to», - prendendo congedo dalla «varietà delle forme destinate» e ponendosi al cospetto del «destinante senza destino, del tramandante senza tramandamento». «Il più proprio - scrive Agamben, - l'ethos, e il +sé dell'uomo e del vivente senza natura né identità, è dunque il daimon stesso, il puro, indestinato movimento di assegnarsi una sorte e un destino, l'assoluto tramandar-sé senza tramandamento» - parafrasando il detto eracliteo per cui «dimora» (ethos) dell'uomo è ciò che lacera e divide (daimon) - ossi~ la storia, la prosa di un'umanità umana, la prassi sociale divenuta, alla fine, trasparente a se stessa. Si potrebbe qui osservare che questa liberazione dal peso dello storico-destinale, che sembra coniugare la nietzschiana inutilità della storia per la vita con il marxiano passaggio dal regno della necessità a quello della libertà, si configura - muovendosi nella direzione del futuro - nei termini di una improgettabilità della storia in senso totalizzante-finalistico, secondo una compiutezza data dalla coincidenza con tendenze intrinseche. Compiutezza e trasparenza si danno sempre aposteriori, quando cioè alla finitezza si aggiunge lo scorrimento irreversibile del tempo. Soltanto allora si dà un «contorno» - se vogliamo usare la pregnante espressione batesoniana 1 - rispetto a cui «trasparenza» ha un senso diverso da quello teleologico di discoprimento di un «fondamento». La prassi sociale infondata, liberata dal destino, accede allora però non a una generica «trasparenza», piuttosto a una complessificazione conflittuale, il cui unico destino è la variazione inesauribile della complessità e del conflitto. L'osservatore-attore' scruta congetturalmente il futuro non per insufficienza di dati o limiti di elaborazione, ma perché, per la sua situazione ontologica, può definire il «contorno» del sistema in cui vive esclusivamente dall'interno e non può quindi né essere trasparente a se stesso (e prevedibile) né assumere come tale il sistema. L'umanità, liberata da valori «umanistici», sta nel suo proprio e contempla nel passato forme dotate di un contorno, forme che possono essere «redente» senza che, al contrario, esercitino una pressione teleologico-destinante, storicisticamente così autogiustificandosi. P roviamo un diverso approccio, passando a un testo ambiguo ma decisivo come il Parmenide platonico, dove si discute la relazione fra l'Uno e l'Essere in nove combinazioni di predicabilità fra di loro e con la pluralità. Di particolare interesse è l'ottava ipotesi, che appartiene al secondo gruppo di varianti, per cui l'Uno non è. Se allora l'Uno non è, quale sarà la condizione degli altri? Visti nella loro relazione reciproca gli altri devono pur esistere, visto che sono oggetto di discorso, ma sono «altri» non in rapporto all'Uno - che è supposto non esistere - bensì fra loro. Ogni pluralità, ogni massa lo è in riferimento a un'altra pluralità, a un'altra massa, e per di più in modo indefinito, così che anche la più piccola, all'improvviso e come in sogno, appare immensa nelle sue innumeri suddivisioni. Vi saranno dunque molte masse che appariranno unità senza esserlo (poiché l'Uno non è) e sembrerà che ve ne sia un numero, e anche pari e dispari, e così via, ma sempre fantasmaticamente, in assenza dell'Uno. Lo stesso dicasi delle sembianze di piccolezza e grandezza, di eguaglianza, di limite, inizio, centro, fine, ecc. (si tratta naturalmente, in assenza di numerabilità, di «cattivo infinito»). L'intelletto (dianoia) si disintegra in siffatte sequenze, se si concepisce ogni massa a prescindere dall'Uno: «che, se la si guarda poco distintamente e da lontano, tal cosa sembra una, ma da distanza ravvicinata e con occhio fermo risulta indeterminata per pluralità (plethei àpeiron), per mancanza dell'Uno». Ogni cosa apparirà così illimitata e limitata, unica e molteplice, omogenea ed eterogenea, connessa e sconnessa; tutto nascerà morirà e non si troverà affatto in tali condizioni, affetto com'è da. ogni contraddizione, se la pluralità è data in assenza dell'Uno. In questa combinazione - molto vicina, del resto, al mondo descritto nel Timeo prima dell'intervento demiurgico ordinatore, - la riflessione separante (dia-noia) non si trova troppo a suo agio; questo è piuttosto il regno della metis', la ragione astuta che si addice all'àpeiron, l'inestricabile, l'inattraversabile (e naturalmente l'infinito, per opposizione all'ambiguità di significati del nucleo semantico peras, poros, peiro = limite, passaggio). Apeiros è il Tartaro, perché ogni percorso vi si perde, ogni viandante vi è avvolto in magici legami, vero regno della metis congetturale, astuta e avvolgente. E Platone si oppone risolutamente a quel Tartaro ontologico che scende dall'indeterminazione del limite; di qui la condanna e la rimozfone della metis, sapienza immersa nel divenire, propria del sofista, a favore del logos, visione esatta delle idee, propria del «moderno» filosofo. Nella penombra dell'essere che segue il tramonto della metafisica non scorgiamo una certa familiarità coi tratti del mondo dell'ottava ipotesi del Parmenide? Non sono i giorni della metis strategico-<:ongetturale e della rinuncia alla totalizzazione dell'Uno? La fine della storia del!' essere non ci si presenta forse con un aumento di complessità pluralmente indeterminato (plethei àpeiron )? La riflessione afferra differenze costitutive della pluralità ma non le ordina più per partecipazione all'essere unitario. Fallito lo schema dialettico totalizzante (con «senso» e «fine» della storia), impossibile un'analitica globale (vietata dal teorema di Godei), resta forse la possibilità di una dialettica «locale» che opera per combinazione strategico-congetturale sui prodotti locali del logos tecnico-scientifico. Qui occorre aprire una parentesi. Anche Heidegger colloca alla fine della filosofia come metafisica lo sviluppo delle scienze, e anzi intuisce acutamente la loro organizzazione sul modello organizzativodella cibernetica, «che trasforma il linguaggio in scambio di informazioni» (in un certo senso, dato il nesso fra essere e linguaggio,dissolve l'essere stesso in informazione). Sebbene nel Ge-stell baleni l' Ereignis, la connotazione che Heidegger dà della complessificazionee della sua rappresentazione informatica è del tutto negativa; il «furore sradicatore» della cibernetica è il «razionalizzante irrazionale». Qui Heidegger non può essere fatto giocare con un indebolimento delle categorie (sul modello pur assai in.telligentee suggestivo di Vattimo), ma deve essere contrastato apertamente. Ciò che va infatti pensato, al di là dell'ambiguità della nozione di Ge-stell ( e ancor più della successiva ostensione dell' Ereignis), è proprio il passaggio dal nascondimento metafisico alla manipolazione tecnica culminante nella trattazione dell'informazione, lo scioglimento dell'essere che mette fuori gioco ogni interpretazione del «tornare nel proprio» come avvento della trasparenza (di un fondamento) o superamento di un'alienazione primitiva. 11«proprio» a cui si torna, prendendo congedo dalle immagini metafisiche del mondo e da ogni concomitante pathos dell'autenticità, è nozione cui è difficile dare «contorno», anzi per definire la quale dobbiamo rinunciare a pretese di «contorno». È la scissione, dimora eraclitea dell'uomo (come ci ricorda in una bella interpretazione Agamben), è il nesso fra ordini metastabili e disordine di cui ci parlano termodinamica e teoria dell'informazione, è il «cattivo nuovo» che Brecht, nell'intervista a Benjamin, contrappone al rimpianto del «buon antico». La prassi contraddittoria liberata dal peso della destinalità non è alcunché di «definitivo» (proprio perché non segna affatto l'avvento della trasparenza ultima). In essa però si è consumato non solo il mito della tecnica e del progresso, prodotto dalla rivoluzione borghese e pervenuto a uno stile paradigmatico artificialistico come ultima barriera di difesa, ma anche l'umanesimo socialista del lavoro, che intreccia teleologicamente rivoluzione e sviluppo delle forze produttive'. La fine della storia dell'essere allude così a un importante mutamento della forma di esposizione filosofica, all'emergere di un nuovo campo problematico - di cui ancora sono oscurissimi i risvolti pratici ed etici. La crisi della democrazia-valore e del produttivismo rivoluzionario (nella duplice forma del socialismo pianificatorio e del proletariato erede del progresso borghese) e l'intrinseca debolezza delle loro riduzioni sistemico-procedurali lasciano il campo aperto a un'elaborazione interminabile della differenza e del conflitto, dai malsicuri connotati politici. Anche la proFuggevqJJC"~mbini El possibile, poi, che non si acquisiscano più profonde conoscenze perlustrando ogni dove, volando sui più diversi paesi. Non c'è gran tempo, oltre tutto. È probabile che lo scrutare attento, l'assaporarecocciuto in ogni dettaglio un circoscritto spazio, dia le ragioni, un senso plausibile alla nostra ormai poco avventurosa esistenza. un vero oggetto in ogni parte compiuto, pressoché maneggiabile, garantito da una consistenza, da una sorta di fisicità che, nel passare dall'uno all'altro dei suoi finora tre libri importanti, si è positivamente accentuata con la maturità, che lo ha portato a un'ulteriore esattezza e asciuttezza di linguaggio. Quasi costellazione è uno dei più bei libri uscitinell'82, anche se i Tiziano Rossi è un poeta senza criticise ne sono accorti troppo pogrossa pubblicità, ma di sicurissi- co. Entrando più nel cuore caldo ma tenuta, forza e originalità, e del libro, direi che Rossi è poeta non ha mai amato il volo, il subii- colto, raffinato e sensibile, che me, l'eccezionalità dell'esperienza. esercitala sua sobria saggezza proLa profondità, la pienezza del suo blematica nel villaggio,pur conserrapporto col mondo stanno nel/'in- vando, nei pensieri e nei sogni, nei tensità dell'appmccio, dove non è progetti e nellefantasie, un posto di neppure l'oggetto che conta, quan- sé per /'altrove, per la verde, umito la natura del corpo che sa offrire • da, affascinante Irlanda, lontana e all'attrito, la vastità imprevista del- magica («Mal d'Irlanda» era il titole sue parti minime, la ricchezza lo d'una sequenza del suo libro della materia, la prodigiosa virtua- precedente, Dallo sdrucciolare al lità del banale. rialzarsi). Certo Rossi non pretende d' es- È come se, in quel 'pasticcio di sersi scelto una condizione. Infos- fiaba' che è la loro stessavita, i persato per comune necessitànel quo- sonaggi di Rossi agissero rimpictidiano, sa coglierne il sapore, sa cioliti, rasoterra, indaffarati comasticarlo, masticando - e arric- munque in quotidiani esercizi, di chendole di succhi - le sue pastosis- sussistenza o sentimento. Non di- I sim; t.it.oe' gffi .i'f\t sto è'èèoaen ere5 si capisce, è la dimensione dei loro affari, delle loro vicende, di cui sono il provvisorio centro. Per vocazione, ma anche per pudore o coscienza del limite, Tiziano Rossi tende dunque al diminutivo di personaggi e storie, in un' esigua felicità (infelicità) infantile e patetica, ma tutta umana, che sola li salva. Sembrano figurine in bianco e nero ritagliate dall'autore, o meglio ancora - nel quadratino di contesto che li condiziona - fotogrammi di un dimenticato, in apparenza insignificantefilm. Esemplare, a questo proposito, è il movimento catturatodallapoesia che dà «quasi»titolo al libro, e cioè «Costellazione»: «Dove più densa diventa l'aria di mensa.li Allora Arcangelo (di nome e non di fatto) s'è incarnato/ a raggiungere esatto quella sviata saliera/ con l'apprensione di tutti così assortii anche se l'azione è per fallire.I Rallentatore, rallentatore:I dunque le dita restate dischiuse/ e la sua faccia che incupisce/ sul trascurabilesuo torso sociale.I (Però dai pezzettini tantissimi/ viene l'intero,/ e fiammeggia anche lui dentro in una/ costellazione)». Abbiamo già qui un importante segnale del senso profondo di questo libro («dai pezzettini tantissimi/ viene l'intero») ben ribadito già molto prima allorchéRossi ci diceva che «il finito racchiude il senza fine». Questo poeta, insomma, ha la singolare capacità di lavorare con successosu unità minime, di aggregarle e comporle all'interno di ogni singolo testo, come delle diversesezioni, come nell'insieme di Quasi costellazione. Sono decisivi f rammenti quasi eroici del/'esistenza; microstorie, ricordi che risalgono all'infanzia come nella sezione d' apertura «Incavi», dove riappare il tempo di guerra, «un disastrato sfollamento», «fuggevoli bambini in vacanza», dove rivive la «nostra fiammella infantile». Poi è ilfiglio, nella cui immagine l'io-lirico-narrante tenta di specchiarsi, misurarsi, forse ritrovandosi in quell'«etàfestività non goduta». Quel «bambino inquinato di Milano», quel «bambino cavalleresco/ che molti feriscono, come passero!» e aneora quel «lui - tutto piccolo» che «si china a frugare questo mondo». La fiaba, con dolce ironia, prosegue poi penetrando il senso posclamazione di Mao del comunismo come luogo di contraddizione perpetuamente riprodotta si muove in questo nuovo orizzonte. Con il che intendiamo bene che la liberazione dal destinale non è affatto una condizione edenica finalmente ritrovata, ma un passaggio, brutalmente disincantante, a nuovi cicli di lotte. E per prima cosa bisogna rinunciare tanto a una rappresentazione mistica di questo passaggio (come è ancora inevitabile in un percorso integralmente heideggeriano) quanto a una rappresentazione positivistica della complessità sociale (al modo di Luhmann, solo per fare un esempio), per utilizzare invece molto più congruamente gli strumenti del sapere congetturale, della strategia politica, della reinterpretazione delle possibilità contenute nel passato. Solo così può farsi strada una progettualità non necessitata deterministicamente o finalisticamente, ma ordinata a pratiche liberatorie, a sperimentazione sociale comunista. Note (I) Da uno dei meta-dialoghi che aprono Verso un'ecologia della mente (trad. it. Milano,Adelphi, 1976) «F1GUA: Che cosa vuol dire per te che questaconversazioneha un contorno? Questa conversazioneha avuto un contorno? PADREO: h, certamentesì. Maancoranon possiamovederlo,perché la conversazionenon è ancora finita. Nonsi può vederlomai, quando ci si è in mezzo.Perchése tu potessivederlo, saresti prevedibile- come una macchina.E io sareiprevedibile,e noi due insiemesaremmoprevedibil.i._,. Per ulteriori schiarimentisulla nozione di «confine» in relazione a un «sistema"cfr. levocicheA. Wildenba scritto per l'Enciclopedia Einaudi («Comunicazione»«, Iofonnazione•). (2) Ci riferiamo qui all'importante contributognoseologicodi I. Prigogine e I. Stengers,che spieganomoltobene la connessionefra imprevedibilitàdel futuroe collocazionedel soggettodentro il mondoosservato. (3) Sulla metis cfr. il classicovolume di M. Detienne e J.P. Vernant, us ruses de l'intelligence. La metis des grecs (Paris 1974; trad. it. Bari, Laterza, 1978); l'utilizzazionepiù corretta ne è stata fattada noi inalcuni scritti di G. Bottiroli(per es., «Il problemadella letturae il modellodellapsicanalisi. Tra Lenine Lacan»,in Metamorfosi n. 4, Milano 1981/4), mentrediscutibilee riduttivaappare un'altra diffusainterpretazione in termini di «saperebas- ·so». (4) Per un interessante approccio a questiproblemi,proprio in relazionea Heidegger,vedida ultimoi saggidiM. Turchetto, C. Preve e G. Barbacetto su Metamorfosi n. 6 (Milano,Angeli, 1982,lire9.000)dedicatoalla Duisione. sibile, imprevedibile e un po' misterioso, di altre form_e di rappono del soggetto con l'esterno, con un'altra persona, ad esempio nelle briciole chefanno lapreziosa montagnetta di una sentimentale relazione. Tiziano Rossi è autore appartato ma certo ben noto a chi se ne intende. Ha pubblicato in precedenza due eccellentilibri, La talpa imperfetta ('68) e Dallo sdrucciolare al rialzarsi ('76), e qui conferma in modo deciso la qualità del suo lavoro. Perviene a un risultato di splendida essenzialità, semplificando una sintassi che prima si presentava (ma era un suo positivo, riconoscibile carattere)più tormentata, attorcigliatasu se stessa, wnf erendo inoltre a ogni testo, direi a ogni verso, ulteriore compattezza e perfetta quadratura. Tiziano Rossi Quasi costellazione Milano, Società di poesia, 1982 pp. 70, lire 7.000
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