Alfabeta - anno V - n. 44 - gennaio 1983

I contorni.lpnittura N on è difficile dimostrare che ci sono testi la cui struttura narrativa formale è rappresentabile per mezzo di modelli della teoria delle catastrofi. È possibile in particolare trattare allo stesso modo alcuni testi narrativi non verbali. Anzi, generalmente, in questo caso è più immediato riconoscere la struttura comune alla rappresentazione e al suo modello «catastrofico,.: fra l'archetipo e le raffigurazioni che ne condividono la struttura astratta c'è un medium di meno, il linguaggio verbale. Ogni figurazione si può pensare come struttura conflittuale, in cui la dinamica della comunicazione si oppone alla stabilità della rappresentazione. (Thom dice che ogni esistenza è l'espressione di un conflitto fra l'effetto erosivo del tempo e un principio astratto di permanenza, che chiama logos in onore di Eraclito). Occorre fare anzitutto un'ipotesi ontologica forte, e cioè che gli oggetti abbiano in comune con la loro rappresentazione una struttura (stabile); da un punto di vista metamatematico ogni fenomeno appare in un dato spazio, che si può pensare come spazio di fasi, munito di una topologia. Thom (Stabilité structurelle et morphogénèse, Paris, lnteréditions, 1977'; trad. it.-Stabilità struttura/e e morfogenesi; Torino, Einaudi, 1980) introduce per uno spazio di tal genere la nozione di stabilità strutturale per le forme. L'utilizzo di modelli della teoria delle catastrofi è in grado di descrivere (e in certi casi di spiegare) le ragioni strutturali di particolari situazioni dal punto di vista della loro stabilità _o del loro evolvere verso situazioni strutturalmente stabili. Come ha • osservato anche Omar Calabrese (uno dei primissimi ad applicare queste idee alla semiotica della figurazione), la teoria delle catastrofi, nei suoi aspetti più generali, «consente di render conto non solo di una struttura profonda codificata sotto forma di relazioni puramente opposizionali ( ... ), ma di qualcosa di più complesso, l'evento narrativo, sotto forma delle diverse rappresentazioni geometriche del conflitto. ( ... ) È dalla collocazione sintattica dei posti in competizione che deriva la struttura sintattica di una narrazione» (O. Calabrese «Uno sguardo sul ponte», Casabella n. 469, 1981). Propongo di considerare tre tipi principali di fenomeni morfogenetici per le strutture della figurazione: 1. Immanenza del modello catastrofico nelle rappresentazioni figurative. Ogni raffigurazione intesa come messaggio (non verbale) presenta necessariamente in sé, come si è detto, un'opposizione fra staticità dell'immagine e dinamica della comunicazione. Si tratta in tutti i casi di una catastrofe virtuale (cfr. le osservazioni di Thom sull'origine del linguaggio in R. Thom, Stabilité structurelle et morphogénèse, cit.). Si noti che un'immagine non è necessariamente stabile nel senso di Thom. Anzi, a proposito delle forme informi, Thom stesso dice che certe forme sono informi in quanto present~o una struttura interna complicata e_caotica, per cui non offrono àll'analisi che pochissimi elementi identificabili (a volte presentano alcuni elementi identificabili la cui associazione in uno stesso oggetto appare però contraddittoria, come accade per le chimere). 2. Rappresentazioni bimodali. È il caso più interessante di applicazione di questi modelli, ed è molto frequente (si pensi ad esempio al conflitto di elementi lineari e circolari nella Tempesta di Giorgione). Si ha un'opposizione fra elementi apparentemente inconciliabili la cui contemporanea presenza crea uno «strappo» nella struttura narrativa (analogo a un punto di discontinuità in matematica). In generale si dà luogo a un effetto retorico (allegoria o altro: si può derivare una retorica delle strutture figurative ricchissima di effetti immediati. Si tenga presente che manca il medium del linguaggio verbale). 3. Differenza e ripetizione. Il terzo tipo di modello strutturale prevede che si confrontino diverse figurazioni formalmente analoghe considerate come un sistema di varianti. Si pensi, ad esempio, alla possibilità di confrontare (come ha fatto Petitot) diverse rappresentazioni pittoriche del mito di san Giorgio, per derivarne una struttura generale comune: «l'evoluzione delle rappresentazioni manifesta (... ) una diacronia inerente alla dinamica che mantiene la struttura» (J. Petitot, «Saint Georges. Rémarques sur l'espace pictural» in Sémiotique de /'espace, Paris, Denoel, 1979; trad. it. in Autori vari, Semiotica della pittura, a cura di O. Calabrese, Milano, Il Saggiatore, 1980). Fin qui si è trattato di applicazioni dei modelli della teoria delle catastrofi, talvolta suggestive, ma di nessun valore scientifico. Infatti, limitarsi a osservare che le strutture figurative si possono rappresentare per mezzo di modelli sarebbe come voler rappresentare i sette nani assegnando i loro nomi a ciascuno dei sette lati di un poligono regolare. Si può fare, ma non serve a niente. (Per la stessa ragione il famoso modello del cane di Zeeman, che da un punto di vista didattico è eccellente - come esempio di modello, appunto - è dannosissimo da un punto di vista divulgativo; perché viene scambiato per un esempio di applicazione. della teoria). Quando Thom decide di occuparsi di estetica, sceglie proprio il. cammino opposto, e lo dice esplicitamente («vorrei percorrere. la • passerella nell'altro senso»). Il suo· scopo non è quello (inutile) di tro-' vare ulteriori conferme della teoria delle catastrofi partendo dalle opere d'arte - non è cioè, per usare le sue stesse parole, «vittima di un'assimilazione forzata». Il suo scopo è dire qualcosa sull'arte a partire da un modello meramente matematico, se questo è possibile. E se è possibile, non è certamente inutile. Ritroviamo così quella dimensione di conflitto che è alla base dei lavori di Thom. Una specie di doppia dimensione della scientificità (in particolare delle matematiche, se prestiamo fede al detto che in scienza solo le matematiche hanno diritto di essere intelligenti): la prima che riconosce la dignità di scienza solo a ciò che si dimostra a partire dalla scienza stessa; la seconda che mira all'estensione della dignìtà di scienza a discipline finora estranee, e cerca per esse una matematica ad hoc. Lo scienziato che accumula dati di fatto contro lo scienziato «delirante» che sogna. Thom è orgoglioso di appartenere alla seconda categoria. Al convegno di Cérisy (cfr. Logos et théorie des catastrophes. À partir . du travail ·de René Thom, conve- _gno di Cérisy-la-Salle, 7-17 set- • tembre 1982, a cura di J. Petitot), dietro il suo aspetto di vecchio boy-scout abbiamo rivisto «l'uomo di genio appassionato, puro, intenso e dominatore» (sono le parole che Russell dedica a Wittgenstein). Angelo Fabbri e he cosa bisogna pensare del confronto fra diversi tentativi artistici e certe procedure scientifiche contemporanee? Evidentemente la speranza è di trovare, al di là delle attività a priori così differenti dello scienziato e dell'artista, un'origine comune: e dove potremmo trovare questa origine, se non in un immaginario comune che ispirerebbe e dirigerebbe al tempo stesso le loro rispettive creazioni? Ma confronti di questo genere si possono riténere giustif,cati? Preferirei non avventurarmi in un simile dominio, se non con estrema prudenza. può dire che la teoria delle catastrofi - nel suo aspetto più generale, il più filosofico - può gettare qualche luce sul problema della genesi dell'arte; da questo punto di vista - molto imperialisticamente -sarei tentato di dire che non c'è un'arte catastrofista opposta a un'arte che sarebbe, per dire, continuista o apollinea. Al contrario, ogni arte è, essenzialmente, catastrofista! spazio-tempo è anch'essa consideratapermanente (benché le entità che la realizzano sianQsconosciute). Il tempo offre la particolarità - forse unica fra tutti gli spazi eonsiderati in scienza - di essere insieme il supporto di una geometria (definita dalla «misura» del tempo, l'uguaglianza delledurate) e insieme uno «spazio assiologico», fondamentalmente orientato nel senso 'Passato-.Avvenire', in cui la transizione è marcata dalla discontinuità del Presente. S'intende che si traJtaqui di gettare un ponte fra la scienza e l'arte; e sia chiaro che questo passaggio può esserepercorso seguendo due direzioni: dall'arte alla scienza o, al contrario, dalla scienza all'arte. Conosco qualche esempio di percorsi nel primo senso: si traJta, di solito, di artisti creatori che hanno messo a punto una «ricetta• personale che permette loro di realizzare un certo tipo di opere d'arte, con un certo materia/e, un certo stile, un certo insieme di forme preferenziali... Allora sono tentati di cercare nelle grandi immagini della scienza attuale una sorta di illustrazione, cioè una giustificazione dei loro processi creativi. La scienza d'oggi non manca di temi di notevole potere evocativo: si pensi alla nascita dell'universo (il «big bang»), seguitadalla «fuga» delle galassie - su vastascala. E in scala infinitesima il confinamento di un plasma - fine dellafusione nucleare - e il confinamento dei quarks, responsabile, secondo alcuni, della stabilità della materia... argomenti senz'altro molto suggestivi. La teoria delle catastrofi ha anch'essa un impatto terminologico considerevole, e questo le ha assicurato una notorietà spesso discussa... Ma quel che mi colpisce negli esempi che conosco, è che l'artista ha scoperto il suo (o i suoi) processi di creazione come frutto (frutti) della sua personale evoluzione. Soltanto a posteriori cerca nella scienza una razionalizzazione del proprio modo di fare, che presenterà poi - a se stesso oltre che al suo pubblico - come una giustificazione. Ma così facendo non è forse vittima - vittima volontaria, a volte - di un'assimilazione forzata? Perché in fondo l'arte non ha alcun bisogno della scienza. La bellezza s'impone da sé, indipendentemente da ogni riferimento culturale razionalizzante. È per questo che io, ali'opposto degli artisti che cercano di trovare nella cultura scientifica un corrispettivo delle loro iniziative creatrici, vorrei percorrere la passerella nell'altro senso, esporre cioè la perplessità dell'uomo di scienza di fronte all'enigma della bellezza. Si può fondare, si potrebbe immaginare una teoria «scientifica• dell'estetica? Bene, si CO Che cos'è, dunque, la teoriadelle catastrofi, nella sua accezione più generale? È essenzialmente una teoria del dinamismo universale: ogni cosa esiste in quanto cosa unica e individuata nella misura in cui è capace di resistereal tempo - un WIEN 1903 ....... I DAS ANDERE I EIN BLATT ZUR EINFUEHRUNG ABENDLAENDISCHER KULTUR IN OESTERREICH: GESCHRIEBEN VON ADOLF LOOS 1. JAHR TAILORS ANO OUTFJTTERS GOLDMAN & SALA TSCH IL U. L HOFUEFERAHTEN L BAYD.. HOF• UEFllAHTEH •• WIEN, I. GRABEN 2.0. HALM & GOLDMANN ANTIQUARIA TS, BUCHHANDLUNG fii, Wiuc:otdufc, Kunat und Utcu.tu.t WIEN. I. BABENBERGERSTRASSE s Grolu L&1u ,on wcriwolkn Wc,•H ,..,.. 1,Jkn WIMmach.aftm. • ElnrkJl1t,1n1 ,on bdlc11llti1ehm un.:1 Vollubibliotbd1cn. Mbu( •oa 11111:m Bibliolhd::m und ciru:dam Wc,km ,I\IS •llcft Z•rilffl du Wlutna. O~nubnu ""' Blkhff• und Autoir.aphcn, aul:Oonu1 unir, llulan1utm lkdffl&:1u1ip11. 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La geometria del nostro Per adoperare un lingµaggio molto antropomorfo - ma che ha una precisa interpretazione matematica - ogni «logos» è definito da un sistema di «valori» che genera uno spazio assiologico; questi .valorisono definiti localmente su uno spazio-sostrato di natura (almeno relativamente) geometrica, per esempio lo spazio-tempo. E per dare un esempio tipico: ciò che assicura l'unità morfologica di una frase significante, in linguistica, è il dato della sua significazione (oggetto di un sistema di valori), stabilizzato da un logos che assicura la relazione fra significato e struttura sintattica (sintagmatica) dei fonemi nel sostrato fonico temporale. Le entità meno stabili devono evidentemente fare appello, per mantenersi, alla presenza di entitàpiù stabili. Se è vero che in un certo senso ogni entità si localizza in un sostrato (come minimo di un potenziale che «assiologizza» questo sostrato: cfr. la teoria del luogo naturale di Aristotele per spiegare il peso), questo softrato è spesso non spazio-temporale, definito da qualità astratteadeguatamente topologizzate; in quanto entità estesegli oggetti corrispondenti non sono localizzati: come i «campi della fisica», sono entità ubique che si propagano nello spazio usuale (per esempio l'energia, la cui forma più degradata si propaga come calore). Nel dominio delle qualità soggettive, esistono qualità attive analoghe - che ho proposto di chiamare pregnanze. Queste pregnanze, che sono inizialmente i «valorifondamentali» della regolazione biologica (la fame, la paura, l'amore, ecc.) s'investono sulle forme spaziali (forme dette salienti) che possono in seguito propagarle per contiguità spaziotemporale: propagazione per contatto e propagazione per similarità sono, secondo Frazer, i due modi principali del- /' azione magica... (Voglio alludere al risultato dell'esperienza classicadel cane di Pavlov: la pregnanza alimentare della carne s'investe nella forma «saliente» del tintinnio del campanello che suona ogni volta che al cane affamato viene presentata la carne). Quando queste pregnanze biologiche investono un animale, producono in lui degli effetti visibili, detti «effettifigurativi»; tali effetti, percepiti da un altro individuo dello stesso genere, potranno condurre il soggetto percettore a subire il

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