Alfabeta - anno IV - n. 43 - dicembre 1982

esistere, l'«io» deve porlo come estenore, altro da sé - di diventare a sua volta un «io». Eppure si rivela ben poco credibile (nelle sue reali possibilità di verificarsi) un futuro dell'umanità modellato su un equilibrato dialogo delle culture, un equo incrocio dei popoli. Ciò che vale per le persone grammaticali e forse per i singoli soggetti, rischia di rivelarsi utopico a livello dei gruppi etnici. Questo almeno è quanto ci insegna il nostro presente. A ll'ottimismo di Todorov forte della sua felice esperienza di «métis culturel» (ma per un Todorov o una Krist~va quante migliaia di figli d'emigrati che, per non essere né di qua né di là, non partecipano a nessuna cultura e vivono ghettizzati quando non afasici?), fa riscontro il radicale pessimismo di Segalen, che al termine di un viaggio impossibile verso il diversq finl per collocare nell'io l'ultima figura dell'altro. «Ai margini dell'esotismo», in un libro recente, Lina Zecchi ha reperito le tracce e i percorsi che all'inizio del Novecento hanno condotto Segalen a inventare «una-scrittura dove l'Altro, l'esotico non figura più come riferimento a culture 'altre' nella loro letteralità (la cultura maori, la cultura cinese, la cultura araba, ecc.) ma come assenza dell'io, dell'esperienza 'piena' della cultura materna per lo spaesamento totale prodotto dallo shoc, trauma che segnala l'incontro/scontro con la Differenza». Viaggio nella differenza ove l'altro funziona come mediazione verso l'ignoto, il viaggio di Segalen dalla Polinesia alla Cina si rivela un fallimento: l'esotismo, «tout ce qui est Autre», rimane una domano da irrisolta. Le «Note sull'esotismo» apparse postume sul Mercure de France (e ora raccolte nell'Essai sur l'exotisme) tracciano sulla carta bianca gli itinerari nell'esotico proibiti al viaggiatore sulle carte geografiche. Al «trionfo del luogo comune, del già-detto e giàscritto, della non-sorpresa» che il colonialismo ha steso sull'universo come una piaga (il contagio è una delle più ricorrenti metafore segaleniane), lo scrittore - esota - viaggiatore-nato e «testimone di una storia perdente e perduta» (Neri) risponde con un'interrogazione senza precedenti sull'esotismo come, scienza del diverso. Spogliata dei suoi orpelli tropicali, la sensazione d'esotismo diventa «notion du différent; la perception du Divers; la connaissance que quelque chose n'est pas soi-mème». Il potere dell'esotismo è il potere di concepire «altro». Non risiede nell'oggetto ma nella relazione all'oggetto. tv• ;E poiché appartiene all'ordine"della· comunicazione, non soltanto arricchi- ~ la persona ma, anzi, postula l'esistenza di un io forte: «Les sensations d'Exotisme et d'lndividualisme soni complémentaires». Rapporto dialettico attento a registrare innanzi tutto lo shoc dell'io sulla realtà, «l'apostrophe du milieu au voyageur», l'esotismo ha la fragilità di un fenomeno transizionale. Nel suo movimento verso l'altro, l'esota sperimenta uno spazio potenziale tanto più esteso quanto più consolidata risulterà la sua struttura interna. L'esota- e Gauguin era stato in questo senso lo strumento di una rivelazione - non è colui che annega nell'altro, ma chi riesce a percorrere nel doppio senso la distanza più lunga tra se stesso e l'altro. La degradazione del diverso, l'uniformazione (la standardizzazione) Ossidisanti J.-A.-S. Collin de Plancy Dizionario delle reliquie e delle immagini miracolose Roma, Newton Compton, 1982 pp.,240, lire 7.000 Jonathan Sumption Monaci santuari pellegrini. La religione nel Medioevo Roma, Editori Riuniti, 1981 pp. 398, lire 12.000 M i domando che senso abbia tradurre, a centosessant'anni esatti dalla pubblicazione, il Dictionnaire critique des reliques di Jacques-Albin-Simon Collin, meglio noto come Collin de Plancy. Me lo domando mentre mi affretto ad acquistarlo - evento che ha del miracoloso, in questa fase di galoppante e contagioso assenteismo librario, - e già pregusto, sullo stesso argomento, l'annunciata novità di Sebastiana Papa, Veronelli dei conventi. vati. Alfonso di Nola, nell'introduzione al volume di Collin, segnala le raccolte di Federico il Savio e di Alberto di Brandeburgo, forti rispettivamente di 5.005 e 8.933 pezzi. Si è calcolato che la collezione di Federico il Savio assicurava 127.799anni d'indulgenza. Molto più difficile è stabilirne il valore venale. È noto che le reliquie si commerciavano a peso d'oro e oltre. Fernando di Carri6n, che vantava un credito nei confronti dell'emiro di Cordova, ai lingotti d'oro e d'argento preferì il corpo di san Zoilo. Non è un caso che le raccolte reliquiarie si diffondano e si arricchiscano soprattutto fra Cinque e Settecento, in coincidenza col formarsi di raccolte d'altro genere, ma non troppo differenti quanto ad accanimento e gusto del raro, del meraviglioso, dello stravagante. In breve: le collezioni di reliquie rientrano anch'esse nel clima di collezionismo entusiasta delle Wunderkammern. E come in queste si ritrovano, ammucchiati, oggetti di scavo e uova di struzzo, porcellane ciPiero Meldini Immagino che si potrebbe compilare una vera e propria borsa valori delle reliquie nel tempo, parallela a quella delle fortune dei singoli santi, con tendenze al rialzo e al ribasso, svalutazioni e rivalutazioni, oscillazioni, impennate, qualche crollo. Ed è egualmente -il collezionismo, prima ancora delle revisioni teologiche e delle riforme cultuali, a richiedere un qualche controllo del mercato e regolamentari expertises. Il Concilio di Trento, infatti, demanderà ai vescovi l'autenticazione di nuove reliquie e il Codex Juris Canonici - oltre a fissare una prima quotazione delle reliquie, dividendole in «insigni» e di seconda scelta - riconfermerà l'obbligo di un certificato di garanzia, pro fide e a tutela del collezionista. P-C Naturalmente un censimento maliziosamente pignolo delle reliquie, onde svelarne le origini per lo più oscure e truffaldine, poteva appanre nel 1821-22insidioso e diciamo pure blasfemo. Ma insomma: Voltaire era morto da cinquant'anni suonati, il Dictionnaire philosophique (il modello di Collin, da lui abbondantemente saccheggiato) aveva visto la luce nel 1764, e denunziare i tratti più palesemente insensati, ridicoli e superstiziosi delle religioni era piuttosto un esercizio di esprit plaisant che philosophique, se negli anni novanta un anonimo e (suppongo) inedito francofilo nostrano ci aveva così celiato sopra: «Fra molte dirottissime anticaglie/ In forma autenticate, e benedette / Di quel mistico pesce avea le scaglie / Che illuminò Tobia, e le Basette / Di Simia il buon ladron, e le Tanaglie / Che strapparono ad Agata le tette / Ed il coltello ancora insanguinato / Con cui Bartolomeo fu scorticato». nesi e noci di cocco, lavori d'alta oreficeria e coccodrilli impagliati, vetri di • ' Murano e comi d'Unicorno, così una non spregevole collezione di reliquie vanta almeno uno dei sette santi prepuzi di Gesù Bambino e una delle sei mammelle di sant'Agata, una piuma dell'arcangelo Gabriello e un'unghia di cherubino, una coma di Mosè e l'impronta pirografata di un'anima del Purgatorio, il santo Topo che rosicchiò un'ostia consacrata e il santo Coltellino con cui un giudeo sacrilego pugnalò a sangue una particola. E - siamo sinceri - chi non mostrerebbe con orgoglio una sua privata raccolta di reliquie che comprendesse ··--::::.0·::::::.:: ••••• ~ Inconscio r:.r; ~ il sospiro di san Giuseppe in vitro e lo La mappadell'inconsciodi Freud E certo era fin troppo facile computerizzare i dati cavati dai repertori e ironizzare sui cinquecento denti di sant'Apollonia, sulle sette mammelle di sant' Agata, sulle cinquantun dita e le tredici teste del Battista, sulle quattro teste e le otto braccia di san Biagio, sui cinque corpi interi di santa Lucia, sani' Andrea e sani' Antonio eremita, i sette di san Giacomo, gli otto di san Luca, i trenta e passa di san Giorgio, e sui ventisette chiodi della Croce. starnuto dello Spirito santo sotto vuoto, il Crocifisso Magnaccia (Cruciftx Maquereau: così denominato perché attaccato al muro di un casino) e, se non proprio le mutande di san Casimiro che preservano dalla lussuria - vuoi per l'indumento in sé, vuoi per la funzione, - certamente il dito rabdomantico di sant'Antonio da Padova, che fa ritrovare gli oggetti smarriti, e, soprattutto, il flacone del re Clodoveo, colmo di un vino che, per quanto se ne attinga, non finisce mai? O il dente di sant'Amabile, che guarisce dai morsi di vipera proprio come i denti di squalo delle Wunderkammern laiche? L'incetta delle reliquie obbedisce in L a smania collezionistica spiega la realtà, ben più che a impulsi feticistici ricerca a tutti i costi dell'esemplae necrofili o a una logica cultuale mi- re pregiato e, di conseguenza, la racolistica e superstiziosa, a un acce- proliferazione di venerati multipli, o il so, anche se particolare, spirito colle- ripiego sulle reliquie ex vestibus, ex zionistico. A raccogliere accumulare capsa e a contactu, quand'è impossiclassificare esporre reliquie non sono bile mettere le mani sulle ben più presolo chiese e santuari, ma anche pri- ziose reliquie ex carne ed ex ossibus. B1blloecaa no ,a co ..... Ne ho sottomano uno del 1780, È un modulo prestampato, completato a penna negli spazi lasciati in bianco, firmato dal vescovo e munito del suo sigillo. Vi si attesta, nella fattispecie, che la reliquia, «ex authenticis locis • extracta», è una genuina «particula ex praecordiis Sancii Stanislai Kostka», polacco e gesuita, e se ne concede la facoltà «apud se retinendi, aliis donandi, et in quacumque Ecc/esia, Oratorio seu Cappella publicae venerationi exponendi et collocandi». Età meno fiscale, il Medioevo aveva definito l'autenticità di una reliquia sulla sola base dei suoi poteri taumaturgici. Il metodo più spiccio e infallibile consisteva nel buttarla nel fuoco: se non andava in cenere, era dimostrata autentica - come ricorda Jonathan Sumption, che al culto delle reliquie dedica il secondo e il terzo capitolo di Monaci santuari pellegrini. La Wunderkammer è un microcosmo del meraviglioso naturale e artefatto, in una chiave protoenciclopedica che non aspira ancora al regesto e all'ordinamento del macrocosmo, ma a riunire dentro una stanza un saggio arcimboldescarnente esemplare della ricchezza, stravaganza e difformità dell'universo e dell'umana invenzione; così la raccolta di reliquie è un microcosmo del meraviglioso celeste, un'attestazione della potenza, inventiva e (perché no?) sovrumana bizzarria del Padreterno. Ciò di cui non s'avvede l'ingenuo polemista Collin, è che egli, in fondo, condivide la stessa cultura delle Wunderkammern e delle raccolte di reliquie. Anch'egli è collezionista: di fatti, di dati o, per dir meglio, di citazioni; tratte, queste, da agiografi e panegiristi, cronisti e viaggiatori, alla rinfusa e senza il benché minimo controllo delle fonti, per esclusivo gusto dell'accumulo e amore del sensazionale e dell'eccentrico. Atteggiamento che si manifesta in pieno nell'opera più nota di CÒllin, quel Dictionnaire lnfemal, catalogo e organigramma di tutti i principi, dignitari e legioni dell'Abisso, che, compilato a confusione dei superstiziosi e dei creduli (ma con un tasso di divertissement senz'altro superiore a quello di provocazione), dopo la conversione di Collin (eh, sì) sarà ristampato, in versione non troppo riveduta e corretta, nel supplemento della Patrologia del Migne e conoscerà, tra espurgate e non, ben sei edizioni, di cui la definitiva (pubblicata da Plon nel 1863) contiene i ritratti di 72 demoni, basati su «documenti ufficiali» e disegnati da un L. Breton, che non è stranamente il capofila dei surrealisti. L o schedatore di diavolerie per ridere non si discosta poi granché dal demonologo ortodosso. L'ele-. fante Behemot e l'unicorno Amduscias, il quadriforme Asmodeo e Belfagor assiso sulla seggetta solleticano l'immaginario del credente come dell'incredulo. Allo stesso modo in cui i Cinocefali, i Satiri, le Sirene, gli Sciapodi, gli Epifugi, gli esseri ibridi di Ravenna e Craco.via e tutti i mostri diligentemente catalogati da Aldrovandi, Liceti, Boistuau, Paré e dagli altri teratologi cinque-seicenteschi esistono per il solo fatto di essere descritti e riuniti, e postulano obbligatoriamente un mondò così vario e meraviglioso da contenerli. Il che da un lato ci riconduce alla cultura manieristica delle Wunderkammern e dei Wunderbuchen, di cui Collin è in qualche modo un epigono, e dall'altro ci suggerisce uno sbocco diciamo pure «di attualità». C'è un «metodo» di descrizim:iedelle cose che ha preso più piede di quanto non si pensi. Pauwels e Berdelle ~perienze umane hanno esasperato ai primi del t:iovecento l'interrogazione sulla «questione dell'Altro». Su di essasi sono'focalizzate le mille e una ragioni (tutte illusorie) all'irrisolta domanda: Perché si viaggia? Nel momento in cui veniva a mancare la dialettica dell'io e del non-io, si faceva sentire più imperativo il bisogno di spostarsi verso l'altro. Fmché, imprigionato e schiacciato dal peso dell'esistenza-· la nausea, - dall'inamovibilità dell'essere, l'io contemporaneo esprimerà con l'inquieta metafora dell'evasione (E. Lévinas, De l'évasion, 1935, e ora Montpellier, Fata Morgana, 1982) il bisogno di «briser l'enchainement le plus radical, le plus irrémissible, le fait que le moi est soimème». Necessità ontologica di un'uscita che non vuole andare da nessuna .parte, l'evasione segna la fine dell'avventura dell'altro. • gier l'hanno chiamato «metodo fòrtiano»: da Charles Hoy Fort, di Albany, New York, droghiere a riposo, imbalsamatore di uccelli, collezionista di francobolli, minerali, insetti e citazioni. Citazioni di fatti stravaganti, devianti, inesplicabili, o,"per dirla con parole sue, «dannati». Su Allahabad, in India, piovono dal cielo pesci d'un chilo; su Kansas City piovono rane; vermi neri su Brarnford Speke, nel Devonshire, su Cristiania, Norv,:gia, e su Sangerfield, stato di New York. In Scozia, dentro un blocco di carbone, si trova un'ascia di ferro; a Springfield, Massachussets, si scopre un chiodo dentro un pezzo di quarzo aurifero; a Chillicothe, Illinois, è rinvenuta una moneta con iscrizioni fenicie a 40 metri di profondità. l marinai del Bintang, nell'attraversare gli stretti di Malacca, avvistano un'enorme girandola luminosa che ruota sull'acqua. La mattina dell'8 febbraio 1855 gli abitanti di quattro città del Devonshire scorgono, al risveglio, un gran numero di impronte animali sconosciute. Il «metodo fortiano», insomma, è l'effetto suggestivo e sorprendente che produce un cumulo di dati incontrollati e incontrollabili aggregati col criterio delle associazioni. libere. È l'Inconscio della ricerca, il trionfo della paratassi, della dialettica analogica e del pensiero monistico. Tutto lega con tutto: «Appare una nuova stella», scrive Fort. «Fino a che punto differisce da certe gocce d'origine ignota che sono state notate su una pianta di cotone dell'Oklahoma?» E ancora: «Due cose così positivamente diverse come la Casa bianca di Washington e il guscio di un granchio solitario si rivelano contigue». Il «metodo fortiano» non spiega; tutt'al più allude e ammicca. Riesuma il meraviglioso affossato dalla ragion scientifica e lo colloca Altrove. Qui sta la novità: il meraviglioso religioso è miracoloso e ultraterreno, ma incombente e sollecito; il meraviglioso laico rinascimentale è naturale e umano; il meraviglioso degli enciclopedisti (e di Collin) è leggendario e superstizioso. II meraviglioso fortiano è alieno: rimanda, a differenza degli altri, non a qualcosa ma a Chissacosa. Benché ami presentarsi come prolegomenp a una scienza futura.che integri il noto con l'ignoto, insinua in realtà che il mondo è denso, appiccicoso, indecifrabile, estraneo. Come e qualmente il «metodo fortiano» non ispiri solo qualche libro di ufologia, ma sia il punto d'approdo o lo svincolo di intellettuali insospettabili, o quasi, lasciamo che sia l'acuto lettore a verificarlo, collezionando e collegando numerosi sparsi indizi.

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