Alfabeta - anno V - n. 45 - febbraio 1983

Roland Barthes L'obvie et l'obtus Essais critiques DI Paris, Éd. du Seuil, 1982 pp. 286 l'ovvioe l'ottuso Roland Barthes Le grain de la voix Entretiens 1962-1980 Paris, Éd. du Seuil, 1981 Roland Barthes Il grado zero della scrittura seguito da Nuovi saggi critici Torino, Einaudi, 1982 pp. 184, lire 7.500 «Roland Barthes» Communications n. 36 Paris, Éd. du Seuil, 1982 pp. 174 tà, dalla purezza, dalla dirittura, dalla coupure della significazione. 11 senso ottuso, dunque, come superfluo, inutile, spreco, supplemento, differimento, deriva; esso non è situato struttural- ,1,# ·n terzo senso» (1970) è il mente, è fatto di scarti, di rinvii; è '' titolo di uno dei saggi della un significante che non si riempie raccolta postuma L'obvie et ma che neppure si svuota: «Esso si l'obtus. Essais critiques III, di Ro- mantiene in uno stato di eretismo land Barthes («Le troisième sens» perpetuo; in esso il desiderio non pp. 43-61). Il terzo senso o terzo sfocia in quello spasmo del signifilivello del senso è la significanza. cato, che, ordinariamente, fa ricaLa significanza si riferisce al cam- dere voluttuosamente il soggetto po del significante, e sotto questo nella pace della nominazione» aspetto si oppone alla significazio- (L'obvie et l'obtus, p. 56). ne. Quest'ultima costituisce il se- Il senso ottuso non rappresenta condo livello del senso, quello niente, non si riferisce a niente. simbolico, ctmtrapposto a sua voi- Rispetto al senso ovvio è indiffeta al livello informativo, il primo rente; rispetto a ciò che ha riferilivello, quello della comrmicazio- mento, significato, funzione, finane. In relazione a questi tre livelli, lità, il senso ottuso è qualcosa di tre semiotiche o tre orientamenti contro-natura, di aberrante. Se esdella semiotica: la semiotica della so procura piacere, ciò è nell'ordicomunicazione, che si occupa del ne del godimento che non produce livello informativo e del messag- niente, che avviene per niente. Il gio; la semiotica della significazio- piacere del senso ottuso è perverne, che si occupa del livello del so, se la perversione «è ricerca di simbolico ed è collegata con le un piacere che non è reso redditiscienze del simbolo (psicoanalisi, zio per una finalità sociale o della economia, drammaturgia); infine specie. Per esempio, il piacere d'aper terza la semiotica della signifi- more non funzionalizzato alla procanza, che è anche semiotica del creazione» (Le grain de la voix, p. testo, intesa particolarmente se- 218). condo l'avvio datole da Julia Kri- Il terzo senso, questa sorta di steva (L'obvie et l'obtus, pp. 53 - accento, di falsa piega, di escre54). scenza non è un altro senso, un a/- È noto, soprattutto attraverso trove del senso, un altro contenuto Éléments de sémiologie (1964, che si aggiunge al senso ovvio; estrad. it. Elementi di semiologia, so invece elude il senso, sovverte Torino, Einaudi, 1966), l'interesse non il contenuto ma la pratica stesdi Barthes per la seconda semioti- sa del senso: la pratica dominante ca o neo-semiotica, quella del sim- della significazione è spiazzata da bolo, della significazione, piutto- quest'altra pratica, rara, della sisto che per la semiotica della co- gnificanza. Qui alla equivalenza municazione, del messaggio. In significante/significato, segno/funquesto saggio del '70, che è dedi- zione, si sostituisce «una spesa cato all'analisi di alcuni fotogram- senza scambio» (L'obvie et l'obtus, mi di Ejzenstejn l'interesse è in- p. 56), un lusso, un significante vece direttamente rivolto all'oppo- che non si soddisfa in un significasizione significanza/significazione; to, che non trova compensazione ed è in esso che si fa uso dei due in un obiettivo, che non si giustifitermini «ovvio» (obvie) e «ottuso» ca con una funzione. (obtus), che vengono ripresi dal Tutto questo Barthes lo dice a curatore del terzo volume dei sag- proposito di alcuni fotogrammi di gi critici per dare il titolo all'intera Ejzenstejn. E ciò ha la sua rilevanraccolta. za, dà a tutto il discorso un orienRispetto alla significazione, la lamento verso la politica, ne fa significanza è un'eccedenza, qual- un'interlocuzione con il discorso cosa di troppo, di supplementare, politico. Il terzo senso in Ejzenche fuoriesce dalla comprensione stejn convive di soppiatto col sendel senso, che non si lascia assorbi- so ovvio, e il senso ovvio è quello re in essa. La significazione è un della rivoluzione, l'enfasi della vesenso che si offre, si impone, viene rità dell'ideologia del proletariato. incontro; per questo suo darsi, per «Il lusso della significanza - dice questo suo farsi incontro, può es- Barthes - non appartiene ancora sere indicato come il senso ovvio alla politica di oggi, ma tuttavia è (il termine latino obvius significa già nella politica di domani» (ibi- «che viene incontro» e «ovvio»). dem). La significanza, invece, non ha la L'indifferenza dell'ottuso, la lisfrontatezza della significazione, bertà del significante supplemenla sua provocazione, la sua osceni- tare rispetto al racconto - «raccontà; ha un che di riservato, di di- to necessario per farsi intendere screto. da una società che, non potendo Questo senso che è di troppo, risolvere le contraddizioni della che è superfluo, che è al tempo storia senza un lungo cammino por-... stesso ostinato e sfuggente, piano litico, si serve (provvisoriamente?) ed evasivo, tenue ed inquietante, di soluzioni mitiche (narrative)» può essere indicato come il senso (ivi, p. 57) - è proprio ciò che dà ottuso. «Ottuso» dà l'idea dello luogo, in Ejzenstejn, al propriasmussamento, dell'arrotondamen- mente filmico; l'affermarsi della ~ ..... <:I -~ e:,. ~ to, dell'addolcimento della signifi- significanza è l'atto fondatore del canza rispetto alla significazione: filmico stesso. lo smussamento di ciò che è spigo- La pratica della significanza si loso, di un senso troppo chiaro, dà come scrittura (in questo caso troppo forte; e al tempo stesso filmica), come testo, rispetto alla l'arrotondamento che comporta quale la storia, il racconto, la sir: difficoltà di presa, scivolosità, slit- gnificazione passano in secondo ~ lamento. Ottuso è l'angolo supe- piano. Il terzo senso deborda dal ;! riore di quello retto: la significan- discorso politico, dall'ordine del B ib wio --~ dalla pe. dt:f 'à n iso o; esso apre al desiderio, al Augusto Ponzio piacere del godimento, all'utopico. «Il campo del bisogno - scrive Barthes in Sade, Fourier, Loyola (1971, trad. it. Torino, Einaudi, 1977), - è il politico; il campo del Desiderio, quello che Fourier chiama il Domestico. Fourier ha scelto il Domestico contro il Politico, ha edificato un'utopia domestica (ma può essere altro un'utopia, può mai un'utopia essere politica? Non è la politica tutti i linguaggi meno uno, quello del Desiderio?) ( ... ). Ciò che Fourier perde (del resto volutamente) segna di rimando ciò che noi stessi perdiamo quando rifiutiamo Fourier: fare ironia su Fourier è sempre - sia pure a buon diritto, come dal punto di vista della scienza - cenGuerriero greco inginocchiato dietro lo scudo, da un'incisione surare il significante. (... ) Fourier si porta al limite del senso, che oggi chiamiamo Testo» (trad. it., pp. 74-78). E in Le grain de la voix: «L'utopia è lo stato di una società in cui Marx non criticherebbe più Fourier» (p. 164). Si comprende così la connessione, individuata da Barthes, fra piacere e testo. Il terzo senso, il senso del testo, è preso nella dialettica del desiderio, della perversione. S ignificanza, scrittura, testo, piacere, desiderio, letteratura (intesa non come insieme di opere o come settore del commer- ,'. o--- v,;' . ( - I i ' ~, ~ E/me/lo greco cio e dell'insegnamento, ma come pratica dello scrivere): questi termini individuano un senso che fuoriesce dalla comunicazione e dalla significazione. Come escrescenza, come superfluo, rispetto al significato e alla funzione, la «scrittura,. non è circoscrivibile nel campo dell'attività dello scrivere. La scrittura non è necessariamente in ciò che, nel senso comune del termine, è scritto, né è necessariamente il modo di essere di ciò che è scritto. La scrittura non è la trascrizione (vedi Le grain de la voix, pp. 9-13), il mettere per iscritto un pensiero, il riorganizzare la parola togliendole ciò che c'è di troppo, le ripetizioni, le riprese, i frammenti di linguaggio che hanno una funzione fàtica o di interpellazione, come «no?», «mi ascolti?,., eliminando tutto ciò che non contribuisce al significato, è superfluo, non dice niente. La trascrizione fa economia, ha un oggetto e uno scopo preciso. La si può indicare come scrittura transitiva e chiamare scriventi coloro che la praticano (vedi Le grain de la voix, pp. 222-23, in cui Barthes riprende la distinzione fra «scrittori,. e «scriventi,. di un suo saggio del 1960). Vi sono parole e scritture accomunate dal fatto che tendono a uno scopo, sono studiate per ottenere qualcosa, esprimono un punto di vista, sono imputabili al soggetto che parla o che scrive, lo caratterizzano in una certa posizione, in un certo ruolo. Gli scriventi sono uomini «transitivi»; all'ombra di istituzioni quali l'Università, la Ricerca scientifica, la Politica, si pongono un fine (testimoniare, spiegare, insegnare), di cui la parola non è che mezzo; il significante è al servizio del significato. Nella scrittura (e per lo scrittore), invece, scrivere è un verbo intransitivo. La scrittura si accosta alla faticità della parola, per esempio al conversare in cui si parla del tempo che fa, solo per parlare, per non dire niente. Con la parola fàtica essa ha in comune il lusso del non dire niente, il parlare per il piacere di parlare. Barthes mostra questo rapporto fra scrittura e faticità in particolare nel saggio su Aziyadé di Pierre Loti, un romanzo in cui la storia è banale e ciò che viene raccontato sono eventi futili, insignificanze: una passeggiata, un'attesa, una serata invernale, l'arrivo di un gatto. Un romanzo in cui non succede niente, un niente che per essere detto richiede che lo si prenda di sbieco, di striscio, che si bari col discorso. La notazione «al grado zero» di Aziyadé che dice di eventi insignificanti, è notazione fàtica, in generale notazione sul tempo che fa (Nuovi saggi critici, pp. 16681). «Nella scrittura, ciò che è troppo presente nella parola (in maniera isterica) e troppo assente nella trascrizione (in maniera castrante), vale a dire il corpo, ritorna, ma secondo una via indiretta, misurata, giusta, musicale, per il godimento» (Le grain de la voix, p. 12). Lo scrivente è colui che vede nel linguaggio soltanto un puro strumento del pensiero, un mezzo. Per lo scrittore, al contrario, «il linguaggio è il luogo dialettico dove le cose si fanno e si disfano, dove egli immerge e disfa la sua propria soggettività» (ivi, p. 102). Spostarsi e ostinarsi insieme, mantenere fa forza di una deriva e di un'attesa, esercitare un'azione di slittamento, sviare: in questi termini Barthes descrive in Leçon (1978, trad. it. Torino, Einaudi, 1981) la pratica della significanza che può essere indifferentemente chiamata letteratura, scrittura o testo. Ritornano i termini con cui, in «Il terzo senso», veniva presentato il senso dell'ottuso. Per questa azione di slittamento che la letteratura esercita sulla Lingua, si può parlare di essa come di una rivoluzione permanente, una rivoluzione non nel senso della politica, ma dell'utopia. La scrittura è «una pratica per niente», ,cinfunzionale,.: «Lo scrittore non sussiste nella società attuale che come un perverso che vive la sua pratica come una utopia, egli ha la tendenza a proiettare la sua perversione, il suo 'per niente' in utopia sociale» (Le grain de la voix, p. 223). In un'intervista del 1970, Barthes dichiara: "Io vorrei essere uno scrittore (... ); non mi riferisco al risultato ma al mio progetto» (ivi, p. 102). Ed è alla scrittura di Barthes, alla sua pratica di scrittore, che Julia Kristeva si riferisce quando parla di Barthes, dopo la sua morte, in termini di «voce», la voce di Barthes: uno scrittore che ci dà anzitutto ed essenzialmente una voce. La voce come fatto di scrittura, e la scrittura detta in termini di voce: un «timbro di ferma fragilità», discrezione, distanza, contatto fisico, «inflessioni di una melodia che vi raggiungono prima e al di là del senso», «un insegnamento radicalmente adidattico» (J. Kristeva, «La voix de Barthes», Communicarions n. 36, p. 119). Ottusità, scrittura, testo, letterarietà, infunzionalità, faticità, vocalità, al di là della significazione, verso un terzo senso: dello stesso Barthes si può parlare in questi termini, dicendo della sua voce, che è come dire che Barthes «non è uomo di messaggi» (ivi, p. 120). Voce che è scrittura, in cui è recuperato ciò che è troppo presente nella parola e troppo assente nella trascrizione, il corpo, ma in maniera musicale. «La voce come luogo sublime dell'affetto? Come traversata del senso, come antidoto all'odio?» (ibidem). Un vibrare discreto nella «grana della voce», in cui l'odio, il rancore, il risentimento, la rivendicazione chiassosa della parola non trovano posto; eppure contatto fisico, corpo, godimento.

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