Alfabeta - anno V - n. 45 - febbraio 1983

la debolezza, non solo ogni forma di storicismo, perché connesso a una visione troppo angusta della storia, ma anche ogni dimensione politica, nel senso di scelta decisiva tra ideologie opposte. Nonostante le profonde differenze che esistono tra Nietzsche e il primo Romanticismo per quanto concerne la concezione della poesia, nel nichilismo nietzschiano si coll)pie quel processo di appropriazione _d~ll'intero orizzonte politico che era cominciato con i primi romantici. Analogamente non ha senso chiedersi a quali fondamenti filosofici sia riportabile il nazismo, perché questo ordinamento, a differenza del conservatorismo, non ha più bisogno della filosofia. Proprio dal non avere colto subito questo aspeno essenziale del nazismo, è derivato l'errore di Heidegger, la sua adesione a Hitler nel 1933, durata tuttavia soltanto dieci mesi. Il nazismo inaugura un tipo di potere che può tranquillamente prescindere dall'appello a qualsiasi dimensione teorica coerente, perché ritiene di trovare nel rapporto col popolo la propria teoreticità. La nozione di popolo mantiene in questo contesto un rapporto sempre ambiguo con la nozione di massa: il popolo è depositario dei valori non perché valga in se stesso, ma perché è un fatto, è la massa delle adunate naziste nella sua opacità empirica. E viceversa la massa è una realtà che suscita attenzione e rispetto non soltanto per la sua forza fisica, ma perché si dà per ovvio che la quantità numerica sia anche valore. Le osservazioni fatte già nel 1938 da un ex confidente di Hitler, Hermann Rauschning, sul cinismo dei nazisti e sulla nullità teorica del movimento devono essere intese non tanto o non soltanto come rivelazioni sulla psicologia del nazismo, quanto come la registrazione dell'avvento di un tipo di società politica che può prescindere completamente da qualsiasi rapporto con la filosofia. Certo la filosofia del nichilismo e l'organizzazione populistica nutrono la stessa pretesa di autonomia incondizionata, ma proprio perciò sono tra loro inconciliabili. Esse inaugurano una nuova età storica in cui il rapporto di coappartenenza reciproca esistente, sia pure in modo implicito, da più di duemila anni tra filosofia e organizzazione sociale, tra sapere e potere, è spezzato: nulla garantisce più la socialità del filosofare così come nulla garantisce più la razionalità della storia. Nichilismo e populismo nella fase della frammentazione: neo-nieztschenismo e neo-nazismo li ritorno del nietzschenismo sulla scena filosofica e il ritorno dell'estremismo di destra sulla scena politica presentano rispetto al modello originario una differenza fondamentale, che ancora una volta però è comune a entrambi, sebbene ora come allori nessun rapporto sussista tra filosofia e politica: mentre nella loro forQJa originaria nichilismo e populismo ambivano a ui,a totalità incondizionata, oggi invece le loro riedizioni hanno perduto tale pretesa e si offrono sotto un aspetto frammentario. Analogamente il neo-nazismo non riesce più a tenere unite le due nozioni: esso si presenta come un popolo senza massa, cioè una élite, il cui punto di arrivo è facilmente il terrorismo, oppure come una massa senza popolo, un underground di destra, che promuove raduni di musica pop. Certo si possono considerare tali fellOJllCnico_mepoco rilevanti nel pano~ama generale filosofico e politico. A mio avvi,~. invece, essi non devono essere trascurati e testimoniano l'esistenza di vn pericolo che è ancora più grave del nichilismo e del nazismo classico. Esso consiste in un processo di ulteriore scollamento tra sapere e nella loro versione classica, il nichilismo è stato la prima filosofia che si è emancipata da ogni rapporto implicito con l'organizzazione, e il populismo la prima organizzazione che si è emancipata da ogni rapporto con la filosofia: il processo di frammentazione attuale non è che la coi;itinuazione di una tendenza in atto fin dalle origini, che si e~tende e contami_"'! anche le altre forme della filosofia e dell'organiz,zazione sociale, le quali diventano - loro malgrado - sempre_più nichilistiche e sempre più populistiche. Ma la conseguenza più grave di tale processo è la circolazione dei frammenti e la confusione tra loro, Donnegreche. Nb: l'abbigliamento è accuratamente copiato da un vaso fittile greco attualmente in Francia A ben vedere, un movimento di separazione era già implicito nel nichilismo e nel populismo originari: essi, infatti, si costituivano spezzando quel rapporto di coappartenenza implicita che legava nella tradizione occidentale sapere e potere. Ma oggi questo processo di separazione intacca la loro stessa struttura intrinseca, rispettivamente articolata sulle nozioni di volontà di potenza e di eterno ritorno, di popolo e di massa. Il neo-nichilismo non riesce più a tenere unite queste due nozioni: esso si presenta come una volontà di potenza senza eterno ritorno, cioè come un decisionismo aperto al futuro ma dimentico del passato, oppure come un eterno ritorno senza volontà di potenza, cioè come una neo-ermeneutica tutta orientata verso il passato, ma senza futuro. potere, tra filosofia e organizzazione della cultura. Questo processo di frammentazione non investe soltanto nichilismo e populismo, ma tutte le grandi forme storiche occidentali della filosofia e dell'organizzazione sociale: da vent'anni a questa parte si è assistito all'affermarsi, per esempio, di una scienza senza professione che si chiama epistemologia, e di una professione senza scienza che si chiama educazione permanente, di una dialettica senza stato che si chiama dialettica negativa e di uno stato senza dialettica che si chiama funzionalismo sistemico e così via. Tuttavia, nei confronti di tali fenomeni il caso del neo-nichilismo e del neo-populismo, nonostante la loro apparente marginalità, mi sembra più importante perché, già attraverso le combinazioni più inverosimili e grottesche. Qui si misura appieno la gravità e l'ampiezza dei danni arrecati dal nichilismo e dal populismo: spezzando infatti quel rapporto implicito che legava nella tradizione occidentale sapere e potere, non è soltanto la socialità della filosofia a essere compromessa, ma anche la sua razionalità; non è soltanto la razionalità dell'organizzazione, ma anche la sua socialità. Nascono così mostri teorici come il nietzsche-marxismo e mostri politici come il nazi-maoismo. È evidente che a questo punto tutto si può confondere con tutto, con risultati che non sono affatto eclettici o sincretistici, ma semplicemente ipernichilistici e iperpopulistici; infatti, è completamente assente l'aspirazione eclettica a una verità fondata sulla scelta, e parimenti manca la compagine che consente tutte le mescolanze e tutti i sincretismi. Se tutto si può combinare con tutto, si spezza completamente quel rapporto tra filosofia ed effettualità su cui per il bene e per il male è stata costruita la grandezza della dialettica: la filosofia viene ridotta a un ruok? meramente decorativo e orll!l"'.'Cntale che sembra essere estraneo alla stçria culturale dell 'Oçci~ntç. _ Analogamente, se tutto si ~ combinare con· tutto, si ~zza . completamente quel rapporto tra società e razionalità su cui per il bene e per il male è stato costruito il mondo politico degli ultimi due secoli: l'organizzazione si trasforma in mero intrigo, secondo prospettive nemmeno mafiose, ma meramente banditesche. Il ritorno del nichilismo e del populismo si presenta perciò in forme molto più inquietanti e minacciose di quelle classiche, anche se queste costituiscono lo sviluppo conseguente di quelle. Nella loro forma classica il nietzschenismo e il nazismo, per la loro pretesa totale, sono facilmente riconoscibili e quindi possono essere facilmente combattuti; nella loro forma frammentaria sono presenti ovunque: il tarlo nichilistico si è trasmesso all'intera filosofia ed è tanto più insidioso quanto è meno visibile, come per esempio nei riciclaggi delle filosofie del passato. Quanto al tarlo populistico, esso è sotto gli occhi di tutti: esso si manifesta ovunque l'intrigo e la macchinazione prendono il posto della società e dell'organizzazione razionale, ovunque la vittoria venga considerata come un mero dato di fatto, che deve essere raggiunto a qualsiasi costo, non importa se col consenso di masse oceaniche e con il terrore, o con una combinazione di ambedue le cose come avveniva nel nazismo, oppure con l'esaltazione delle idiozie più diffuse, o con l'intrigo, o con una combinazione di ambedue le cose, come avviene oggi. . La riduzione della vittoria a un fatto meramente empirico nulla ha a che fare col trionfalismo gesuitico, che si reggeva sul concetto della maggior gloria di Dio, né col trionfalismo hegeliano, che si reggeva sulla dialettica. Essa è, a ben vedere, una concezione tipica dei perdenti e in effetti il fascismo fu definito giustamente dal Sauer come «un movimento di perdenti». Del resto, solo qualcuno destinato a perdere può pensare che la vittoria sia un fatto bruto, e non una lunga strategia teorica. NeofasciSiiOitaliano O ccorre dire, prima di tutto, che la «nuova destra,. di cui parliamo ha maturato un distacco incompleto e contraddittorio dalla vecchia destra neofascista. Distacco c'è sicuramente dal punto di vista psicologico e culturale - e anche politico, nella misura in cui si rigetta il piccolo cabotaggio e la subordinazione alle correnti di destra della Dc. Ma si tratta di un distacco incompleto per i legami che spesso trapelano a livello personale e di gruppo dal partito neofascista o da una corrente di esso, quella che si rifà a Rauti; e contraddittorio perché, dal unto di vista ideologico it •- Jemlfer1m:al,mo entq e an.chea regime mussoliniano continua ad avere un suo peso, se non in tutti, in gran parte degli esponenti della nuova destra. Quando Marcello Veneziani, durante il convegno tenuto dal 12 al 14 marzo 1981a Cison Valmarino, critica chi fra loro si definisce «gramscista di destra» (secondo un 'indicazione che proviene dalla «nouvelle droite» francese) e di Gramsci accoglie, ovviamente con segno mutato, la teoria dell'egemonia culturale come chiave di volta per la conquista politica della società, l'alternativa è ancora Mussolini: «Abbiamo più da imparare - afferma Veneziani nel suo 111.eento - da un Mussolini che Nicola Tranfaglia da un Gramsci: e lo stesso Gramsci imparò molto da lui, e al fascismo si ispirò largamente quando descrisse il suo progetto di aggregazione, la sua fabbrica del consenso». Tuttavia, a prescindere dall'attendibilità dell'analisi proposta, non può considerarsi marginale né occasionale il tentativo dei gruppi che si raccolgono intorno a una miriade di piccole case editrici semisconosciute ma attive, e di riviste come Diorama letterario diretta da Marco Tarchi, Elementi a direzione collettiva di Tarchi, Solinas, Visani, L'uomo libero diretta da Mario Consoli, L'intervento, Linea e molte altre sparse in tutta la penisola, di «parlare a sinistra»: di sostituire cioè al linguaggio nostalgico e fortemente datato del partito e dei gruppi neofascisti non solo un linguaggio ma una concettualizzazione che utilizza quanto di più significativo e interessante è stato prodotto dalla cultura democratica e marxista nel XX secolo. Se si scorrono le ultime annate delle riviste cui abbiamo accennato, si incontra un atteggiamento inedito rispetto al dibattito politico e culturale: questa «nuova destra» - formata in buona parte dalla «generazione degli anni cinquanta», da giovani cioè tra i 25 e 35 anni, giunti a una militanza politica nell'ultimo decennio, e particolarmente nella crisi del '77, quella che sancì l'uscita definitiva di molti giovani dai partiti politici, in direzione dell'Autonomia organizzata, della lotta armata o di un «ritorno al privato», - segue con attenzione tutto quello che si pubblica, indipendentemente direi dal colore politico e ideologico che la caratterizza. E, grazie a questo differente atteggiamento, è in grado di sperimentare una propria visione del mondo da contrapporre a quella d'ogni altra parte politica. Molto di più del fascismo italiano, del resto, del quale si salvano soprattutto la personalità carismatica di Mussolini e l'esperienza o meglio la dottrina organicistico-

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