Unastoriadell'arteitaliana Autori vari li Novecento «Storia dell'arte italiana» voi. 7 Torino, Einaudi, 1982 pp. 695, lire 85.000 E sce l'ultimo volume della monumentale Storia de~'arte italiana, dedicato al Novecento ( è l'ultimo cronologicamente parlando, ma non è l'ultimo della serie pubblicata), e il sottoscritto, con buona dose di ingenuità e (mi dicono) di coraggio, si accinge a tentare di discuterne alcuni capitoli, sia pur prendendo le mosse da punti di vista laterali e non da specifiche competenze. Ma, subito, ecco il primo problema. Non si può discutere questo singolo volume senza prima partire da qualche osservazione sull'intera opera. Perché questo volume, con la sua struttura interna, riflette e prosegue un'impostazione generale, dalla quale non si può assolutamente prescindere per qualsiasi forma di giudizio. Ed ecco allora un secondo problema, quasi insormontabile. Come si può, nel breve spazio di una recensione che oltretutto vorrebbe contenersi al solo Novecento, sdottorare su un'impresa scientifica che, per la qualità dei suoi partecipanti, per la mole degli interventi, per l'ambizione della veste editoriale, si propone come punto di riferimento per tutta una generazione di studi in materia? In questa chiave, io credo, va anche letta una marginale constatazione: che la Storia de~'arte italiana, pur dotata di un discreto successo di pubblico (stando almeno ai si dice), non ha avuto una parallela fortuna critica, ed è stata, vuoi per polemica vuoi per correttezza, piuttosto ignorata dalle pagine culturali della stampa d'opinione. La faccenda è perfino ovvia: l'opera, proprio per il modo con cui si presenta, non può evitare di essere etichettata come «lavoro di squadra», non nel senso cooperativo del termine ma piuttosto in quello sportivo: un lavoro che nel suo farsi detta le formazioni di ruolo, e contemporaneamente indica implicitamente gli avversari o le riserve - scatenando con ciò il silenzio stampa degli esclusi e la malcelata indifferenza degli avversari. Intendiamoci, la cosa non è forse colpa di nessuno. Si tratta semplicemente della fotografia di una situazione non solo italiana nel campo degli studi sull'arte, ma che comunque in Italia è 1bl1otecag1noabnca Omar Calabrese ancor più vistosa, quasi che in ballo non ci fossero semplicemente scontri sul metodo e sugli oggetti della storia dell'arte, ma un qualche tesoro o premio nascosto che a ben guardare invece non c'è. M a lasciamo stare i marginalia, pur rivelatori di una situazione poco allegra dell'organizzazione degli studi. E veniamo a un secondo elemento di riflessione che pure scaturisce dalla veste e dalla formula dell'impresa einaudiana. Questa si presenta al mercato come una Storia dell'arte destinata a un'area geografica, l'Italia. Si presenta insomma, apparentemente, come un oggetto continuo nello spazio e nel tempo presi in esame. Ma la sua impostazione è invece esattamente l'opposto. Quasi a dimostrare una vaghissima parentela con l'altro megaprogetto einaudiano, l'Enciclopedia, anche l'arte appare improntata non a uno schema chiuso, deterministico, cronachisticamente causale, ma a un'idea aperta di organizzazione del sapere. E per questo improntata alla discontinuità: alla scelta di momenti e oggetti non lineari nella storia dell'arte, di cui si ricerca l'approfondimento di volta in volta tematico, metodologico, filosofico, ideòlogico, formale piuttosto che la sintesi vulgata e definitiva. Insomma: una storia di problemi all'interno di una ideale Kulturgeschichte, di cui si scelgono momenti emblematici e a loro volta produttori di altri e successivi problemi. Ipotesi senza dubbio moderna, questa, e a ben pensarci in perfetto sincrono con l'intero catalogo einaudiano in materia, ma che nel caso specifico mi sembra abbia portato a una serie di inevitabili contraddizioni. Prima contraddizione: non tutti i saggi sono aderenti al progetto. Nel senso almeno che, mentre in certi casi abbiamo elaborazioni di altissimo livello scientifico improntate alla scoperta o all'indirizzo di ricerca o alla sintesi secondo un taglio epistemologico, in altri casi abbiamo invece poco più che degli state of art di tipo divulgativo, e in altri ancora degli studi particolaristici su oggetti nient'affatto emblematici o metodologicamente rilevanti, ma casualmente messi insieme a seconda dell'interesse attuale dello studioso (citerei su tutti il volume dedicato ai centri minori italiani, con contenuti più adatti alla rivista specializzata che non a un tomo del respiro prima descritto, e con la possibilità di far compiere al lettore non addetto ai lavori delle inferenze pericolose sul piano dei contenuti generali). Seconda contraddizione, strettamente legata alla prima: la Storia del- !'arte italiana, appunto in ragione della sua veste, non definisce esattamente il proprio pubblico. E pertanto, mentre sembra presentarsi-come uno strumento di sistemazione definitiva di una certa area di sapere, al contrario si struttura come una ricca (e talora eccellente) raccolta di saggi specifici. Come una collana. Come una collezione. Di qui l'impossibilità di darne un giudizio complessivo, e l'imbarazzo del doverla trattare appunto per quel che è: un'antologia di scoppiettanti o meno brillanti testi individuali. li che da un lato ti fa dire la verità sull'oggetto, ma dall'altro ti fa pur sempre mentire, ti fa svalutare anche certe innegabili qualità di impostazione, come la suddetta (illuministica) premessa epistemologica del non poter più credere, oggi, a una storia di qualsiasi oggetto del sapere, e del dover invece credere a una molteplicità di storie. Ma, allora, terza contraddizione, quasi per corollario. li credere a sto-
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