corporativa, è la Germania del primo dopoguerra a costituire il riferimento centrale dei Tarchi, dei Cardini, dei Veneziani, dei Solinas e degli altri esponenti della nuova destra. Coesistono in una sorta di eclettismo programmatico - che ricorda per altro i movimenti fascisti al loro sorgere - le suggestioni della «rivoluzione conservatrice» di Armin Mohler o de Il Terzo Reich di Moller van der Bruck, gli scritti critici ma anche partecipi dedicati da Delio Cantimori negli anni trenta a Ernst Jiinger e a Cari Schmitt con la tradizione nazionalsocialista e razzista del Medioevo germanico dei Templari e dell'Ordine teutonico. '( Evoliani stanchi d'.una lettura puramente agiografica dei testi di un grande pensatore, su cui iniziavano a esercitarsi gli sciacalli esperti in evolomania - ha affermato Stenio Solinas, in un tentativo di autodefinizione della nuova destra, al convegno del -.- 1981, - tradizionalisti che sentivano troppo lontano o troppo angusto il richiamo a un tempo passato, mentre la loro voglia e foga di agire li portava sempre più a interessarsi del tempo presente; cattolici delusi da un magistero troppo accomodante nelle sue più alte sfere ovvero essi stessi troppo impegnati in battaglie di retroguardia nobili certo ma, ahimè, sterili, se non, addirittura, in lotte intestine per chi avrebbe dovuto, fra loro, avere il crisma e la benedizione della verità; pagani il cui 'Dio sconosciuto' da amare rischiava di trasformarsi in una questione di alta etnologia mischiata con un pizzico di folklore; politici che, nelle esperienze di vita di un partito, avevano appreso la strategia della sopravvivenza ma non quella della conquista; nietzschiani che volevano la grosse Politik, e non il continuo farfugliare sulla 'bestia bionda'». Dietro il linguaggio immaginoso di Solinas, si intravvedono le correnti diverse di cui si compone l'universo della nuova destra: compaiono i nomi di Evola, l'autore della Rivolta contro il mondo moderno, giunto di recente alla sesta edizione del dopoguerra; di Nietzsche, cui Adriano Romualdi ha dedicato all'inizio degli anni settanta un saggio tendente a fondare una base teorica aggiornata alla dottrina della disuguaglianza tra gli uomini; della Chiesa cattolica come madre di una cultura tradizionale e reazionaria durante l'epoca dei fascismi. C'è infine l'accenno al partito neofascista come a qualcosa che si è lasciato per un dissenso sulla strategia da seguire piuttosto eh~ sull'ideologia da abbracciare. Ma, si dirà, che senso può avere un guazzabuglio ideologico come quello cui si è accennato? E chi rappresentano gli autori di questa torrentizia produzione di periodici e di libri nell'Italia degli anni ottanta? Al primo quesito si può rispondere che certo di guazzabuglio si tratta. Ché sembra difficile conciliare posizioni che in parte si richiamano al nazionalsocialismo e alle correnti della destra tedesca tra le due guerre fino a pubblicare scritti di Goebbels e di Rosenberg, con l'uso strumentale di Gramsci o con il richiamo alla cultura cattolica, sia pure di destra. Ché, a guardare ancor meglio, coesistono dal punto di vista teorico eredità di un filone filosofico-politico che si rifà a Machiavelli, Hobbes, Hegel (comune, dunque, a una parte della cultura liberale) con discendenze delle «filosofie della crisi», da Schopenhauer a Nietzsche e ad Heidegger, che vanno in tutt'altra direzione. Ché, infine, non è facile pensare insieme al «decisionismo» di Cari Schmitt e alle componenti magiche ed esotiche della nuova destra, da Evola a Tolkien. Ma, a mio avviso, occorre non Bib o e g1noo1a sottovalutare il fatto che in tutti i periodi di crisi politica e culturale, alla ricerca di risposte che la realtà sembra non voler dare, correnti e movimenti che sono in parte effetto della crisi medesima tentano di acquisire un patrimonio polivalente e in grado di andare incontro a esigenze differenti o addirittura contrastanti. È già successo negli anni venti di questo secolo, e i fascismi hanno mostrato allora una eccezionale abilità ad appropriarsi di intuizioni e parole d'ordine di altra provenienza, da spendere per la conquista del potere: non c'è dunque da meravigliarsi che la nuova destra segua ancora questa strada. Del resto, se si passa da un'analisi per così dire formale del suo patrimonio ideologico a uno studio più attento delle tesi politiche di fondo che emergono nei volumi e negli articoli di cui si parla, è possibile individuare un'ispirazione di fondo che si ritrova in tutti: una concezione aristocratica ed elitistica della politica che recupera i teorici del pensiero antidemocratico nei primi decenni del Novecento, a cominciare da Vilfredo Pareto; un'insistenza tenace sulle differenze (di razza, prima di tutto); un'ideologia fortemente gerarchica, antiegualitaria, affascinata dalle teorie della società «organica» e dal totalitarismo; un rifiuto globale della storia e di ogni concezione che permetta di scorgerne o di attribuirvi un senso, qualunque esso sia. Come si può constatare, al di là del guazzabuglio, si ritrovano con altro linguaggio e un grado inusitail ventennio fascista - un progetto di società nuova, potremmo dire un'utopia, che era per alcune correnti legato strettamente all'eredità della rivoluzione bolscevica e alla storia dell'Unione sovietica, come a quella del primo paese in cui stesse per realizzarsi l'ideale socialista; per altre correnti, alla fondazione di una democrazia nuova, che attraverso riforme radicali facesse dell'Italia una società più giusta. Ebbene, occorre constatare che in questi anni l'una e l'altra utopia sono entrate innegabilmente in crisi. L'utopia comunista, di tradizione sovietica, ha ricevuto nei venticinque anni che ci separano dalla denuncia dello stalinismo compiuta da Kru~cev al XX congresso del Partito comunista sovietico smentite sempre più gravi: in Italia è difficile, per non dire impossibile, proporre oggi la società sovietica o qualsiasi altro paese del «socialismo reale» come un modello a cui guardare per la costruzione di una società nuova. Né d'~ltra parte, su questo piano, i gruppi di estrema sinistra - che pure har,no duramente criticato l'esperimento sovietico - hanno indicato una strada da seguire, affidandosi al contrario di volta in volta ad altri modelli - Cuba o la Cina, per fare due esempi, - abbandonati appena gli avvenimenti si incaricavano di smentire delle opzioni derivanti più dal bisogno di trovare un nuovo ancoramento utopico che da un'analisi approfondita della situazione storica. La crisi dell'utopia legata alla rivoluzione bolscevica ha d'altra Bagno (lavacrum) to di elaborazione culturale tratti familiari al fascismo storico e alla tradizione della destra europea. All'altro quesito che ci eravamo posti, si può rispondere che la nuova destra, pur essendo presente in molte regioni del paese, ha oggi limitate dimensioni numeriche. Ma il suo obiettivo non è quello di approntare un esercito, bensì di formare quadri che siano in grado di estendere l'influenza del gruppo iniziale. Da questo punto di vista, sarebbe assurdo sottovalutare le possibilità di espansione di una corrente che ha già dimostrato di saper approfittare di due contingenze ad essa favorevoli: la gravità della crisi politica, economica e sociale in cui si dibatte l'Italia, e non solo l'Italia, e il disorientamento profondo in cui si trovano le nuove generazioni di fronte a una cultura - come quella detta di sinistra - posta di fronte a scelte drammatiche rispetto al proprio patrimonio teorico e ideologico. Mi limiterò, nell'impossibilità di sviluppare l'uno e l'altro tema come meriterebbero, a sottolineare solo alcuni punti che mi paiono di particolare importanza. A Ila base dell'ascesa e del consolidamento d'una egemonia culturale democratica e antifascista nell'Italia degli anni sessanta e settanta c'è stato senza dubbio - accanto a un giudizio critico sui ritardi e sulle contraddizioni di una tradizione culturale confessionale e reazionaria o almeno idealista e conservatrice come quella che ha avuto corso durante CO parte trascinato con sé molte altre cose: la speranza che il centralismo democratico fosse un antidoto alla lotta delle correnti o potesse consentire un ricambio nel gruppo dirigente del partito; l'internazionalismo comunista come alternativa valida al particolarismo delle soluzioni socialdemocratiche, e così via. Né si può dire, allo stato dei fatti, che l'indicazione piuttosto vaga e nebulosa di una «terza via» rispetto a quella sovietica e a quella socialdemocratica abbia sostituito adeguatamente quel modello. Ci troviamo insomma - è inutile negarlo - di fronte a un vuoto, da questo punto di vista, assai difficile da colmare. Né le cose si presentano meglio per quelle correnti che si richiamano a un ideale di democrazia riformatrice in un paese come l'Italia, che ha visto dopo il fallimento del centro-sinistra succedersi governi diversissimi tra loro, ma assai simili nell'assoluta incapacità di modificare le strutture fondamentali del paese per eliminare gli squilibri sociali ed economici più gravi, e fare dell'Italia uno Stato più vicino -aJ modello inglese e francese piuttosto che a quello spagnolo - mi riferisco, sia chiaro, alla Spagna del Seicento piuttosto che a quella attuale. Occorre dare atto che c'è stata negli ultimi anni, soprattutto a partire dal momento in cui il Partito comunista ha tentato di attuare il «compromesso storico», un'interessante ripresa di tentativi teorici che si richiamavano alla tradizione di un socialismo riformatore quale mai nel nostro paese ha avuto la possibilità di esprimersi se non in esperimenti temporanei e localistici. Ma proprio l'esperienza degli ultimi anni ha messo in luce la differenza, per non dire l'abisso, tra quelle interessanti teorizzazioni e la prassi concreta delle iorze politiche che dicevano di ispirarsi a quegli ideali riformatori. Nell'un caso e nell'altro, insomma, si è dovuta constatare una fondamentale assenza di realismo nella tradizione culturale della sinistra - assenza di realismo, per altro, che non risale soltanto ai modelli utopici di cui ho parlato e alle ultime smentite che questi hanno ricevuto in Italia e altrove, ma sicuramente a una concezione più generale della storia e della società. Non c'è dubbio, infatti, che le correnti democratiche, socialiste e comuniste si rifanno a una concezione della storia al cui centro c'è l'idea di un sicuro e indefinito progresso della società attraverso tappe successive, che sono in qualche modo persino prevedibili. Qui non si tratta di essere necessariamente marxisti: è tutta la tradizione storicistica, da Hegel a Marx a Croce, che va nella medesima direzione. In quell'idea di progresso c'è dunque la visione di un avvicinamento più o meno lento a una società in cui valori come l'uguaglianza, la democrazia, la libertà, tendano ad affermarsi e a diffondersi in modo sempre più compiuto. Importa fino a un certo punto che dagli autori citati, in termini di immaginario, si sia preso anche più di quanto essi scrivono: sul piano delle mentalità e dei miti collettivi, la tradizione è questa. Lf assenza di realismo verificabile in una simile concezione della storia e del mondo, maturata in anni di grande slancio dell'Occidente e delle borghesie, ha prodotto negli ultimi anni un distacco sempre maggiore delle nuove generazioni che in quelle previsiooi vedono assai più la proiezione di desideri delle generazioni precedenti che i risultati di un'analisi impietosa e disincantata della società umana. In un mondo che oggi vede prevalere disuguaglianza, dittature, perfino rigurgiti di razzismo, una concezione della storia come progresso e della democrazia socialista come ideale di vicina realizzazione appare più come una fuga in avanti, magari retorica e trionfalistica, che come un progetto alla portata dell'uomo. Di qui, dalla crisi - a mio avviso innegabile - che affligge una cultura che ha difficoltà ad allontanarsi da lidi tanto rassicuranti quanto poco realistici, derivano le possibilità di affermazione di una nuova destra, che sfrutta appunto la distanza tra i progetti della sinistra e le sue realizzazioni, tra una concezione ottimistica del mondo e una congiuntura (ma si tratta solo di una congiuntura?) a dir poco difficile, e tende a presentarsi come una corrente realistica più che nostalgica, proiettata nel presente più che nel passato. La gravità non temporanea della situazione politica ed economica dell'Italia, anello debole di un Occidente anch'esso in crisi, rischia di offrire uno spazio inaspettato all'offensiva politica e culturale della cultura reazionaria. Il primo passo da compiere per opporsi all'offensiva, e batterla sul piano culturale prima che politico, è quello di prender atto della crisi che ci ha investito, di mettere in discussione non gli obiettivi di democrazia a cui miriamo ma il modo di analizzare la realtà e di agire su di essa. Non a caso, agli inizi del 1981, uno storico non sospettabile di nostalgie reazionarie ha concentrato la sua attenzione sulla «crisi dell'idea di sinistra». Forse è giunto il momento di approfondire anche questo discorso. 6 COMUNE DISUZZARA GALLERIA D'ARTE CONTEMPORANEA COMUNE DI MANTOVA ASSESSORATO ALLA CULTURA ENTE MANIFESTAZIONI MANTOVANE organizzano un ciclodi conferenze sul tema: Scena ed immagine alle soglie della postmodernità relatori: U. Artioli 24 febbraio G. Baratta 2 marzo F. Bartoli 25 febbraio A. Bonito Oliva 28 febbraio J. Duvignaud 15marzo P. Meneghetti 3 marzo F. Menna 27 febbraio S. Sinisi26 febbraio F. Trebbi 2 marzo S. Trombini 4 mano Le conferenze saranno tenute presso la Galleria civica di Suzzara alle ore 20,30 il lavoro editoriale Ancona Francesco Borioni, Le reste anconita. Introduzione di MicheIde Certeau Nella città parata a festa per l'arrivo di Gregorio XVI, dopo i lutti dei moti rivoluzionari e dell'epidemia colerica, la cronaca mistica di un viaggio politico per la riaffermazione della Sovranità. Autori Vari, Mostri e fossili. Il gabinetto di storia naturale di Luigi Paolucci Il miraggio positivista di una cultura scientifica ottocentesca nella riproposta di un museo di scienze naturali e del suo illustre realizzatore. Anonimo, Il cuoco perfetto marchigiano A cura di Emilio Faccioli Un manuale ottocentesco di arte gastronomica fra tipicità regionali e alta cucina francese. Joyce Lussu e altre, Donne, guerra e società Interventi di donne sulla guerra come fenomeno politico, storico e sociale Gilberto Severini, Consumazioni al tavole Romart20 breve Giovanilismi, svenimenti, disturbi e campeggi tra deliranti vacanze e un festival di Polverigi Il lavoro editoriale, casella postale 118 Ancona tel. 071/986678 Distributore esclusivo per Emilia- ~ Romagna, Marche e Abruzzo ~ L'Editoriale s.r.l. - Bologna ~ ~------------~ <:
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==