere l'esperien9 dell'andare al cinema, anziché vendere la stessa Hollywood. Considerando gli studios hollywodiani «semplicemente» coine luoghi di produzione di film, diventa necessario ricordare l'affermazione di Goldwyn del 1933: la maggior parte dei film creati dal modo di produzione dello studio era davvero mediocre, come egli sosteneva? La domanda sembrerà blasfema ai cinéphiles, e forse anche agli storici della cultura, ciascuno dei °guaii riceve un piacere estetico e intellettuale da quasi tutti i vecchi film. Ma il problema va posto, nell'interesse del pubblico di allora e di oggi. Il pubblico cinematografico negli Usa è diminuito quasi ininterrottamente a partire dal 1946.Tuttavia l'industria cinematografica, non senza uno sforzo considerevole, è riuscita a riassestarsi, a sopravvivere e anche a prosperare nelle attuali condizioni, con una piccola frazione del suo vecchio pubblico e producendo un numero molto inferiore di film. Come si è già detto, ciò che Goldwyn desiderava nel 1933 è diventato il modo di produzione usuale nella Hollywood di oggi. I problemi non appaiono comunque esauriti. li modo di produzione dello studio è stato sostituito dalle compagnie di produzione della tv americana, e il recente declino del pubblico delle reti televisive è un corrispettivo dell'attuale crisi nell'industria dell'automobile, dell'acciaio, e di altre industrie contrassegnate dal «fordismo»? Stiamo elaborando nuove importanti prospettive sul modo di produzione hollywoodiano, e può dar.,i che - sullo slancio del convegno di Pesaro - emerga un'analisi più approfondita dello studio system. Ma il dibattito può anche focalizzarsi, come è stato suggerito parecchie volte a Pesaro, in direzione di altri problemi irrisolti che riguardano il pubblico: chi lo componeva, che cosa volevano, che cosa trovarono, perché se ne andarono via. (Traduzione di Giovanni Bottiroli)

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