Laformaè tutto Jean Genet Poesie Milano, Guanda, 1982 pp. 120, lire 7.000 L'amicizia amorosa Antologia della poesia omosessuale italiana dal XIII secolo a oggi a cura di Renzo Paris e Antonio Veneziani Milano, Gammalibri, 1982 pp. 296, lire 15.000 Dario Bellezza Libro d'Amore Milano, Guanda, 1982 pp. 80, lire 8.000 P uò succedere, come ha notato Alberto Moravia, che in una poesia dichiaratamente omosessuale si parli semplicemente d'amore, in una dimensione perfino tradizionale, piatta, così che «se sostituite con due a gli o finali di 'quetato' e 'ragazzo' avrete una poesia meno insolita» (Corriere della Sera, 30 novembre 1982). Poiché da una poesia omosessuale ci si aspetta invece, a torto o a ragione si vedrà, un eccesso di desiderio o una sua «eccedenza», come ha detto bene Giuliano Gramigna (Corriere della Sera, 2 gennaio 1983), mi pare che la vera poesia omosessuale vada cercata, e eventualmente trovata, in opere non così banalmente «à double-face». Per rispondere alla semplice e terribile domanda «che cosa è la poesia?» può bastare, se basta, soltanto una poesia; un discorso sulla poesia può servirci da flessibile strumento di avvicinamento e introduzione (nel migliore dei casi, quando agisce una vera critica letteraria, nervosa e sensitiva quanto la poesia stessa di cui si occupa). Dunque per cercare di avere una risposta circa una vera poesia omosessuale dobbiamo naturalmente rivolgerci, con qualche speranza, alle poesie che si dichiarano tali. Occorre ancora una volta sottolineare che tentare di «capire» una poesia con strumenti diversi da quelli che sono serviti a farla è impresa vana, a volte grottesca, perfino macabra. deur de son lime et de son corps, d'avoir le bénéfice d'une telle mort». (Maurice Pilorge fu condannato «à avoir la tète tranchée» e «il fut exécuté le 17 mars 1939à Saint-Brieuc»). Si può subito osservare che l'ammirazione per una simile morte ci riporta a fianco molte immagini dei mistici, soprattutto di santa Caterina da Siena, che assisteva alle esecuzioni capitali per poter cullare nel suo amorosissimo grembo le teste mozzate. Non sembri allora avventato affermare (e, dato lo spazio, devo scusarmi per una certa inevitabile perentorietà nei passaggi e nelle conclusioni) che l'amore omosessuale, e in parallelo la sua poesia, affonda le proprie radici in una assolutezza . amorosa che è pari soltanto alla sua mistica infecondità. La sterilità mistica è la prima componente della poesia omosessuale: e non solo nei gesti raffigurati, negli atti dichiarati, ma come conseguenza del linguaggio che la rende possibile. E eco la dimostrazione che ne dà Jean Genel: la sua metrica, il verso alessandrino, ripreso nel punto massimo della tensione tra Corneille e Racine, perfetta gabbia neoclassica che trionfa in pieno fiorire barocco, strumento incomparabile per catturare e articolare quell'eccedenza di desiderio che altrimenti verrebbe subito dispersa, senza produrre poesia. Non si può cambiare nulla negli alessandrini di Jean Genet. il maschile non può diventare femminile poiché resta rigorosamente asserragliato nella eburnea o marmorea torre del membro, nella classica bellezza del corpo maschile. Leggiamo: «Élève-toi dans l'air de la lune, ò ma gosse. / Viens couler dans ma bouche un peu de sperme lourd / qui roule de ta gorge à mes dents, mon Amour, / pour féconder enfin nos adorables noces. // Colle ton corps ravi contre le mien qui meurt /d'enculer la plus tendre et douce des fripouilles. / En soupesant charmé 'tes rondes, blondes couilles. / mon vit de marbre noir t'enfile jusqu'au coeur». Quando scrivevo «mistica infecondità», mi riferivo all'eliminazione di ogni impulso per la riproduzione della specie. Il passaggio Antonio Porta mistico mi pare avvenga in questo punto, poiché vedo una stretta connessione tra rapporto orale e rapporto mistico, quando il corpo •siesalta con ciò che basta a nutrirlo e la vibrazione molecolare, dello sperma e del sangue, sale in sincronia con l'immagine di una vibrazione cosmica, anch'essa chiusa nella propria assoluta necessità. Idolo virile, da Amorgos (Atene, Museo nazionale) Ma ciò accade proprio perché il verso alessandrino è rigorosamente autosufficiente. Esattamente come l'orgasmo sterile e mistico della beata Lodovica Albertoni del Bernini non esisterebbe senza quel marmo definitivo, forma insieme chiusa e aperta. Guardiamo anche alle date; Maurice Pilorge fu giustiziato nel 1939e il poema fu scritto, in carcere, nel 1942, a quasi tre anni dal momento in cui quella testa mozzata cadde davanti a Genet, senza che egli potesse, come santa Caterina, raccoglierla in grembo. Ma il grembo di Gene! è l'alessandrino francese, gelido e incandescente, come una memoria assoluta, al di là della pressione dell'evento immediato. Definire una specifica poesia omosessuale è impresa forse non vana perché la sua «eccedenza» ha trovato uno spazio di movimento nel territorio del rimosso nella storia della poesia occidentale. li rimosso amoroso ha permesso alla poesia omosessuale- di compiere un'operazione eversiva, utilizzando al meglio proprio quelle «forme» che erano state messe a punto per contenere ogni eccessiva divaricazione, nella piena consapevolezza che - al di fuori di una rigorosa ritualizzazione espressiva - l'esperienza omosessuale non può che essere considerata banale come qualsiasi altra. L'omosessualità non è un privilegio, dal punto di vista della poesia: ne diventa il filo incandescente solo quando sa misurare il proprio eccesso (e intendo 'misurare' anche metricamente). S e il filo conduttore in positivo di questa ipotesi di definizione mi par certo che siano i poemetti di Jean Genet, vi è pure una sorta di controprova in negativo, candidamente esibita dall'antologia di poesia omosessuale italiana dal XIII secolo a oggi, curata da Renzo Paris e Antonio Veneziani. Questa prova in negativo scaturisce dai confronto tra le forme rigorose del «passato» e quelle «aperte» di molti contemporanei, che si sono letteralmente lasciati sopraffare dall'esperienza per essere subito soffocati dalla banalità e dall'insignificanza della semplice divaricazione omosessuale. Ecco alcuni versi di Riccardo Reim, espliciti, onesti: «Intanto / avrei voluto svestirti / con baci e con sguardi. / Invece/ Orrenda quotidianità/ ansante attesa di sesso». Lo strato più opaco della banalità omosessuale è quello di Mario Mieli, da qualcuno considerato una sorta di «teorico». Ma anche. la sua «teoria», ampiamente citata nella problematica prefazione di Renzo Paris, non si riscatta mai dal luogo comune e nulla ha a che fare con un progetto di poesia (è solo un problema personale, come quello di tanti altri). Da questa A trarci fuori da questa impasse inevitabile, dove si arena, per non uscirne più, la critica che programmaticamente si tiene lontana dal fare letterario, ci arriva in soccorso il geniale Jean Genet, con i suoi sei poemetti (gli unici di cui si abbia finora notizia, ci avverte il curatore dell'edizione italiana delle Poesie, Giancarlo Pavanello). Basterà per il momento occuparci del primo di questi sei, Le Per Angelo Fabbri condamné à mort, scritto nella prigione di Fresnes nel 1942, di cui è .... utile riportare qui una parte della A ngelo Fabbri, il giovane stu- "; dedica finale: «J'ai dédié ce poème dente drammaticamente .5 à la mémoire de mon ami Maurice scomparso a Bologna la sera t Pilorge dont le corps et le visage del 30 dicembre /982, era collabo- ~ radieux hantent mes nuits sans ratore abituale di Alfabeta e del ~ sommeil». E più oltre, deridendo i Cavallo di Troia. Noi, anzi, non lo .!;! giornalisti che assistendo all'esecu- consideravamo affatto uno «stu- ~ zione capitale, ammirati per il suo dente», ma un giovane intellettuale :g comportamento, lo avevano giudi- molto preparato, e con interessi ~ cato «degno di un più alto desti- scientifici che già lo facevano rico- ~ no», Genet scrive: «Pour moi, qui nascere come un esperto a cui rii:: l'ai connu et qui l'ai aimé, je veux volgersi per certi settori del sapere ~ ici, le plus doucement possible, che la nostra rivista trattafrequen- ;g_ tendrement, affirmer qu 'il fut di- temente. Aveva scritto per AlfabeB iÒ gnòreecaçiì rrootà neo ta un brano della «Cacopedia» relativo alla teoria delle catastrofi, e sullo stesso argomento aveva pubblicato sul Cavallo di Troia il secondo testo sulla filastrocca delle tre civette. Nello scorso numero di Alfabeta, aveva curato la traduzione e l'introduzione al testo di René Thom sui contorni in pittura, e sempre per noi aveva procurato e stava preparando la traduzione di una conferenza di Mandelbrot sulla «teoria dei frattali». Sapeva scrivere, quindi, su temi che andavano dalla teoria delle catastrofi alla parodia di quella stessa dottrina, congiungendo una conoscenza scientifica di prim'ordine a una venaautoironica altrettanto buona. Un tratto che andava al di là dellesue competenze culturali, rivelandone lapersonalità: era, come si è !r:ritto,timido, ironico, gentile. Vale la pena ricordarlo, adesso che non è più, non solo con quanto ha scritto, ma anche per il suo carattere piacevole e inconsueto. oscura piattezza non si solleva nemmeno il Pier Paolo Pasolini di questa antologia. Sembra che basti a costoro il semplice «privilegio» della colpa, nella cosiddetta emarginazione, che in quanto tale - lasciata, per così dire, allo stato brado - non ha nulla di eversivo; al contrario, si configura come conferma dello stinto fantasma del peccato. Che cosa rimane allora da dire, in questa prospettiva, delle poesie di Libro d'Amore di Dario Bellezza? Che mi pare una prova in positivo, perché il libretto si riscatta dalla banalità omosessuale in virtù delle sue limpide ascendenze, riassumibili nella lezione neogreca e neoclassica di Sandro Penna (ed è per mezzo della poesia di Penna che recuperiamo anche i territori rimasti più in ombra della poesia di Saba). Questa poesia (senza titolo, della serie intitolata De profundis) dà l'esatta misura di una riuscita: «Pallido, scarmigliato. I tuoi capelli/ nelle mie mani aguzze come pugnali. // Il tuo sesso nelle mie mani, liscio, / pieno di seme da succhiare, in gola// piano scivolare ..Le tue mani ora / tristemente fredde, inerti e come bava// il mio ricordo mentre cammino / fra un ponte e l'altro del Tevere». E a questa vanno unite altre due brevi poesie: «Spunta il sesso infantile / da un paio di brachette scolorite. / Sa di orina gentile perfino / l'aria primaverile». Ecco la terza: «Le gambe, le cosce, l'ardente/ e aggraziato cazzetto, tutto / è lusingato nel regno del perfetto. I Rigetta il seme sprecato e caldo / .ed è un peccato da leccarsi fino in fondo». Qui finalmente anche la parola «peccato» è usata senza sensi di colpa, con l'ironia del suo duplice senso, in tale contesto. Con queste tre poesie si riscatta quella versificazione decisamente retorica che Bellezza ha attraversato e probabilmente continuerà a attraversare alla caccia di 4n equilibrio tra rigore di scelte formali e incandescenza del desiderio. Fa da freno, a volte, una certa incredula sciatteria nell'andatura della retorica di Bellezza, ma la maturazione di certi frutti ci conferma che i sentieri non sempre si interrompono nelle piccole paludi di una vittimistica emarginazione. «La forma è tutto», è questo l'ultimo e decisivo paradosso che definisce la poesia omosessuale, che solo a prima vista sembra dominata dai contenuti. Il discorso che sembra chiudersi in realtà ora tende a riaprirsi: a partire dalla constatazione che la poesia omosessuale, fin qui delineata, ha come ulteriore, precipua, caratteristica il recupero di forme che si potevano considerare come residui inerti della storia della poesia (per l'appunto: un verso classico come l'alessandrino e il verso neogreco tipico degli italiani tardi anni trenta). Tale recupero, del tutto evidente in Jean Genet, in parte favorito dalla tradizione francese, non può infine rimanere circoscritto in ambito omosessuale ma agirà, e forse sta già facendosi sentire, in certe prove italiane recenti, a livelli diversi, soprattutto lì dove il desiderio pulsa e preme con urgenza inusitata.
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