Alfabeta - anno V - n. 45 - febbraio 1983

vita il «nemico» nel territorio del gruppo - serve a rassicurare il gruppo stesso, attraverso la creazione cli un luogo di segregazione simbolicamente omologabile al luogo del nemico. Per altro verso, «la punizione alternativa alla pena cli morte è ispirata dal codice materno, mentre l'applicazione della pena cli morte appare ispirata al codice paterno, nel senso che il primo è centrato sulla depressione, mentre il secondo è centrato sulla paranoia. Il carattere materno del sistema di punizione penitenziario è confermato dalla reclusione in un contenitore dal quale si è imprigionati, ma dal quale è teoricamente possibile uscire, nel senso che l'uscita dalla prigione è simbolizzabile come una rinascita. Le istituzioni carcerarie sono in fondo istituzioni materne proprio perché l'incarcerazione del reo corrisponde ad una reinfetazione in un contenitore materno dal quale teoricamente è possibile rinascere,._ L'intervento di Fornari, frutto della trasposizione meccanica di categorie psicoanalitiche ad aspetti diversi del reale, può essere criticato da molti punti di vista. Per esempio, che gli effetti micidiali di impatto col carcere («prisonerizzazione») siano o siano vissuti come una reinfetazione, è cosa che esige più di una spiegazione. Sta di fatto che questo intervento ha avuto il merito di riportare all'attenzione del convegno il carcere, altrimenti considerato in modo implicito come alternativa «civile» alla barbarie della pena di morte. La pena capitale, infatti, presenta due facce. Per un verso richiama tutti i problemi del diritto alla vita, del fondamento del diritto di uccidere e della legittimità giuridico-statale a far ciò. Ma per un altro verso si pone come espressione massima del sistema delle pene, e quindi come ultimo gradino della scala costituita dal carcere nelle sue sfumature di du: rezza. La pena di morte è l'opposto del carcere e insieme ne costituisce la continuazione. li braccio della morte ( death row) costituisce l'anello di congiunzione, il luogo nel quale si materializza questa ambivalenza e dal quale si esce o per andare verso l'esecuzione (di fatto più di rado) o per tornare a scontare la pena a vita in un penitenziario. La popolazione dei bracci non è esigua: negli Stati uniSuonatricedi lyra ti, ad esempio, oggi è di ben 1.137 unità, 200 in più dello scorso anno e il doppio rispetto al 1979. Per chi e in quale direzione si scioglie il dilemma esecuzione/carcere è fatto che dipende non poco dal colore della pelle e dalle possibilità economiche (il tentare tutte le strade fino alla Corte suprema è estremamente caro - vedi K. Andersen, in Time p. 22). Questo doppio movimento nelle prigioni americane viene descritto con particolare efficacia nell'articolo di Abbott (che è la recensione del libro Slow coming dark. Interviews on Death Row di Doug Magee). Il condannato nel braccio della morte vive una condizione psicologica particolarissima: non si abitua all'idea di dover morire e pensa alla sua esecuzione come a uno sfortunato incidente futuro che può accadere con «vari gradi di probabilità». La morte perciò viene vissuta come un qualcosa che non arriva lentamente - come nel titolo del libro recensito da Abbott - ma all'improvviso, come «un aeroplano che sfugge al controllo». Il condannato si protesta innocente fino all'ultimo momento, finché è in lotta con le varie procedure legali di sospensione o di commutazione della pena nel carcere a vita, ed è perciò ossessionato dall'idea di parlare o di aver parlato durante il sonno, confessando qualcosa. È una condizione psicologica che dura a lungo, anche per vari anni. Alla fine, chi sopravvive a questo vero e proprio supplizio (nella tradizione il supplizio era l'arte di far morire più volte una persona) è una persona totalmente diversa. Abbott, che ha alle spalle una lunga carriera carceraria, li ricorda come persone particolari, identificabili a prima vista e incapaci di qualsiasi forma di socialità con gli altri detenuti: «vivevano in un mondo differente dal resto di noi, preferendo la solitudine delle loro celle e restando isolati nell'area di ricreazione a coltivare tranquille attività come la raccolta di francobolli ( ... ). Li ricordo per lo più come una specie sfuggente, sempre a dormire nelle loro celle. Nessuno di loro protestava mai per qualcosa» (p. 6). Il sopravvissuto che torna a scontare una pena detentiva si aggira per le carceri come monito vivente per tutti i detenuti, come quei rottami di macchine che in alcuni paesi vengono lasciati ai bordi delle strade dove si è verificato l'incidente... per invitare alla «prudenza». Lafinzioneeconomica Andrebb, Cot, Frydman, Gillard, Micbon, Tartarin L'écooomie fiction. Colltre les nouveaux écoDOIJlistes Paris, Maspero, 1982 «Hai piegato il Tempo con l'Uncino della Concupiscenza. Hai strappato l'Orlo della Virtù. E il Vento si aprirà un varco, e il Ciclone si inabisserà». Djuna Barnes «li tempo è tutto, l'uomo non è più nulla; è tutt'al più la carcassa del tempo». Karl Marx L a recente pubblicazione di un'opera collettiva, L'économie fiction. Contre les nouveaux économistes, offre l'occasione migliore per la riapertura del dossier neoliberale già presentato in questa rivista'. Tanto più che, come leggiamo nell'introduzione, lo scopo del libro non consiste nell'aprire dibattiti sulla natura delle singole politiche che questa dottrina ba potuto o può ispirare o giustificare. Si tratterà invece di trovare e cli discutere gli enunciati teorici fondamentali dei «nuovi economisti» al di qua delle loro tre grandi linee di politica economica: il monetarismo, che si propone di limitare il campo degli interventi economici dello Stato al controllo dell'offerta monetaria; l'economia dell'offerta, che mira a rilanciare gli investimenti frenati dalle politiche keynesiane; e la restaurazione dei meccanismi di regolazione mercantile, ossia l'ebbrezza del mercato. Anziché declinare i tre tempi sillogistici del neoliberalismo applicato (tra la degradazione della redditività del capitale e il fallimento delle terapie keynesiane dello Stato assistenziale, una condella come mo piuttosto su «alcuni interrogativi di base che sorgono in relazione alla teoria e alla metodologia delle stesse scienze economiche»'. Dietro il paradosso di tale ambizione, espressa da ricercatori di ispirazione marxista, si constaterà con un certo stupore il riconoscimento dell'accelerazione e dell'espansione della disciplina economica a partire dal 1945, «e questo - precisa Robert Tartarin - quali che siano i parametri che vengono presi in considerazione,.'. Dunque, non ci si limita alle ben note critiche del neoliberalismo, perché ciò significherebbe eludere l'analisi delle trasformazioni in atto nel pensiero economico. I suoi sviluppi avrebbero suscitato «rotture fondamentali», riscontrabili nelle attività di gruppi quali la scuola di Chicago animata da Miiton Friedman, il «Center for study of public choice» (Centro di studio delle scelte collettive) che - sotto la direzione di James Buchanam e Gordon Tullock - ha fondato la sua attività sull'applicazione della metodologia economica all'analisi dei fenomeni politici; o come i teorici dei diritti di proprietà o gli storici della New Economie History, dominata dalla personalità di Robert Fogel, illustre inventore del «condizionale irreale» (sic) Eric Alliez nell'analisi storica. La prima rottura consisterebbe in una estensione del paradigma economicista alla totalità del sociale - è la via regia dell'homo oeconomicus, con il suo corollario, l'economia elevata al rango· di prassologia, scienza del comportamento e delle scelte, scienza del «come-si-decide». È inutile precisare che un discorso di questo tipo può tenere solo fondandosi sulla lettura economicista del politico prodotta dalla scuola liberale tradizionale. La seconda rottura, meno tradizionale, e alla quale Tartarin dedica il suo scritto sulla teoria dei diritti di proprietà («Vers un historicisme libéral?») è consistita nel «generalizzare l'approccio economico al quadro statico del capitalismo concorrenziale, sia all'analisi del cambiamento istituzionale che allo studio delle forme di organizzazione economica non capitaliste, cioè nel tentativo di scrivere una teoria economica della storia»•. In entrambi i casi, l'incontro con il marxismo (rispettivamente, nella versione economicista e in quella materialista storica) non è di solo antagonismo, sulla fragile passerella che conduce alla riconciliaCarrotrionfale zione definitiva della società con se stessa. A destra, la sovversione nell'economico via l'universalizzazione dello scambio; a sinistra, l'estinzione dell'èconomico e la diluizione del mercato nell'abbondanza comunista. P rendiamo la teoria dei diritti di proprietà ( Property Rights), considerati come fattore causale della crescita a lungo termine (visto che l'innovazione o l'accumulazione del capitale non sono fattori ma indici di crescita): una teoria behaviorista che si propone di decifrare la logica della storia tramite lo sviluppo delle istituzioni di proprietà. La logica della storia è l'espansione dei diritti privati, i soli capaci di garantire la privatizzazione dei costi sociali e l'ottimizzazione del comportamento individuale. È difficile immaginare una migliore legittimazione «scientifica» del sistema capitalista ... Su questo punto, non c'è nulla di troppo nuovo sotto il sole della nuova economia. La definizione dei Property Rights come rapporti sociali è invece più «sintomatica»: «l'attuale sistema dei diritti di proprietà di una comunità può essere descritto come l'insieme dei rapporti economici e sociali che definiscono il posto di ogni individuo in relazione all'uso delle risorse rare»'. Andreff confronta questa citazione con un testo di Charles Bettelheim nel quale si precisa che il termine «rapporto di produzione 'designa' un sistema di posti assegnati agli agenti della produzione sulla base dei principali mezzi di produzione»•. È quindi difficile non ravvisare una certa omologia tra materialismo storico e teoria dei diritti di proprietà (Property Rights versus rapporti di produzione). Furubotn e Pejovich non hanno mancato di riconoscerlo: «Marx e Engels (... ) sono fondamentalmente d'accordo su questa definizione dei diritti di proprietà». Giocare la carta della dissociazione mettendo l'accento sul primato della rarità non ci condurrebbe molto lontano, dato che questi autori insistono spesso sul fatto che non si posseggono mai le cose in sé e per sé, bensì i diritti d'azione socialmente riconosciuti in relazione alle risorse rare. Il cerchio diventerebbe una spirale perché - come ricorda Tartarin - già Fichte fondava il suo socialismo di Stato su un diritto di proprietà concepito come «diritto esclusivo alle azioni, e non come diritto sulle cose»'. Ma ciò che conta è che, in entrambe le interpretazioni, i rapporti di diritto identificati con i rapporti sociali si adattano meccanicamente ai cambiamenti delle condizioni economiche posto che queste ultime assumano un'ampiezza sufficiente - ampiezza definita dal raggiungimento di un limite nell'espansione economica o dal cambiamento di segno di una differenza costi-benefici. Qui si ritrova il modello meccanico delle relazioni infra/sovrastruttura. Infatti, poiché le relazioni sociali sono determinate dalla relazione degli individui con i beni, l'economia è sottomessa a un meccanismo puramente interno (autosufficienza infrastrutturale dell'economia). La duplice presi:nzJ del determinismo economi-

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