Libertàeproprietà Crawford Brough Macpherson Libertà e proprietà alle origini del pensiero borghese La teoria dell'individualismo possessivo da Hobbes a Locke trad.it. di Silvana Borutti Milano, Oscar Mondadori, 1982 pp. 341, lire 8.000 e ome ricorda Antonio Negri presentando anche questa seconda edizione italiana, il libro di Macpberson è stato e rimane un punto di riferimento importante per gli studiosi della filosofia politica - seicentesca e non. Il libro di Macpherson, infatti, permette «un nuovo confronto, non • solo con la grande suggestione del tema generale della transizione ma più particolarmente con la metodologia storiografica e con i risultati storici e teorici delle sue analisi» (pp. 12-13). Il pensiero di Hobbes, Harrington, Locke, quello dei Levellers e dei Diggers è un possente e discontinuo tentativo di rielaborare - tra favolose utopie e massicci materialismi - una scienza politica partorita dalla «rivoluzione» rinascimentale a fronte di una «crisi» seicentesca che sottintende un livello di ricerca scientifica adeguato al costituendo nuovo assetto politico-sociale, e sottintende anche il discontinuo e difforme tentativo di interpretare la «crisi» del «grand siècle». Quest'ultima -potrebbe essere anzitutto considerata come una crisi generata da una sproporzione tra una fortuna accumulatasi nel corso del secolo della Rinascenza e una socializzazione della formidabile ricchezza di pensiero. Sproporzione nella transizione: questo tema è ben avvertibile vuoi là dove il ripiegarsi dell'antropocentrismo cinquecentesco nell'antropologismo barocco è rappresentato dal venir meno dell'armonico rapporto rinascimentale tra cosmo e microcosmo, tra universo e individuo; vuoi là dove conseguentemente la filosofia naturale e politica si forgia attraverso un dualismo (cartesiano, hobbesiano) instaurato dal rapporto tra oggetto e soggetto, che prelude significativamente all'antinomia storico-politica tra «Stato-macchina»e comunità di individui - tra una macchina e l'ingranaggio che la compone. «Nel Seicento - nota Macpherson-la filosofia politica era un'occupazione pericolosa» (p. 30). La violenta reazione istituzionale nei confronti del libero pensiero tardo-rinascimentale (Vanini, ecc.), il conseguente costituirsi di amcano di continuo il bonum sibi e giacché non vi è ragione che non debbano desiderare di ottenerlo, Hobbes può interpretare come morale l'obbligo politico perché esso viene fatto derivare da «un trasferimento di diritti trattati come morali» (pp. 100-1). Così l'argomentazione sulla moralità partecipa alla teoria hobbesiana non nel momento della stipulazione del contratto sociale, ma molto prima, ovvero là dove viene «dedotta l'uguaglianza di diritto a partire dalla affermazione dell'uguaglianza nelle capacità e nei bisogni» (p. 101). Se dunque tutti gli uomini hanno uguali diritti, l'obbligo politico viene a determinarsi grazie al trasferimento di questi diritti al potere sovrano. Ma, ancora, questo trasferimento avviene attraverso un rapporto intersoggettivo, che si instaura grazie a una dinamica di desideri e, in definitiva, grazie a una uguaglianza degli individui afferente a un momento di integrazione collettiva nell'obbligazione politica. A ragione Macpherson rappresenta la teoria hobbesiana tanto rivoluzionaria per la scienza politica quanto lo è quella galileiana per la scienza della natura. La connessione in Hobbes tra materialismo scientifico e teoria politica illustra appieno il debito del pensiero nei confronti della «rivoluzione» galileiana relativa alla legge del moto uniforme (pp. 101-2). Se da un canto il materialismo meccanicistico hobbesiano sostiene la necessità da parte degli individui di assecondare ininterrottamente il proprio moto e dunque anche la propria attività, dall'altro l'analisi della società mercantile elaborata nella Parte seconda del Leviathan non può non condurre Hobbes a un'ennesima teorizzazione dell'insicurezza collettiva provocata dall'interesse individuale e dalla prevaricazione di un individuo nei confronti dell'altro - alla riformulazione della necessità dell'obbligazione. Nel Leviathan, Hobbes colloca ogni uomo all'interno di una società nella quale il valore del singolo individuo viene determinato dal mercato (Leviathan, Parte prima, cap. X), e dunque colloca gli individui all'interno di una società le cui caratteristiche sembrano proprie a quelle della società mercantile della prima metà del Seicento. Nel capitolo XVII della Parte seconda del capolavoro hobbesiano il fine dello Stato viene identifibienti elitari ed esoterici (circoli cato con la sicurezza dei singoli, gassendiani e naturalisti), e so- ovvero con quella di tutti i conprattutto il piegarsi della dominan- traenti il patto; qualora questo fite corrente meccanicista all'urgen- ne non fosse raggiunto, la reciproza dell'assolutismo - tutto questo ca competizione scatenata dalle conferma appieno l'eunciato mac- passioni umane avrebbe la meglio pbersoniano. sulla convivenza civile. Ora, quanLa società che Thomas Hobbes do il «disegno» teorico hobbesiano - massimo autore meccanicista - intorno alla costituzione e alla socolloca all'interno dell'ipotetica pravvivenza dello Stato incontra il forma dello Stato descritta nel Le- «disegno» politico di quelle forze _5 viaJhan è indicata da Macpberson miranti all'uccisione del «dio mor- ~ come «società mercantile possessi- tale», allora cominciano ad affioCl. va» ed è, in essa, proprio la ten- rare le aporie dell'impianto. i denza degli uomini che la compon- Hobbes attribuisce al potere so- ..., gono al conseguimento di un sem- vrano il diritto assoluto e insonda- -~ ~ pre maggior potere a rendere ne- bile da parte dei sudditi di giudica5 cessaria la figura del patto sociale, re delle controversie che possono "" la figura dell'obbligo politico - so- sorgere «relativamente alla l~gge, ::; prattutto a partire dal postulato sia civile che naturale, oppure rei:: dell'uguaglianza (di capacità e pas- lativamente ai fatti» (Leviathan, ~ sioni) tra gli individui (pp. 41 Parte seconda, cap. XVIII), ma ;! sgg.). l'intento utilitaristico persegue il 1s Infatti, giacché gli uomini ricer- fine di tutelare il suddito dalle soO I o eca o ianco ...., Massimo Marzi praffazioni altrui, giacché il diritto di protezione attraverso il ricorso a una forza privata è assolutamente negato. Eppure, quando l'interesse dei singoli alla sopraffazione degli altri è animato da interessi di classi e ceti, e conduce inevitabilmente al formarsi di schieramenti politici che di fatto dividono uno Stato in due o più parti, allora vengono annullate l'inalienabilità e l'indivisibilità dei diritti del potere sovrano. Il limite del «disegno» teorico consiste nell'opzione hobbesiana per una teoria politica che non sembra in grado di andare oltre alla descrizione del corpo politico, ............ narchia può esistere. Posta in questi termini, la radicale contrapposizione non può che postulare la necessità del pactum subiectionis. Ma questa necessità anima appieno, d'altro canto, anche la politica di Oliver Cromwell. Come annota esplicitamente Macpherson, la dottrina hobbesiana è ancora votata a uno scacco teorico-politico laddove la teoria si presenta scissa dalla pratica, ovvero laddove l'immagine del Leviathan appare immagine atemporale e astorica, e l'immagine del Behemoth appare invece immagine affatto temporale e storica. Ora, l'indigenza della filosofia a e "' m ,' "'" r- -/ ... J._:~~} ,' ...,.,,~ ' i • I \ '. ' I \ I \ \ ~ ... ~ ;- limitandosi a registrare l'assoluta impotenza del potere giuridico di fronte all'accusa di infrazione del patto rivolta al potere sovrano da parte di coloro i quali qÙel patto avevano contratto. E proprio questo avviene nell'Inghilterra della «prima rivoluzione»! Il maggior limite del pensiero politico hobbesiano è in questo senso sicuramente identificabile nella figura del potere sovrano autoperpetuantesi (cfr. pp. 115-19). Come ben nota Macpherson, ciò che Hobbes non comprese fu «la possibilità di una coesione di classe che controbilanciasse le forze che operavano una scissione all'interno della società mercantile» (p.118). Il problema ignorato da Hobbes rimane dunque legato alla possibilità di far convivere in una società mercantile «possessiva» i concorrenti all'attività del mercato con un potere politico accentrato e assoluto. L a dicotomia Leviathan-Behemoth è rappresentata da Hobbes attraverso la contrapposizione tra uno «Stato-macchina» perfettamente descritto e una situazione irrazionale dove solo l'am o ~ "' m o e "' m o e "' ... politica hobbesiana a fronte della situazione storica contemporanea alla stesura del Leviathan è avvertibile soprattutto dove l'applicazione del contratto sociale investe la sfera dei diritti dei privati e dunque i concetti di proprietà e di mercato. Hobbes, infatti, sostiene che la proprietà di un suddito consiste nel diritto di escludere tutti gli altri sudditi dal diritto a quella proprietà medesima, ma non certo il diritto del sovrano - sia esso un'assemblea o un monarca. La continua e implacabile applicazione della figura del contratto conduce perciò Hobbes a considerare in termini analoghi anche i diritti del sovrano in materia di trasferimento della proprietà e in materia di commercio (anche con l'estero). Se da un canto questa concezione sembra preludere alla politica protezionista cromwelliana che causerà il conflitto anglo-olandese, nell'insieme la dottrina hob-, besiana in materia economica appare del tutto irrealizzabile nell'Inghilterra della metà del Seicento, laddove il diritto alla proprietà - attraverso quello alle recinzioni - viene conquistato attraverso una battaglia politica aspra e violenta. II movimento delle enclosures, conseguente allo scoppio della guerra civile, colpisce ovviamente gli strati più bassi della peasantry, ovvero i cottagers e i tenant cottagers che - come la massa dei landless labourers - solo per consuetudine godono dei benefici delle terre comuni. Inoltre, il nuovo assetto dell'economia agricola costringe da un lato centinaia di sfratta.ti dalle terre a ingrossare le file dei braccianti stagionali o al vagabondaggio (quest'ultimo punito severamente da parte dei puritani), dall'altro spinge molti yeomen a cercare di penetrare nello schieramento della nobiltà minore per non essere inesorabilmente relegati nel proletariato urbano. A queste differenti situazioni di classe e ceto si accompagna altresì il dovere di pagare le imposte e il diritto al voto; ora, il dibattito sul diritto al voto ingaggiato aspramente da «Livellatori», «Indipendenti» e «Zappatori» presso Putney dimostra appieno la rilevanza di tali questioni, impareggiabilmente descritte e analizzate da Macpherson (pp. 133 sgg.). Se dunque rapportiamo i testi hobbesiani alla situazione storica seicentesca non possiamo che cogliervi una insufficiente capacità analitica di una forma dello Stato costituitasi a partire dagli anni quaranta, che non si pone affatto in antitesi a quella elaborata dal filosofo di Malmesbury, ma anzi si rafforza laddove l'obbligazione politica viene riaffermata attraverso l'obbligo politico imposto dal mercato (p. 131). Eppure, detto questo, come non individuare nella volontà assoluta del potere sovrano hobbesiano la possente volontà pianificatrice dello Stato moderno? Infatti, dov.e alla raggiunta unità territoriale aveva fatto seguito un effettivo e stabile assetto politico-sociale, indubbiamente la totale autonomia del potere politico da quello economico garantiva l'effettivo controllo delle classi e conseguentemente il libero esplicarsi della forza produttiva borghese. In questo senso, il Leviathan potrebbe essere allora studiato come manifesto teorico assai più funzionale all'assolutismo di Luigi XIV che al costituzionalismo britannico di Guglielmo III. Infatti, a pochi anni di distanza dalla morte di Hobbes, all'interno della società inglese si era imposta una dottrina politica «più ambigua e più accomodante» di quella hobbesiana: quella di John Locke (p. 131, e cfr. anche pp. 225-96). Dunque, è possibile muovere qualche obiezione al saggio di Macpherson laddove il sintonismo Hobbes-«Market society» viene postulato con convinzione forse eccessiva; ma rimane merito indiscutibile di Macpherson l'aver analizzato con perizia e freschezza il tema della dicotomia LeviathanBehemoth (e si potrebbe anche dire Gemeinschaft-Gesellschaft, Liberal Democracy-Welfare State, ecc. - sono proprio gli scritti macphersoniani più recenti ad autorizzarci). Questo tema è compreso in quello ricordato della transizione (cfr. ancora l'introduzione di Negri, pp. 11-21). Per questo il saggio di Macpherson continua a essere, con il Leviathan, uno di quei libri che vale davvero la pena di leggere e di meditare: anche un breve sonno della ragione genera mostri.
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