.......................................................................... , 5 • --. Lavocee latraccia •5 ■ Anna Panicali ■ ■ ■ : 11 c:icJo «Foné, la voce e la trac- poverimento nei confronti dellarie- Aristotele - dei «patemi nel/'ani- lia nella letturadi passi poetici, in ne, fino al mormorio della natura. ■ ■ eia»,_promossodall'assessorato chezza, della vivezza della parola ma». francese e in italiano, dal Libro Anche la sezione dedicata alla ■ ■ alla Cu/Juradel comune di Fi- parlata?» Anziché correre dietro Un grande avvenimento è stato delle interrogazioni (curato dallo poesia come pura sonorità ci è ■ ■ renze, è ormai giunto a metà del alla moda, si sente che all'origine costituito dalla presenza di Ed- stesso Scalia·per la sua nuova atti- sembratafelice: indimenticabilere- : ■ suo cammino. Molte novità lo han- del progetto c'è anche la riflessione mondlabès, con il qualesi è aperta vità di edizioni di «In forma di pa- sterà l'improvvisazione musicale e ■ ■ no contraddistinto sia rispetto ai sulle recentiesperienzedelle letture la sezione del ciclo intitolata alla role»)e da Le petit livre de la sub- il concertoper voce, sintetizzatore ■ ■ convegni e seminari di studio cui poetiche in pubblico e sull'espio- voce e alla scrittura. Per il pqeta version hors de soupçon (Paris, e nastromagneticotenuto da A/vin ■ : sianw abituati, sia rispettoai festi- sione di oralità in vari modi con- francese la voce, non «complice» Gal/imard, 1982). Curran. ■ ■ vals di poesia- modelli, entrambi, nessaal trionfo delle comunicazio- (non intesa, cioè, come puro stru- Enzo Mandruzzato, trasferendo Dunque ci sarebbe di che esser ■ ■ che gli organizzatorisi erano rifiu- ni di massa e della civiltà dell'im- mento di comunicazione) ma il testo scritto (le sue belle versioni contenti, anchese non si può fare a ■ ■ tali fin dall'inizio di mimare, op- magine. Si chiedono, infatti, i pro- «creatrice»,è la voce di Dio-di un daHolderlin, Pindaroe Catullo)in meno di notare che l'eco della ■ ■ tando piuttosto per un'accurata motori del ciclo che senso possa r---------------. voce, ricreandolodentro di sé pro- stampa è risuonatacon vocepiutto- ■ ■ concertazionedi criticae letturadi avereoggi il prorompere dell'ora/i- (11 •q •.~, ......I-li'.."'.,, J prio come fa il traduttore, ha fatto sto fievole e sommessa. È vero che ■ ■ testi poetici, di colloqui e messin- tà, «dal momento che si presenta J I ._11 ;J I~ "11 riviverea un uditoriofolto e attento il ciclo è tuttora in corso e attende ■ ■ scena del discorso. come spontaneità e immediatezza, _\ I••,, I,'• 'l'.\I{ I . 1 lo spirito delle antiche rapsodie. poeti, musicisti, mimi, criticie atto- : ■ I momenti che scandiscono que- mentre non è che voce registratae _ ,...r I' Jacques Derrida, la cui opera si ri, i cui nomi sono di rilievo inter- ■ ■ sta sorta di viaggio nel linguaggio memorizzata nello scritto». può senz'altro dire laprima ispira- nazionale (da Baudrillard a Julia ■ • , n1 t ~ •• •1.-·1•1••.••.1 b letterarioe poetico si sono imposti E difficile recensirein breve spa- • JI" • .(I trice del ciclo, ci ha fatto ascoltare Kristeva, da Giorgio Agam en a ■ ■ come essenziali alla comprensione zio le riccheserateche si sono sue- la scrittura - una scrittura molto Uvinas, da FerruccioSo/eri a Lu- ■ : dei fenomeni più significativiin cui cedute, anche perché - grazie al- originale, in cui ilpensiero anziché ciano Berio, a Mario Luzi, a Gior- ■ ■ la vocesi manifesta:dall'epicagre- l'impegno e allapassioneche i criti- .:-r---r---i procedere secondo laforma. logica gio Caproni, alla ballerinaValeria ■ ■ capreletterariaallascritturafoneti- ci, i poeti, gli attori o i concertisti "-;S~:di\ de~'argomentazione, si è espresso Magli), ma è altrettantovero che lo ■ ■ ca; dall'actio come retorica del ·intervenutihanno dimostrato - si come oratorio a più voci nel com- erano anche quanti sono già inter- ■ ■ 'porgere'allapoesia come voce del deve riconoscere che tutte, per un mento polilogo allafrase «Il y a là venuti. Viene quasi il sospetto che ■ ■ Sublime e dell'Abietto; dal trionfo verso o per l'altro, si sono rivelate cendre». gli orecchideigiornalistio deipoli- ■ ■ del 'significante' nell'esperienza notevolmente interessanti.Il ciclo è Non si possono tuttaviapassare tici siano ormai diventatisordi alla : ■ dell'avanguardia, al recupero del stato inaugurato con grande sue- sotto silenzio gli esperimentianche poesia, alla musica o alla fil.oso-■ ■ senso segretoe misteriosodellapa- cesso da Piera Degli Esposti, che ~~~II:l;;;~ inediti sulle funzioni degli ana- fia ... a meno che non si colorino e ■ ■ rola negli anagrammi. Quanto al- ha dato espressionee coloreallefi- grammi nel linguaggio poetico, si mascherinoa mo' di carnevaleo, ■ ■ l'ultimo punto, - la voce di Narci- gure poetiche da lei interpretate: presentati con lucidità e chiarezza viceversa,non diano luogo ai clas- ■ : so, l'ascolto della propria voce al dallapazza di Chaillota Milanella lr .• !n 4 .,~.,Jllil~lrH• 'f• da Giampaolo Sasso;l'acuto collo- sici convegni-lampo(speciedi ritiri ■ ■ di là della musica e dellaparola, - Figlia di Iorio, da Ermione nello ~ ••• r. t'I 'A J ., quio di Paolo Fabbrisullepassioni spirituali), latori magari di glorie ■ ■ spiace l'assenza di Carmelo Bene, scespiriano Racconto d'inverno a ~------------- come azioni e sull'originarsi della accademichee istituzionali a chi vi ■ ■ che tra i primi era stato invitato, Medea nella versione di Corrado dio assente, che ha interrottoil suo voce dal brusìo, anziché dal silen- partecipa, ma anche di tanta noia ■ ■ assieme a Klossowski. Alvaro, fino al soliloquio della parlare e ha lasciatosolo traccesi- zio; la letturada Il trionfo e l'esilio per chi li ascolta. : ■ La sceltaè subito apparsaseriae Molly joyciana. Chi l'ha ascoltata, lenziose da leggere, decifrare e di Piero Bigongiari;la finezza cri- ■ ■ oculata,forse perché è nata da una è stato spinto a riflettere(nel parti- comporre inparole, in scrittura.In tica con cui Adelia Noferi ha de/i- Foné, la voce e la traccia ■ ■ vera domanda: «Che senso ha la colarecontesto creatodal ciclosul- una scritturache trasportanellapa- neato alcunefigure che la voce ha Conferenze, letture, spettacoli ■ ■ voce? ll senso trasmessodallapa- la phoné) sulla voce come articola- gina la memoria di un conoscere e assunto nella tradizione letterariae e concerti ■ ■ roladetta è differenteda quello de- zione dell'interiorità,quasi materia di un sentirepersonali e insieme di poetica: da quella del Logos a Comune di Firenze, ■ ■ positato nella scrittura?Quest'ulti- sonora e corporeadi sentimenti ed tutti. La bella serataha visto alter- quellaprofetica, dalla voce del nu- Università di Firenze, Magistero ■ ■Lma rappresentaunaperdita, un im- emozioni, segno - per dirla con narsi Edmond Jabès e Gianni Sca- me ispiratoreoppure dellaseduzio- (16 ottobre 1982-23febbraio 1983) ■ ........................................................................... accorto (o non si è accorto a sufficienza) d'aver scritto un romanzo politico sulla duplicità della borghesia (e della sua cultura), e dunque sulla duplicità della civiltà tedesca e occidentale. Proprio per questa carenza di consapevolezza si è lasciato deviare da motivi facili e semplificati (come il tema della disperazione e della sua «stabilizzazione» - dove già il termine giornalistico getta una luce banalizzante su tutta la problematica) e non ha esitato a far ricorso a espedienti che talora sembrano solo dei riempitivi (penso alla figura di Shapiro o anche a quella di Sonia, pur meno estranea alla dinamica narrativa, proprio a causa della dimensio- • ne politica che la qualifica). Eppure anche qui, come nelle Lettere dal Sahara, qualcosa non torna e fuoriesce dagli schemi: la macchina del romanzo non riesce a divorare e a digerire un residuo solido, che fa groppo e rende 1934 il romanzo più interessante di Moravia dai tempi della Noia. Questo quid irriducibile sta tutto nella duplicità di Beate-Trude, nelle due anime - quella intellettuale e quella volgare, quella ebraica e quella nazista - della borghesia e dello stesso ceto intellettuale (ed è esemplare la discussione dei professori ospiti della pensione, che rifiutano tutti la qualifica d'intellettuali). Moravia non riesce a spiegare questa duplicità: cerca di ricondurla a termini consueti e persino banali (la professionalità di Trude, la sua psicologia) o, al solito, di filtrarla attraverso il mondo della pittura (Diirer, ad esempio, citato sin dalla prima pagina) o della letteratura (Kleist) o della filosofia (Nietzsche); ma fortunatamente l'operazione di riduzione e di semplificazione non riesce del tutto: non avviene cioè come in La vita interiore, dove si realizzava perfettamente a prezzo di un razionalismo cerebrale e artificioso. Qui un doppio-fondo resta. Moravia è uno scrittore che seri- .ve, dall'interno della borghesia, sulla borghesia. Quando si muove dentro questo circolo chiuso (senza le alternative del populismo o del sovversivismo giovanile), il meccanismo della riduzione del «diverso» al normale non regge più, mentre non è neppure possibile confinare il «diverso» nel mostruoso. Qui è il normale stesso a essere doppio, a essere, in quanto normale, anche anormale. La civiltà occidentale è normale, e tuttavia anche barbara, in un nodo insolubile. Il meccanismo di semplificazione, allora, gira a vuoto e, nel suo inceppamento, lascia intravvedere gorghi inesplorati e non razionalizzabili: troppo insufficiente si rivela il filtro di una cultura che dovrebbe essere, a un tempo, oggetto dell'analisi e suo soggetto. La letteratura fa cilecca. Come Kleist e Nietzsche non spiegano tutto, così neppure l'implacabile meccanismo narrativo di Moravia esaurisce l'ignoto nel noto. La barbarie resta, l'orrore resta: non è riducibile. Avveniva così, in sommo grado, negli Indifferenti e nei racconti giovanili; è ancora così, in parte, in Agostino e nella Noia; ritorna a essere così, seppure a un grado ancora diverso di rigore e di concentrazione espressiva, in 1934. Questi due scritti, di Leonetti (parte di un saggioteoricocomplessivo, «Linguaggio, scienza e leueratura») e di Luperini, sono stati letti dagli autori, fra gli altri interventi, nei convegni per Moravia e per Robbe-Grillet organizzati dal «PremioMonde/lo»nell'Università di Palermo, /'Il e 12 novembre 1982. Scrittoreibreiri,W@/ ...itteleuropa Cultura ebraica e letteratura mitteleuropea Convegno organizzato dall'Istituto per gli Incontri Culturali Mitteleuropei (Gorizia, 6-9 novembre 1982) 11 Baal Schem Tov, fondatore del chassidismo, quando aveva di fronte un compito particolarmente difficile, andava in un bosco, accendeva un fuoco e pregava: così otteneva i risultati sper.: rati. Dopo di lui, il Maghld di Me- ! seritz usava andare nello stesso ~ posto, e diceva: «Il fuoco non pos- ~ siamo più accenderlo1 ma pregare Bib1otecag1no61a lo possiamo ancora», e i suoi desideri venivano soddisfatti. Ancora una generazione dopo, il Rabbi Moshé Leib andava nel bosco e diceva: «Non possiamo più accendere il fuoco, e non conosciamo più le preghiere; ma conosciamo il posto giusto». E ciò bastava a esaudire le sue richieste. Passata un'altra generazione ancora, Rabbi Ysrael di Rishin, di fronte a un compito da assolvere, stava seduto nel suo castello e diceva: «Non possiamo accendere il fuoco, non possiamo dire le preghiere, e non conosciamo più il posto nel bosco: ma di tutto questo possiamo raccontare la storia». CO E il suo racconto aveva la stessa efficacia delle azioni dei suoi predecessori. È. tipica dell'ebraismo la forma della narrazione. Il racconto chassidico, che non intende tanto dimostrare una tesi quanto indicare un mondo, si sviluppa in forma circolare, affastella gli elem_entidella narrazione gli uni sugli altri, in una foresta di simboli in cui non è particolarmente importante la loro completa decifrazione, quanto piuttosto il senso complessivo che il lettore (ma più spesso l'uditore) può derivarne. I racconti di Nachman di Breslav, tra i più belli che siano mai stati scritti, non conducono in nessun luogo ma custodiscono un senso che balena oltre la conclusione del racconto stesso. La circolarità della narrazione, che è speculare alla circolarità del commento talmudico, diviene metafora dell'esilio e del-suo dolore. Perché l'esilio stesso ruota senza fine intorno a un'assenza: il nome di Dio, che si è perduto con la distruzione del Tempio e che, fuori dal Tempio, non potrà mai più essere pronunciato. Il Nome perduto è il bianco della carta su cui si scrive la storia de.)popolo ebraico. La ricerca, comune a tanta letteratura di ·questo secolo, di una scrittura che raggiunga la pienezza perduta e che possa parlare della vita senza pietrificarla in formule o espressioni ben riuscite ma sostanzialmente vuote, così come il senso di insicurezza e di disincanto proprio di chi riconosce inutile questa stessa ricerca, sono elementi in qualche modo ebraici: la perdita del centro e l'esilio, l'analisi minuziosa del particolare e la sommessa rinuncia alla totalità sono caratteri tanto mitteleuropei quanto ebraici. Edmond Jabès, nel suo Livre des Questions, ha scritto che «ebraismo e scrittura sono la stessa attesa, la stessa speranza, la
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