di fiori. Quando si dice «tavolo», dunque, l'idea e l'immagine che la mente in modo immediato vi associa dipendono da come si pensa a/l'oggetto - se, cioè, come falegname, come decoratore, o altro. I significati risultano quindi essere molto diversi fra di loro, e il modo più adeguato per trattare questo argomento ne/l'ambito di una teoria è di seguire l'ipotesi che nel cervello ci sono numerosissime piccole parti che interagiscono e presentano differenti «stati». Così, anziché parlare di uno status comune di tutta la mente, possiamo meglio considerare i diversi stati delle differenti parti della mente; conseguentemente, possiamo dire che un «contesto» è uno «status parziale» e che la mente è formata di migliaia o centinaia di migliaia di piccoli «agenti mentali». Quando pensi come un falegname, per esempio, 5.000 di questi agenti vengono allora attivati e, a loro volta, sopprimono migliaia di altri che ti farebbero pensare come un decoratore, o come qualcuno che vende i mobili, o come un arredatore, ecc. In questo modo, il contesto di una visione del tavolo quale è quella propria e specifica del falegname deriva dalla attivazione di (supponiamo) 5.000 frammenti protagonisti del processo mentale stesso. Ogni status mentale può inoltre attivare una certa «percentuale di memoria»; è chiaro, quindi, che ci sono memorie specifiche, ma la mia idea è che una memoria di questo tipo, come pure un settore limitato di conoscenza, sono inutili se non si hanno delle connessioni effettive con più ampie éollezioni di stati mentali parziali, quelli che ho appunto definiti precedentemente col termine di «contesti». Una metà dei processi di memoria tratta di questo problema, l'altra metà è invece volta a trattareilfenomeno delle eccezioni possibili a/l'interno dello stereotipo. In questo modo, si sa esattamente quali sono le cose a cui si deve o non si deve pensare. Tale parte della mia teoria si avvicina molto a quanto è esplicitato anche in Freud, quando afferma che nella mente deve essere lasciato spazio anche per soppressioni, connessioni «in negativo», critiche, e per tutti quegli elementi che vengono definiti in generale come «sensori inconsci». In parole semplici, si possono identificare regole che sono in grado di elencareanche quegli elementi o quei tratti a cui non si deve pensare all'interno di un dato contesto. D. Lei è d'accordo con la definizione da me data di «testo linguistico come suscitatore di frames»? Minsky. Sono totalmente d'accordo. Infatti, qualunque possa essere una teoria su come funziona la mente, la teoria linguistica del testo che ne consegue dovrebbe avere natura psicologica. Questo implica ovviamente che si abbandoni l'idea di una scienza linguistica totalmente separata e indipendente. Il testo stesso è infatti costituito da diverse parti che si prefiggono, a loro volta, scopi differenti: un certo gruppo di elementi testualipuò avere lafunzione di informare su quali siano le reali aspettative, quali i relativiframes da attivare e quali i diversi stati mentali da raggiungere; un altro gruppo può essere costituito da istruzioni indicanti che, per esempio, non si devono seguire aspettative di tipo ordinario, ma che il frame successivo deve piuttosto venire considerato in modo del tutto particolare e inatteso. A tale proposito, elementi orientanti, quali «ma» o «comunque», indicano che si dovrà trattare il frame seguente in un modo inusuale, ovvero del tutto differente da quello solito. In particolare quelle parole che nell'uso comune denotano oggetti precisi, scatenano tutta una serie di frames ed evocano più idee e «mondi possibili»; il testo rimanente però ha già preparato o comunque va preparando il lettore a eliminare la maggior parte di questi frames superflui. Il testo linguistico può quindi essere definito come «una serie di istruzioni tesa a manipolare stati mentali». D. Ritiene che si possa davvero parlare di «andamento parallelo» del cervello umano e del computer nel «processare» e quindi «comprendere» un testo? Minsky. È certo che ci sono difficoltà tra le persone ad accettare che le macchine possano «produrre pensiero»; infatti, insorgono obiezioni riguardanti, nello specifico, la incapacità del computer di chiarire le ambiguità e processare adeguatamente le espressioni metaforiche e quelle idiomatiche; ma questo accade, di fatto, anche ai bambini. I computers possono certamente commettere tali errori, ma allo stesso modo anche le persone; quando fossimo in grado di educare il computer all'uso reale delle parole, allora tali errori verrebbero automaticamente evitati, perché si verrebbe ad avere un patrimonio realmente adeguato diframes e di relativi processi. Il computer, per concludere, potrebbe fare esattamente le stesse cose che una persona normalmente fa, se solo si potesse trovare nelle stesse condizioni in cui una persona è. Tale risultato non è affatto impossibile. Al momento attuale ci sono solo due problemi da risolvere: in primo luogo c'è ancora molto lavoro di ricerca da attuare, in secondo luogo dobbiamo trovare le strategie realmente adatte e rispondenti al conseguimento di tale obiettivo. D. Che cosa pensa della «coerenza» e «accettabilità» di un testo linguistico in relazione alla sua teoria sul «frame»? Minsky. Se racconto una storia che non vuol dire nulla o un banale fatto di vita quotidiana a un bambino, eglipotrebbe lamentarsi e chiedere spiegazioni. Se non c'è nulla da dire dal punto di vista della correttezza sintattica, ma, di fatto, non esiste una struttura, non c'è né protagonista né amagonista reali o credibili, il bambino, che è abituato a comprendere il testo nell'ambito di un più generale superframe, trova tale storia incoerente, in quanto non basata su alcun frame che informi su come la struttura dovrebbe realmellle essere. D. Questa idea di «schema mentale» è molto vicina a quella di Vladimir Propp in Morfologia della fiaba. Cosa pensa dunque di una comprensione del testo che debba comunque sempre passare attraverso il filtro del «tipo» del testo preso in esame? Minsky. Sono d'accordo che ci debba per forza essere una certa «rigidità»e «schematicità»;per raccontare una storia si deve sempre tener conto, in qualche modo, del tradizionalecomune modo di raccontare storie. Se l'intento poi è quello di cambiare gli stereotipi che una persona (o un pubblico di persone) ha, questo deve essere fatto entro certi limiti ben precisi e per finalità specifiche, altrimenti si produce solo della confusione. Lo scopo primario di Joyce ne/l'Ulisse, infatti, non era quello di raccontare il vissuto di un protagonista (se il fine fosse stato davvero tale, il prodotto linguistico risulterebbe non accettabile), ma quello di dimostrare piuttosto che c'è un nuovo modo di utilizzare e manipolare il linguaggio. Solo rispetto a tale obiettivo vengono giustificate, conseguentemente, tutte le sue scelte. D. Tutto questo risulta far parte del più ampio problema delle aspettative. Secondo la sua prospettiva, si può dire che la comprensione deriva da un certo tipo di equilibrio fra i presupposti culturali e i frames attivati al fine di giustificare il testo stesso così come prodotto? Minsky. Certamente. C'è inoltre una parte, anche se minore, volta alla creazione di nuovi-inattesi frames; questa attivazipne di frames «insoliti» deve però essere tenuta sotto controllo perché, se provocata in maniera eccessiva, può ingenerare confusione. D. Che rapporto esiste, secondo le sue ipotesi, fra scelte stilistiche e tipi testuali? Minsky. «Stile» è senz'altro il termine più adeguato da utilizzare; i11fatti,esso indica tutto un insieme di modalità ai fini di attuare particolari scelte testuali che presentino una intima coerenza fra loro. A tale proposito, non direi perciò che c'è un frame unico, ad esempio, per il tipo scientifico, ma che ci so110diversi stili che presentano, a loro volta, vari contesti che contengono diversificati frames. D. Che cosa può dirci a proposito dei processi di comunicazione e sul ruolo rispettivo dell'emittente e del ricevente? Minsky. Se i protagonisti dell'atto comunicativo sono cresciuti nell'ambito della stessa cultura, avranno rappresentazioni e frames molto simili ed, eventualmente, nei rispettivi frames, avranno anche gli stessi «terminals» collegati alle stesse strutture. Allora la comunicazione avviene se l'emittente suscita e attiva nel ricevente gli stessi frames che lui stesso sta usando. Lo studio della genetica e del cervello può facilitare sicuramente l'identificazione di tali meccanismi: le strutture dei frames delle varie persone 1101s1ono comunque molto diverse e c'è un'alta probabilità che i differenti individui usino strutture simili, se non proprio le medesime. D. Parlando di schemi mentali, tipi testuali e parametri concettuali, non si può fare a meno di affrontare il problema dell'innatismo. Secondo lei, si può parlare di frames innati? Minsky. C'è senza dubbio molto di innato nel modo in cui il cervello lavora; i linguisti, a questo proposito, sono senz'altro estremisti e patologici, perché associano questa idea a quella di una scienza linguistica totalmente separata, e ciò li porta a commettere immancabili errori. Per esempio, a proposito del sistema visivo, ci so110senz'altro processi, tra cui quello di «parsing», definibili come innati. Ugualmente, c'è un meccanismo innato che, in qualche modo, ci condiziona a esprimerci linguisticamente mediante l'uso di strutture /rasali. L'errore dunque è quello di pensare che tale aspetto abbia a che fare solo con la Unguistica; la segmentazione e la strutturazione delleparole in complessi frasali più ampi è qualcosa che il cervello opera connaturatamente; quello che risulta invece essere una deduzione di natura assai dubbia, è che le regole della grammatica, presiedenti alla co"etta formazione delle strutture stesse, debbano per forza essere maggiormente specificate e precisate rispetto a tutte le altre operazioni mentali. Non è di alcuna utilità conoscere quale aspetto del linguaggio è innato, a meno che non si inseriscapoi taleproblematica a/l'interno di una ben più ampia trattazione psicologica. Per esempio, il fatto che tutte le lingue hanno i nomi, non ha nulla a che fare con la struttura delle lingue e non è innato; quello che invece è innato, è che le differenti parti della mente devono trattare le altre parti come quantità di informazioni cui poter attaccare specificatori tali che possano fornire, a loro volta, ulteriore informazione (qualificatori e determinatori, per esempio). Ciò che è innato, è che l'uso di una lingua implica la compressione e riduzione degli oggetti ed elementi cui ci si riferisce (ovvero il livello atralinguistico) in una serie di simboli (livello linguistico) e che ci sono solo alcune precise possibilità di raggruppare tali serie di simboli. Per concludere, possiamo dire che il frame è innato proprio nella misura in cui si costituisce come l'insieme delle regole e dei principi secondo i quali la mente opera; in altre parole, nella misura in cui si giustifica come elemento che presiede alla descrizione dei processi stessi del pensiero.
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