approssimazione utile, col metodo del dubbio, sotto il problema prioritario del ragionamento morale «su come vivere». trasposizione della stessa «ambiguità» in termini di polisemia. Oggi ciò è consentito e diffuso, con altri maestri; ma i termini sono quasi equivalenti (ambiguità uguale a polisenso). Invece in Della Volpe la risoluzione comporta che vi è un valore dominante, descrivibile, tenuto conto che vi sono altri valori complementari (permettendo, paradossalmente, una ricerca artistica come quella «concettuale» negli anni 60-70 con rilevazione del valore dominante di una forma ipotetica). Ciò in generale comporta che non si debba leggere il testo come indeterminazione (quale può riuscire in altri approcsenso kantiano e marxiano e dove l'arte è espressione globale incentrata su tale gusto: nel quadro, dunque, del vero (qui verificabile) e del bello (qui verosimile). Il suo nesso innovatore, che evita ogni ipostasi e ogni separatezza di tali attributi essenziali dei due campi, in un estremismo antiromantico posto sul linguaggio, non discute lo statuto scientifico. Questo quadro si è quindi corroso senza pietà. Nella teoria della letteratura e dell'arte sappiamo bene come la loro propria identità abbia cominciato a ballare e a per0 dere senso, anzitutto facendo saltare le soglie in una direzione di Che cosa inferirne? Certo è che, perso il riferimento all'acquisizione di verità nello statuto della scienza, la letteratura, antitetica una volta come «orgia di emozioni» (quale appare sulle prime, così diceva a voce Gargani conversando al circolo di cultura di Milano anni fa) e per rigore fatta già coincidere con la sua sostanza linguistica e stilistica, ora viene investigata in un certo interno processuale: in quanto formazione di significato (nel senso di agglomerato di descrizioni) con valore cognitivo. Ritorna in qualche modo in mente il Barthes del '63 con la nozione di scomposizione e attribuzione di senso come propria della letteratura. Ma l'ottica è un'altra. Pragc.~t. agica Tutto _ciòè insostenibile perché la conoscenza della letteratura è ovviamente inverificabile. Tuttavia è tale anche quella della scienza, ora, in quanto non ha più meccanismi né procedure fisse. Il valore cognitivo della letteratura, che è l'altra faccia (non la riposta o l'interna) del complesso linguistico di ogni opera di letteratura, viene dunque a incidere in un suo modo peculiare, ma non più distinto in assoluto da quello scientifico, sul sistema di credenze e sullo svisceramento morale generale, presso Putnam. E va detto insieme che questi apprezzamenti, esplicitati in un nesso con l'etica, sono da lui posti dentro un discorso complessivo teorico che egli definisce di realismo «interno» e non metafisico: il realismo secondo Putnam «non afferma che è il linguaggio a rispecchiare il mondo, bensì che siano i parlanti a rispecchiarlo - a rispecchiare, cioè, il loro ambiente - nel senso di costruire una rappresentazione simbolica di quell'ambiente» (p.141). Non accettando la teoria della verità come corrispondenza, già valida nella filosofia del linguaggio dopo Wittgenstein e Russell, Putnam riferisce e sostiene che «una corrispondenza fra parole e insiemi di cose (formalmente, una relazione di soddisfazione, nel senso di Tarski) può essere considerata come parte di un modello esplicativo del comportamento collettivo dei parlanti». E perciò stesso Putnam modifica, con riferimento esplicito a Kant, ogni tipo di relazione che si possa porre fra una rappresentazione del mondo, corretta o no, e «IL MONDO»: maiuscolo, differenziato nel linguaggio stesso, esistente però, mentre è posto fuori. Putnam rende la sua proposta anche in schemi grafici (che a me sembrano provvisti di artisticità). Certo a muovere Putnam e altri teorici oggi non è più l'idea di principi formativi nel senso di Einstein, l'intuizione non strettamente logica, ma la completa conversione avvenuta, in questo decennio di massima criticità, del concetto di «vero» in quello (idealista e anzi irrealista) di «asseribilità garantita» come solo criterio epistemico. Ogni valore, sia scientifico che letterario, è posto in questi limiti - e ad essi è contraddittorio, in una tensione, almeno dal nostro punto di vista che è materialistica. M ala Strana, o Malà Strana, è un quartiere di Praga sulle rive della Vltava, ai piedi del celebre ponte Carlo. Uno dei cuori di Praga, la cittàpiù « raccontabile» della storia della letteratura, ambiente ideale per le storie della Mitteleuropa. Se in Italia già si conoscevano i racconti di H rabal e Nezval, l'opera di Jan Neruda è rimasta a lungo appartata, visto che viene riproposta dopo cinquant'anni dalla sua prima traduzione. Ed è strano se si pensa che Neruda, pur scrivendo nella seconda metà dell'Ottocento, descrive una Pragasospesa nel surreale quotidiano come quella che siamo abituati a conoscere. C'è da ritenere che in questa sorprendente continuità vi sia lo spirito e il volto di una città che giustamente è stata definita «magica». Anche se si rimane nei limiti di un quartiere, o addirittura di un caseggiato, non si rischia di perdere il fascino di un mondo attraversato dalla storia troppo velocemente, di un popolo sconcertato dal peso delle troppe identità etniche. A Praga, città cèca, fu fondata la prima università tedesca; il suo più grande scrittore, Franz Kafka, scriveva in tedesco, mentre gli ebrei erano alla ricerca di una propria collocazione nelle rivalitàsociali ed economiche. Anche a Mala Strana quindi, come nel resto della città, l'incertezza fra lo slavo e il tedesco dà luogo a un conflitto di caratteri che solo l'ironia del narratore può dipanare. Infatti Neruda è un bozzettista che, con rapidi tratti, ci accompagna ci prevalentemente tecnici) o equivocità di significato. Della Volpe inoltre sostiene in modo sistematico che nella poesia si tratta di una forma diversa e confrontabile di razionalità, a partire sempre dal parlato: «ciò che distingue realmente la scienza in genere dalla poesia (e l'arte in genere) non è la 'astrattezza' del pensiero nel suo caso e la 'concretezza' nell'altro: bensì la onnicontestualità o tecnicità del linguaggio usato nel primo caso e la contestualità organica del linguaggio usato nel secondo caso» (p.106). I termini e concetti benché teoricistici di Della Volpe hanno una intatta lucidità. Qui dunque !'«aseità stilistica-semantica» (il com3. Linguaggio e materialismo plesso linguistico formale, cioè, A ristabilire ora, anzitutto, non con le proprie esperienze interne, o nei termini neo-hegeliani di distin- l'insieme di valori della comunicazione marcata fra l'intuizione e il zione in un organismo unico che concetto, la divergenza di scienza sta per se stesso) è propria dell'oe di letteratura, è esauriente per il pera di letteratura, ma non si dà marxista il ricorso al libro di Della come imparagonabile con l'opera Volpe Critica del gusto (Milano, di scienza. Tutt'insieme, questa è Feltrinelli, 1960). assunta senza assolutezza e senza Esempio unico di costruzione perdita di certezza, in senso critico dell'essenza materialistica a livello e storicamente relativo. «sovrastrutturale», Della Volpe ri- Il Della Volpe della Critica del solve il quesito difficile dell'ambi- gusto sta tuttavia nel quadro classi- 8 i b ls it'~ 1cia'9 ot:l a ne dove c'è la facoltà del gusto in per un quartiere affollato e promiscuo, zeppo di personaggi stralunati, teneri1 maldestri e talvolta malinconici. È una vita minuscola quella che ne emerge, in cui i protagonisti pensano a far carriera, a spiare i vicini, a spettegolare nelle osterie - gente normale che ama la vita e odia la morte. Eppure la banalità non affligge una vita eretta sul palcoscenico del quotidiano: v'è sempre l'imprevisto, il surreale, il grottesco che irrompono sulla scena. La meccanicità del reale non riesce a prendere il sopravvento su personaggi così pieni di poesia, come quella iignorina che, non sapendosi decidere fra due pretendenti, aspetta che muoiano, lasciandola così nell'imbarazzo di scegliere su quale tomba deporrà prima i fiori, nell'annuale celebrazione dei defunti. Neruda inizia in tal modo una maniera di guardare alle cose di tutti i giorni che esalti le sbilenche avventure di chi vive l'esistenza quotidiana con disincanto e passione, pur sapendo che i problemi più importanti sono il raffreddore e la pigione. E inizia anche con questi racconti la grande stagione letteraria di una città crogiuo/o di miti, fantastico labirinto in cui la vita s'inceppa· e sosta nei vicoli a scaldarsi con lo smagato umorismo di chi ha perduto il centro del mondo e lo rimpiange. Jan Neruda I racconti di Mala Strana Casale M., Marietti, 1982 pp. 239, lire 12.000 allargamento (dove estetico e artistico non coincidono, come comincia ad osservare Mukarowski) ... Si è minata l'aseità stessa. È poi scomparso per un tratto l'oggetto artistico e la letteratura ha presentato la disseminazione assoluta ... Nell'altro campo si è fatto a pezzi non solo il percorso cumulaSiringa tivo delle cognizioni scientifiche col rapporto tra verifica sperimentale e teoria, ma ogni principio concepibile come stabilizzato, compreso lo spazio secondo Newton. Tuttavia, ora, è proprio il rilievo di due differenti qualità peculiari ancora del linguaggio nella scienza e nella letteratura, mentre ribadisce i diversi contesti di valore e di pratica intellettuale, a permettere tutt'insieme di postulare un elemento comune (quello per il quale già si usa dire che sono simili il «creativo» e il «teorico»). Non si può certo farlo a prescindere dal differente statuto: quello scientificoorientato all'accertamento «incerto», e cioè alla congettura costruita, quello letterario a un'«aseità» il cui tessuto è inverificabile e il cui esame è un'analisi linguistica. Ciò che è certo, intanto, è che il linguaggio in entrambi i campi si deve definire come valore concorrente essenziale. In ogni formazione di significato, dove è messa in gioco la relazione fra l'esperienza e la teoria, si dà un'operazione dove il linguaggio «entra», non è aggiunto. Né deve dirsi che il linguaggio in una di queste attività, nella letteratura, è lo scopo perché in essa si presenterebbe quindi esaustivo. Ciò che conta è la scoperta che il linguaggio non è uno strumento, ma inerisce alle attività della mente. Ne viene l'esigenza, per il discorso teoretico rigoroso, di un'analitica relativa al linguaggio, e della consapevolezza che in ogni operazione mentale vi è un valore ca-assiale del linguaggio stesso. Emerge una essenzialità linguistica che incide sia a livello esperienziale sia nella genesi delle idee; e prima, cioè, della «forma» in senso classico. Detto questo, è chiaro che una diversa scelta risulta quella rivolta a rendere il linguaggio un «universale» unico, in una tendenziale identificazione con l'essere, come è posta da Heidegger (oggi riletto acutamente da Vattimo). E anzi nel '60 l'opera d'arte presso di lui è considerata «abitabile»: come il solo spazio che garantisce qui dimora all'uomo ... Certo io non nego che questa scelta è storicamente carica, come certe avanguardie artistiche nei loro manifesti, di una propria; iniziale forzatura radicale giusta nella scoperta della dimensione del linguaggio. Ma nel corso delle avanguardie degli anni settanta ciò è divenuto a rigore una proposta di analiticità: nei riguardi della «relazione d'oggetto», e cioè della percezione, e anche della teoria. Così si è portato per esempio alle più mature conseguenze il cartello verbale posto sul visivo di una pipa: «Ceci n'est pas une pipe»... Infine va detto che una certa connessione effettiva fra i dati osservativi utili per l'impresa scientifica, e l'osservazione o l'esperienza che viene asserita o presentata come interna all'iter della costruzione di opera d'arte (magari passando e ripassando dalla consapevolezza all'intuizione, o meglio, al processo primario) si esercita e si confronta oggi nell'analisi della percezione. Si richiederebbe proprio in ciò un dibattito teorico sino in fondo (a ripartire magari dal conflitto fra Mach e Lenin). Certo il dare oggi una fondazione equivalente allo scientifico e al letterario può sottolineare la crisi, ma al contrario può anche indicare una misura mobile ma non precaria; dove non può ricomparire nessuna «fallacia dei sensi», ma dove resiste, in rapporto con essi, il discorso pertinente alle cose che stabilisce la modernità. Contro il rischio del nuovo periodo, che sta nel sostituire i nomi alle cose, e marcare, invece dell' «arbitrarietà del segno», un distacco nominalistico del sapere dalla comunità dei parlanti, è funzionale oggi l'ipotesi di un momento originario comune dei due campi d'indagine e di lavoro intellettuale, per paradosso. Versione«minore»di un saggiobreve con lo stessoargomentoe titolo(e riferito ancheal contrastofra laposizione di Heidegger-Va11imeoquelladellase- . miotica,qui solo accennato). EINAUDI LA FAMIGLIA MANZONI di Natalia Ginzburg « Il protagonista di questa lunga storia famigliare, non volevo fosse Alessandro Manzoni. Una storia famigliare non ha un protagonista; ognuno dei suoi membri è di volta in volta illuminato e risospinto nell'ombra. Non volevo che egli avesse piu spazio degli altri; volevo che fosse visto di profilo e di scorcio, e mescolato in mezzoagli altri, confuso nel polverio della vita giornaliera. E tuttavia egli domina. la scena; è il capo-famiglia; e gli altri certo non hanno la sua grandezza. E d'altronde egli appare piu degli altri strano, tortuoso, complesso». «Supercoralli», pp. vr-347, con 41 illustrazioni fuori testo, L. 18 000. EINAUDI LETTERATURA Oltre al libro della Ginzburg aprono l'annata La cordigliera delle Ande di Luzi nella serie dei quaderni di traduzione di poeti («Supercoralli», L. 16 ooo); Passatempi di Léautaud, dove il lettore viene condotto con caustica ironia nell'universo parigino fin de siède («Nuovi Coralli», L. 12 ooo) e Tre pezzi d'occasione di Beckett («Einaudi Letteratura», L. 7500) nella traduzione di Fruttero e Lucentini. Nei «Nuovi Coralli» escono il primo libro di Biamonti L'angelo di Avrigue (L. 8500), Dimenticato di dimenticare di Dacia Maraini (L. 6000) e J ustine di Durrell ( L. 9 500 ). EINAUDI SAGGI Il concetto di critica nel romanticismo tedesco di Benjamin (L. 20 ooo); Informatica e qualità del lavoro di Gallino, un brillante «Nuovo Politecnico» che segnala la trasformazione del modo di lavorare di ciascuno (L. 8500); Introduzione all'arte romana in cui Brendel in una affascinante ricostruzione ripensa tutta l'arte romana (L. 36 ooo). Vanno ancora ricordati l'undicesimo volume della «Storia dell'arte italiana» dedicato a Forme e modelli con saggi innovatori su la natura morta, gli arazzi, la grottesca, l'effimero, l'arte popolare, il vetro dipinto, la villa, la prospettiva, il mobile, e la sorprendente Sistematica che propone la chiave di lettura della «Enciclopedia Einaudi». Chiude il mese il libro di PAOLO SPAIANO I comunisti europei e Stalin in cui campeggiano, accanto alla figuradi Stalin, quelle di Togliatti, Thorez, Tito e al tempo stesso quelle, fuori dall'ortodossia, di Trockij, Bucharin e altri. « Biblioteca di cultura storica», pp. xn-303, L. 25 ooo.
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==