Alfabeta - anno V - n. 46 - marzo 1983

I LA MUSICA Robert W. Gutman WAGNER Le idee e l'arte wagneriane in un'indagine biografica e critica appassionata e e stimolante • Teodoro Celli L'ANELLO DEL NIBELUNGO Guida ali'ascolto del capolavoro di Wagner con il catalogo completo dei temi musicali • Cosima Wagner LAMIAVITA ABAYREUTH L'impressionante testimonianza di una tenace e incrollabile dedizione ali'eredità wagneriana • In corso di pubblicazione: Quirino Principe MAHLER tanta paura in Occidente, dove amuleti e formule di scongiuro vengono venduti a carissimo prezzo - quasi a borsa nera - e dove sono in voga il «pendolino» e il «tavolo a tre gambe» per rimanere in contatto con i defunti (Collier). Le paure e le superstizioni personali aumentano man mano che si constata l'inadeguatezza delle strutture sanitarie di fronte all'epidemia. In ogni parte del mondo entrare in ospedale significa aumentare le possibilità di contagio e di morte. Nei corridoi degli. ospedali, in Svezia, le barelle dei malati e moribondi sono sistemate una accanto all'altra, o ammucchiate in stanze senza finestre, e il tanfo prende alla gola. In Giamaica i malati aspettano più di 24 ore prima di avere una tazza di latte, e in Nuova Zelanda in parecchi ospedali si dispone solo di termometri per uso caseario. A Melbourne l'acqua negli ospedali viene portata a mano perché manca l'impianto idraulico, e a Budapest la paura degli ammalati arriva al culmine quando viene posto il divieto d'ingresso ai visitatori, che sono gli unici a rifornire di cibo i malati. Così la malattia si «chiude» sempre più nelle case. Questo atteggiamento è favorito dalle misure governative che tendono a minimizzare la gravità del morbo (questo soprattutto in Italia dove si ha la più alta mortalità rispetto all'Europa). Ai quotidiani non è consentito di riportare le statistiche dei decessi (a Padova, Torino e Roma si arriva fino a quattrocento decessi al giorno). Il governo vieta ogni forma di denuncia che si riferisca all'influenza, sicché non si ascoltano più le campane che annunciano i funerali così come spariscono le corone di fiori e gli annunci mortuari ed è vietata la chiusura dei portoni in segno di lutto. E non bastano le sollecitazioni al governo da parte del deputato Luigi Petravalle, perché l'atteggiamento del potere muti. Non diversa si presenta la situazione in Francia, Spagna, Olanda e Svizzera, dove gli ufficiali sanitari pregano i direttori dei giornali di non parlare di «spagnola» negli annunci funebri. Dei 274.041 morti di spagnola che ebbe l'Italia (questa cifra, del resto, secondo G. Mortara, dovrebbe essere aumentata in misura consistente), le proporzioni più alte si ebbero nelle regioni meridionali, in Sardegna e nel Lazio. Stranamente l'epidemia - che si era sviluppata dal Sud al Nord - fu più blanda in Campania nonostante la densità di popolazione, fattore principale di contagio. L e «grandi» epidemie - come mostra il caso della «spagnola» - cessano dunque nel Novecento di costituire dei fatti ad alto psicologismo collettivo, si atomizzano in tante malattie individuali quante sono le persone colpite, e perdono quella dimensione «fantastica» dalla quale erano state caratterizzate in precedenza. «Appiattite» sulla malattia individuale, esse consacrano il primo tentativo riuscito di riduzione delle forme morbose all'interno di un modello unico, nel quale siano presenti soltanto elementi «tecnici» sul piano medico, e «razionali» su quello psicologico. E ciò anche se qualche sbavatura, all'inizio, non manca. Una parte residua dello psicologismo collettivo preesistente, ad esempio, continua a vivere in simbiosi con una malattia individuale «nuova», nel senso che solo negli ultimi decenni del XVIII secolo arriva ad occupare il proscenio del teatro della grande morbilità: la tubercolosi. All'inizio dell'Ottocento, questa malattia è vista con una conseduenza di «passions tristes» e come assolutamente incurabile, poiché «la natura non fa che sforzi contrari alla guarigione e l'arte non può fame che di inutili» (Laennec). Occorre attendere la seconda metà del secolo e le affermazioni di Villemin perché si accetti a livello scientifico che si tratta di una malattia infettiva e contagiosa e non dell'effetto di tare misteriose, di «forze occulte», della melanconia, della gelosia o della nostalgia. Da questo momento in poi, sul piano medico, il cammino è aperto: le forze occulte, che Corvisart aveva chiamato «materia morbifica» responsabile della «pourriture poitrinière», si risolvono nel bacillo identificato da Koch nel 1882. Ciò nonostante, la malattia tubercolotica, soprattutto quella polmonare, continua a essere vissuta da alcuni ancora come una malattia misteriosa, nella quale le cause psicologiche concorrono con quelle fisiche, attraverso la predisposizione da parte delle prime di un terreno favorevole per l'operare delle seconde. I «conflitti» che possono dare luogo a una sindrome pretubercoIare possono essere - secondo i fautori della causalità psicologica della malattia - di vario tipo: conflitti esogeni tra due persone, conflitti endogeni primari tra due «passioni» in una stessa «anima», autoconflitti endogeni secondari a uno shoc emotivo, ecc. Lo psichismo tubercolotico si spinge fino alla costruzione di un legame tra la malattia in questione e quella mentale. E alcuni arrivano addirittura a vedere nella tisi un terreno favorevole per la creazione artistica, sul modello del «genio e follia», ecc. Alla malattia viene riconosciuto un carattere «romantico» (S. Sontag) che rende spesso socialmente apprezzati i suoi «portatori». E la stessa «cura» principale, il sanatorio in luoghi isolati, al di là della sua efficacia, appare come un trattamento «collettivo» al quale l'immaginario sociale ricollega aspetti non del tutto «disprezzabili» (vita in comune, trionfo dell'amore, sessualità libera, ecc.). Questo scenario viene meno soltanto con il ridursi della malattia tubercolare a entità trascurabile, a seguito della azione delle due «armi» preventive e curative costituite dal vaccino e dalla chemioterapia (e ciò anche se - come nota il dottor Escoffier-Lambiotte - un secolo di trionfi scientifici non è riuscito a debellare la malattia: nel 1982, infatti, l'Organizzazione mondiale della sanità ha rilevato cinque milioni di nuovi casi di tubercolosi nel mondo, di cui circa 100.000 nei ventidue paesi dell'Europa ricca, con tre milioni di morti l'anno!). Q uell'immaginario che, anche se depotenziato rispetto al . passato, si era conservato nella tubercolosi, sparisce invece del tutto nella malattia destinata a prendere il posto della tubercolosi come il grande flagello del XX secolo: il cancro. Come scriveva nel 1906 la Revue de Paris, l'attenzione, il favore, del pubblico «è accaparrata dalla tubercolosi. Tutti gli occhi seguono il brillante razzo lanciato da Behring. Anche nel suo timore della malattia e della morte, l'uomo è esclusivo e segue la moda( ... ). Ma ecco che un altro nemico, il cancro, è degno della tubercolosi. L'una devasta soprattutto le esistenze giovani, l'altro si attacca agli organismi maturi, in pieno rendimento, che rappresentano per la società il più grande capitale di lavoro e di energia». Le due malattie sono assimilate anche sotto il profilo della loro origine. Il cancro è considerato contagioso alla stessa stregua della tubercolosi e questa convinzione, penetrata all'inizio anche in alcune legislazioni sanitarie (il regolamento prussiano del 1797, ad esempio), continua per tutto il secolo successivo ad avere numerosi seguaci. E come per la tubercolosi si ricercano le cause nelle abitazioni (poco salubri), così anche per il cancro si arriva a costruire una geografia cancerosa che ha il suo punto centrale nelle maisons à cancer, case ubicate in terreni prevalentemente umidi, luogo favorevole per lo sviluppo del microbo - sconosciuto - della malattia. Le connessioni tra le due malattie non vanno tuttavia al di là del loro momento tecnico-medico. Sul terreno psicologico e anche terapeutico, non sembra si riscontri in nessun momento del secolo quella dimensione «collettiva» che, per quanto ridotta rispetto al passato, aveva caratterizzato la tubercolosi. Indubbiamente la malattia suscita le preoccupazioni di tutti («La lotta contro il cancro - scrive nel 1924 la già citata Revue de Paris - è all'ordine del giorno. Questa angosciante questione ha finito per sollevare l'emozione di tutti. Non c'è alcuno di noi che non conosca attorno a lui, tra i suoi amici o parenti, qualche vittima di questo flagello. Noi abbiamo tutti il sentimento che, prendendo parte a questa crociata, combattiamo per noi, per i nostri figli, per il nostro paese spopolato, per l'avvenire della nostra razza - ed anche per l'umanità tutta intera, perché non c'è nessun paese, per quanto emarginato, nessun popolo sperduto sulla faccia della terra che non sia esposto agli attacchi del morbo»). Non sembra, tuttavia, che questo «timore» abbia mai sfiorato l'immaginario collettivo alla stessa stregua delle grandi epidemie del passato. Il cancro appare come la malattia borghese per eccellenza, dominata come è sul piano collettivo soltanto da elementi quantitativi e del tutto sottratta alle presenze positivamente «fantastiche» riscontrate per la tubercolosi: una «merce» come le altre in un mercato nel quale operano il malato e le istituzioni mediche riconosciute. La quantificazione della malattia e la sua riduzione a uno spazio individuale e «segreto» non sono prive di effetto. Esse hanno, al contrario, conseguenze di non poco momento sul decorso stesso della malattia. Sottomessi frequentemente a mutilazioni, a trattamenti logoranti, confrontati al mito temibile, sinonimo di lutto, di sofferenza, di esclusione e di morte che veicola il termine stesso di cancro, molti dei malati vivono dolorosamente in un isolamento tragico il «calvario dell'indicibile, dell'incomunicabile e del rigetto verso il mondo dei morti» (Escoffier-Lambiotte). Gli stessi tentativi di trascendere l'immaginario consolidato della malattia, per quanti sforzi si facciano (elaborazione di modelli di autovalutazione per i malati, ecc.), cozzano quasi sempre contro la dimensione individuale-segreta della malattia, sempre presente e ancor più accentuata in alcuni casi (malati assoggettati a una chemioterapia «aggressiva», fanciulli malati, ecc.). Contro questa situazione anche gli sforzi fatti da comitati del tipo «Cancer et psychologie», rivolti a sottolineare la necessità d'un approccio, oltre che medico, anche psicologico alla malattia, appaiono meritevoli. Ma resta sempre il problema se sia possibile risalire all'indietro la grande catena della morbilità, recuperando prima una dimensione psicologica meno terrorizzante della malattia, e poi una «collettivo-sociale», all'interno di società che continuano a essere caratterizzate proprio da quei valori che hanno determinato, nel corso del tempo, la riduzione della stessa a evento «quantitativo» e «individuale». Comune di Modena Assessorato alla cultura Galleria Civica Natura e cultura urbana aModena dal 19febbraio al IOaprile Mostra di analisi storica sulla morfologia e tipologia degli spazi verdi inseriti nel tessuto urbano della città dal Medioevo ad oggi. Coordinatore scientifico: prof. Pierluigi Cervellati. Sede: Galleria Civica Viale Vittorio Veneto 5 orariferiali: 9.30-12.30 15.30-19.30 festivi: 10-13; 16-19 lunedì chiuso IN FORMADI PAROLE LIBROSESTO Edmond ]abès ILLIBRO DELLE INTERROGAZION Il libro tklk I11terrogazio11i, punto d'inconuo di una tndizione ancichissinu e di una riflc:ssionemoderna sull'= e sul linguaggio che pas.sa attnverso la filosofu. di Nietzsche e Heidcgger. (Eli,ab,n,z RizJ) PANORAMA ...EdmondJabès - un gnnde poct2 contcmponnco che, dopo esse~ seno respinto da quanro-cinqw, dei cosiddm:i 'gnndi editori'. è stato tra.dotto da INFORMADI PAI.OLE. (Mlnsimo Ca&cùm) RINASCITA Jabès si dice ateo e ruinvu egli è, insieme, mistico: perché invita l'uomo ad affron. r:an, il nulla e b mancanu di significato senza l'aiuto di un Dio anuopomorfo. (Do11111eB/Ji,sz111Ji) AlJABETA Eliuopia Edizioni C.P. 421 - 42100 Reggio Emilia 0 DESIDERORJCEVEll ILCATALOGO 0 DESIDERORJCEVEll I SEGUENTILIBRJ 0 ALMIO INDIRJZZO: 0 PRESSOILMIO LIBRAIOABITI/Al.E: "'""' "'" --

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