rie dell'arte e non a una storia dell'arte implica due possibili scelte, nessuna delle quali definitivamente precisata nell'opera. Da un lato una scelta polifonica: si scelgono oggetti di analisi discontinui, ma·si dà voce panoramica ai diversi metodi e scuole. Dall'altro una scelta ideologica: si scelgono oggetti di analisi discontinui, ma li si presenta secondo un unico taglio critico, monodico, di s.:uola. Nessuna delle due è stata portata fino alle estreme conseguenze: è evidente infatti che esistono assenze non casuali, ma è anche evidente che ci sono presenze impertinenti. Mi scuso per la lunga premessa, ma insisto che forse, senza di essa, non sarebbe possibile giustificare alcuna forma di discussione che poggiasse su alcuna delle parti dell'opera. E vorrei insistere su una ulteriore constatazione: che senza il coraggio di mettere in evidenza luci e ombre dell'intero progetto (con onestà intellettuale, cercando di dimenticare nome e cognome di amici e nemici) non è possibile neppure riconoscerne le grandi qualità individuali, apprezzarne le parti che veramente registrano il nuovo negli studi moderni sull'arte, o rigettarne quelle che invece appaiono improntate ad accademismo e a volontà di liquidazione di problemi ancora oggi definibili come luoghi di conflitto intellettuale e teorico. E veniamo così al volume da cui avevo preso le mosse, Il Novecento. Innanzi tutto una sommaria descrizione. La serie di saggi è organizzata secondo due grandi linee interne: da una parte la linea di studio della continuità di certe forme dell'arte italiana tra la fine dell'Ottocento e i giorni nostri attorno a una serie di problemi di natura economica (il mercato), istituzionale (l'insegnamento, le scuole, le strutture pubbliche), ideologica (l'impegno, il dissenso, il consenso) e teorica (il nuovo e la tradizione); dall'altra una linea di studio che invece organizza le relazioni o le contraddizioni fra luoghi del sapere vedendone gli esiti in un campo specifico, l'architettura, che quindi è considerata un terreno di manifestazione della cultura, e non pregiudizialmente un'estetica, o una tecnica, o quant'altro si voglia. Oltre a queste due linee per così dire verticali se ne potrebbero però individuare altre due, che chiamerei «ad albero» in quanto presentano una divaricazione a partire da un identico movimento teorico iniziale. La premessa mi sembra comune: ed è il rifiuto in linea generale del concetto di «avanguardia», che ritroviamo ad esempio tanto nel saggio di Paolo Fossati sull'arte fra le due guerre quanto nello scritto di Manfredo Tafuri sull'architettura del dopoguerra. Solo che il problema si divarica successivamente: mentre Tafuri nega l'accezione comune e banale di «avanguardia», ma propone poi una rivisitazione della storia a partire comunque da momenti di rottura e conflittualità che foucaultianamente identifica con alcuni momenti cruciali di «crisi di discorso», Fossati invece stempera quel concetto nell'idea dei mutamenti di pratiche degli operatori artistici. Due concetti che. come si vede, procedono analiticamente in due direzioni contrarie anche se complementari. Prima di entrare nel merito dei due saggi, che sceglierei come i più emblematici del volume, qualche osservazione sugli altri contributi. Quello di Maria Mimita Lamberti affronta un punto cruciale, e cioè quel nodo di problemi fra Ottocento e Novecento che consiglia di evitare un taglio del volume allo scadere del secolo, per scegliere invece il crinale del mutamento nella cultura degli anni ottanta che lo precedono, e che prosegue fino agli anni dieci. Quello di Giorgio Ciucci, invece, è dedicato all'analisi del dibattito urbanistico primo-novecentesco, fino al problema delle città fasciste. Non c'è spazio per approfondire, e me ne scuso. Aggiungo soltanto che, mentre questi due saggi rientrano, con le dovute differenze individuali, nel quadro concettuale che prima ho delineato, molto meno mi pare rientrarvi invece il testo di Bruno De Marchis sull'arte italiana dal '45 a oggi. E qui ritorna allora il discorso sulle contraddizioni intrinseche all'opera nel suo complesso. De Marchis, infatti, oscilla perennemente fra osservazioni sugli artisti (e il difetto è che dimentica di negare la pertinenza del concetto di «italianità» per il secondo dopoguerra, oltre a scartare nomi e movimenti che forse meriterebbero altra fortuna), osservazioni sul fondamentale aspetto del mercato, e osservazioni sulla cultura degli artisti contemporanei, trattata, questa, talora in modo un po' superficiale, come si evince dal modo in cui è svolto il dibattito sul realismo, o quello sulle istituzioni. Parimenti «anomalo», infine, è il saggio di Carlo Olmo sull'edilizia industriale, tutto puntato su questioni di metodo piuttosto che sulla discussione di oggetti. T orniamo, con molta dose di roz- ~~ e brevità, ~i due saggi c_he, ms1sto, carattenzzano teoncamente il volume. E soprattutto approfondiamo quei pochi elementi generali che ho in precedenza accennato. Perché, ad esempio, Fossati a mio parere ridimensiona ii concetto di «avanguardia»? Perché tutto il suo lavoro su pittura e scultura fra le due guerre è decisamente teso a ritrovare le continuità fra individui, gruppi, aree culturali geograficamente espresse e nuclei di idee, di eventi, di aspetti istituzionali. Fossati non crede alle «rotture», crede ai rapporti, E in alcuni capitoli del saggio, bisogna dire, è anche convincente: come è ovvio nella parte sulla Metafisica fino al «ritorno all'ordine» di Novecento, che già Fossati ha preso in esame nel volume su «Valori Plastici», ma anche nel bel paragrafo finale sulla pittura e la scultura alle Quadriennali. Tuttavia, si dovrà certo ancora tornare sul tema, perché resta vero che sul piano formale alcuni momenti di frattura fra tradizione e rinnovamento non sono sottovalutabili, neppure in questi anni. Quanto al saggio di Tafuri, per prima cosa val la pena sottolineare che un panorama organico della materia non era mai stato finora affrontato, se non nel chiuso di certe riviste specializzate, e col pregiudizio di scuola che appunto certe riviste di architettura Caccia ~ll@,.itreghe Stanislav Andreski The syphUitic shock Puritanism, Capitalism and a Medicai factor in Encounter, ottobre 1980 The syphUitic shock A new explanation of the Great Witch craze of the 16th and 17th centuries in the light of medicine and psychiatry in Encounter, maggio 1982 re. Ma questo può avvenire solo se le tecniche medico-geografiche vengono usate con prudenza e circospezione e senza mai far dire loro quello che, con tutta la buona volontà e la più dolce delle sollecitazioni, non sono in grado di dire. Un esempio di uso distorto dell'approccio medico-geografico è quello compiuto da S. Andreski per «costruire» un rapporto decisivo tra la diffusione della sifilide in Europa e l'acutizzarsi della caccia alle streghe. L a tendenza a fare ricorso alla Nel saggio del 1980 il nostro autore «malattia» per spiegare eventi riprende una vecchia idea di D. H. storici altrimenti inspiegabili o Lawrence che attribuisce l'origine del «troppo» spiegabili ha, da qualche puritanesimo all'arrivo della sifilide in tempo, un certo numero di seguaci. Europa. Egli dichiara esplicitamente In questo àmbito, da alcuni scrittori a questo proposito: «lo credo che delle Anna/es É.S.C. (ad esempio Lawrence abbia ragione e che la sua M.D. Grmek, che ha utilizzato i lavo- asserzione possa essere confermata su ri dell'italiano A. Celli) un ruolo di tre terreni: la consequenzialità cronoprimo piano è stato riconosciuto al logica, la plausibilità psicologica e la «paludismo» nei confronti di alcune completa inadeguatezza di ogni spievicende della storia greca e romana. gazione alternativa». Sempre al paludismo italiano è stato Già i criteri enunciati mostrano tutattribuito un certo peso nei confronti ti i limiti dell'approccio delineato da della evoluzione politica tedesca (così Andreski. A prima vista, sembrano Ph. Decourt, Du r6/e du paludisme en insufficienti non solo per una prova ltalie sur l'évolution politique de /'Al- «giudiziaria», ma altresl per una prolemagne, negli Atti del XV Congresso va «storica», anche in tempi nei quali di storia della medicina, Madrid sembra che la ricerca storica confidi 1956). assai più del consentito su paradigmi Al riguardo si citano anche gli indiziari. «scambi» di malattie che ebbero a col- Per sostenere il suo punto di vista, pire il vecch1o e il nuovo mondo, a in questo primo saggio Andreski non seguito della scoperta delle Ameri- compie molti sforzi. Gli basta infatti che. Tra queste malattie sono com- un riferimento (d'obbligo) a Max Weprese la sifilide, che secondo i più fu ber per costruire il suo edificio. Seimportata dall'America in Europa, e condo Andreski, la maggiore originail vaiolo, che dall'Europa fu esportato lità della variante puritana all'interno in America. del protestantesimo per Weber fu un L'impiego della geografia medica ascetismo radicale, che incitava al laper comprendere la storia delle civiltà voro senza pause e alla temperanza, presenta un interesse innegabile e può nonostante il successo economico. essere fonte di apporti utili per allar- Quello che Weber «naturalmente gare la comprensione di certi fenome- non sapeva» è che un «fattore medini sociali altrimenti difficili da spiega- co» rientrava tra quelli che avevano B1bl1otecag1noo1anco dato luogo alla superiorità capitalistica di certi paesi: «In mancanza di dati statistici - egli scrive - noi possiamo solo supporre (ma la supposizione sembra avere molte probabilità di essere vera) che, data la virulenza e la incurabilità della sifilide, una più stretta osservanza della fedeltà maritale e una castità prematrimoniale:: fossero tali da conferire a una famiglia, a un lignaggio, a una regione, a un paese o a una popolazione segnata dalla religione, un vantaggio considerevole in materia di salute e di vigore. Questo fattore potrebbe aver giocato un ruolo nel più rapido progresso dei paesi protestanti, alla stessa stregua che nei confronti aelle minoranze protestanti nelle regioni e nelle nazioni cattoliche. Il 'fattore medico' avrebbe così rafforzato gli effetti delle caratteristiche culturali ( ... ). Né la scienza né la tecnologia né le altre straordinarie caratteristiche della civiltà occidentale si sarebbero potute sviluppare senza il ca,italismo. E ora sembra che tra le circostanze che hanno aiutato la sua nascita un 'fattore medico' oscuro - la sifilide - abbia giocato un ruolo importante. Questi sono i sorprendenti misteri della èausazione sociale nella storia». S e in tema di rapporti tra capitalismo e sifilide gli argomenti addotti sono assai scarsi, assai più numerosi sono quelli invocati da Andreski per «spiegare» il rapporto tra la diffusione della sifilide in Europa é'la caccia alle streghe, o, meglio, la dilatazione di questa «caccia» nel XVI e nel XVII secolo. Andreski riporta un elenco minuzioso delle spiegazioni più diffuse sulle ragioni della «caccia». Le seguiremo brevemente in questa rassegna. per avere. al termine, un quadro più completo della situazione. Claudia Honnegher (Die Hexen der Neuzeit, Frankfurt, Suhrkamp Verlag, 1978) attribuisce la «grande caccia» al desiderio di indebolire il potere femminile nel tentativo di rafforzare il patriarcato. (Secondo le statistiche di alcuni storici, infatti, le vittime di sesso maschile costituiscono il 1015 per cento soltanto). Un'interpretazione più economicistico-psicoanalitica è quella di Keith Thomas (Religion and the Decline of Magie, London, Weidenfeld and Nicolson, 1971) che attribuisce la «caccia» allo scarso spirito di solidarietà verificatosi nelle campagne a seguito dell'intervento capitalistico. Secondo Thomas, l'arricchimento di una fascia della popolazione avrebbe indotto le persone incluse in questa fascia a fare delle «proiezioni» causate da inconsci sensi di colpa sopraggiunti con l'inaspettata ricchezza. Sul conflitto di classe è invece basata la tesi di Jeanne Favret (Sorcières et Lumières, in Critiquevol. 1:7, 1971)che vede la caccia alle streghe come un fenomeno determinato dalla paura dei giudici spaventati dall'emergere di una controcultura, vista come sfida della classe povera alla cultura ufficiale. Più antropologica è la visione del fenomeno da parte di Alan Macfarlane (Witchcraft in Tudor and Stuart England, London, Routledge and Kegan Paul, 1970): egli nega qualsiasi «costruzione» dall'alto della caccia in quanto la ritiene un processo quasi naturale, insito nella società e con radici antiche. Macfarlane analizza l'uomo moderno dell'Africa contemporanea e ritiene che, contrariamente a quanto potrebbe sembrare, egli indulge alla stregoneria molto più dell'uomo che si muove all'interno della propria cultura tribale e che ignora società di tipo più complesso. Macfarlane trasferisce questo schema nell'Inghilhanno da noi. Detto questo, resta da ribadire il basilare concetto tafuriano di una pratica, quella dell'architettura, che si rivela come tipico luogo di conflittualità ideale e come cartina di tornasole di più grandi movimenti di pensiero. È a partire dai singoli microprocessi che Tafuri risale ai movimenti: non dalle poetiche, non dai manifesti, e tanto meno dalle ideologie. Il lettore non professionista si stupirà, poi, della grande competenza mostrata dall'autore non solo in campo artistico e storico-sociale, ma anche in quello del cinema, dello spettacolo, delle comunicazioni di massa in genere, che tutti affiorano dal saggio come in una sorta di intricato tessuto intertestuale. Ecco: all'idea di un tessuto, da indagarsi con lente di ingrandimento, ci si può con pertinenza riferire, spiegando così la ragione dell'essenza di un concetto come quello di «avanguardia», troppo metafisico e impreciso. Anche qui val la pena ricordare che l'operazione è derivata: già ne La sfera e il labirinto, infatti, l'autore si era esercitato nella sua eliminazione. In conclusione, un volume complesso, che meriterebbe ben altra discussione che non queste brevi note. E che, se da un lato va salutato con soddisfazione per l'indubbia profondità di alcuni contributi, dall'altro lascia ancora qualche appetito sulle esperienze che, non d'avanguardia ma almeno «sperimentali», anche in Italia nel corso del secolo si sono succedute. Un volume ottimo per ciò che sancisce, insomma. Meno felice per ciò che ancora è movimento. terra del Seicento e conclude che la nascita del capitalismo ha portato anche nei villaggi una maggiore tendenza alla conflittualità, nel cui àmbito ebbe a trovare spazio una più decisa inclinazione alle pratiche stregonesche. H. R. Trevor Roper (The European Witch-craze of the Sixteenlh and Seventeenth Centuries, in Encounter, maggio-giugno 1967) dà invece più importanza ai mutamenti, agli squilibri e alle emozioni causate dalle devastazioni delle guerre di religione che si susseguirono più violentemente in Germania, paese che infatti vide le più cruente persecuzioni delle streghe. I violenti turbamenti e le forti sensazioni provocate dalle distruzioni avrebbero spinto la gente a lasciarsi andare, guidata dalle sue superstizioni, alla ricerca di capri espiatori (eretici e streghe). Accomunate da «colpe» comuni, le vittime venivano bruciate con l'intento di «purificare,. il mondo. Egli ritiene che, anche se l'avvio si ebbe in Spagna, mai nessun altro paese vide tanti roghi quanti ne vide l'Europa del Nord. È una tesi ripresa da Ronald Vanelli (The Politicsof Danger, Ph. D., tesi presentata all'Università di Reading), per il quale una possibile spiegazione di questa persecuzione va vista nel de- '0 siderio di alleviare le tensioni genera- " dai fl .!:; te • con itti. Il meccanismo perse- ~ cutorio e repressivo nei confronti di e,. alcuni capri espiatori diminuirebbe la ~ paura che la gente ha di veder sminui- -. re od offuscare il suo status e potere. J; Margaret Murray (The Witch-Cult !j in Western Europe. A Study in Anth- ~ ropology, 1921), infine, presenta il " problema come un'altra sfaccettatura ~ della lotta per il potere. La «caccia~ ::: fu voluta dalla Chiesa quale tarda ~ vendetta contro i residui di una reli- §, gione precristiana. (Le pratiche degli è;
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