Alfabeta - anno IV - n. 42 - novembre 1982

Sociologidaellager Margareta Glas-Lanson lc:hwill reden Tragik und Banalitat des Ùberlebens in Theresienstadt und Auschwitz edito e commentato da G. Botz Wien, Verlag Fritz Molden, 1981 Il Come fosse Auschwitz lo san- '' no solo i deportati. Nessun altro. Perché noi non possiamo pensarci nella loro situazione, perché la misura del loro soffrire va al di là di ogni idea fino ad oggi esistente e perché non riusciamo neppure ad avere un'immagine umana degli immediati colpevoli, per questo Auschwitz è un inferno e i colpevoli sono demoni ( ... ). Solo che Auschwitz non era l'inferno ma un campo di concentramento tedesco» (Martin Walser, 1965). Un inferno costruito a cerchi concentrici, circondato da fili di ferro e controllato da torri di guardia, popolato da cadaveri e da una folla di esseri umani riconoscibili attraverso i numeri tatuati sul corpo e i distintivi di diversa forma e colore. Dove il genocidio si è attuato su scala industriale (milioni di persone nelle camere a gas), dove di notte il cielo si arrossava per il fuoco e il fumo che usciva dai camini del crematorio. AuschwitzBirkenau: luogo di morte dove le SSe i loro fidi esercitano il terrore e l'arbitrio assoluti secondo regole inverosimili che hanno una loro leggibile logica interna. Ma anche luogo dove si è vissuto e persino sopravvissuto. Come? Chi è sopravvissuto e perché? Una voce, a distanza di trentacinque anni ancora fresca, vivacissima e incisiva, ci descrive i caratteri tragici e insieme banali delle strategie di sopravvivenza nel lager. Margareta Glas-Lanson è passata attraverso tutte le tappe del processo di genocidio. Da Zwickau, nella Boemia del nord, dove viveva con il marito invalido (aveva perduto una gamba in un incidente di caccia) ed elegante proprietario di una fabbrica di cinquecento operai, fugge a Praga al momento dell'occupazione nazista. Nel 1941 è imprigionata dalla Gestapo, mandata a Theresienstadt e poi nel campo di Auschwitz-Birkenau, dove viene liberata dai russi nel 1945.Oggi Margareta Glas-Lanson vive di nuovo a Vienna, dove è nata nel 1911. La sua lunga intervista, condotta con rigorosa accortezza filologica e di metodo e introdotta da un lucido saggio di Gerhard Botz, è un documento di straordinaria forza e intensità. La sua storia è quella di un intreccio strettissimo tra particolari qualità e capacità individuali, nate e sviluppate in un precedente ambiente favorevole, e le strutture interne del lager. Questo intreccio ha consentito la sopravvivenza, accanto a qualche imprevedibile mossa della fortuna che gioca anche nel rigido sistema di distruzione nazista. La sua è una storia esemplare solo in questo senso, perché permette di intravvedere e di capire meccanismi e strategia della sopravvivenza secondo uno stile diverso da quello che spesso fino a oggi i sopravvissuti avevano testimoniato. significativo anche quando, in prigione a Praga, verrà sottoposta alla prima inumana punizione. I valori estetici, affettivi e sociali sono nella sua personalità prevalenti: non per caso si appassiona alla cosmetica (senza immaginare che questa sua abilità le risparmierà più di una volta la vita}, mantiene un aspetto attraente che ha un'evidente risonanza sociale, in ogni occasione - anche nelle più terrificanti - protegge il marito fino alla fine della loro disperata odissea, suscita amicizie e affetti a ogni passo. Margareta Glas-Lanson non è una sentimentale: è una persona intuitiva, energica, rapida, che sa tenere una condotta pragmatica e non indulge mai né al lamento né alla retorica o alla violenza. L'amicizia, la solidarietà e finalmente l'amore femminili diventano sostegni decisivi nel tragitto verso la distruzione. Nella prigione di Praga Margareta vive nella cella con un M argareta è figlia istruita e ben gruppo di donne, tutte diverse tra loeducata della piccola borghe- ro per status sociale e per origine etnisia ebraica viennese, tirata su ca, che nella situazione data riescono piuttosto alla cattolica. Il matrimonio, a dare vita a un gruppo omogeneo e che è anche una forma di promozione solidale. sociale, la trasporta in Boemia in un Sarà proprio un'appartenente a uno !;ò! ambiente molto conservatore, au- di quei gruppi etnici che i nazisti han- :! striacante, addirittura antisemita. Al no annientato, una zingara, a inse- ~ marito piacciono le bionde, e la gra- gnarle il gioco delle carte che le attire- l ziosa Margareta si tinge i capelli : se li rà il rispetto degli aguzzini. I ricordi I tftigt'.lt'é°C~ gn--dicrrJi a rft;òuna funzione primordiale, soDelia Frigessi Castelnuovo no fili che ricuciono la stoffa lacerata del tempo: le ragazze della prigione praghese ricordano i cibi preferiti, le ricette; nella cella si cantano nuove parole su vecchie canzoni; nel lager si rammemorano le letture preferite e le figure amate dell'infanzia. Due sono le più atroci mancanze per i prigionieri: la mancanza di cibo, la fame più assoluta, e la mancanza di calore e di tenerezza. Chi riesce a colmare almeno in minima parte questa sua duplice fame, ha maggiori probabilità di sopravvivere, di sfuggire alla selezione mortale. Con franchezza e senza riserva, anche se con pudore, Margareta racconta brevemente dei rapporti amorosi tra le donne - e naturalmente anche gli uomini ne intrattenevano con persone del loro stesso sesso nei rispettivi lager e nelle prigioni. Di questi rapporti omosessuali Margareta mostra, con profonda ragione, la necessità e la funzione affettiva. Sono cose magari risapute n'ùièlirado ricordate con altrettanta schiettezza. E sono tratti importanti perché lacerano intorno ai protagonisti dell'olocausto l'aura intoccabile della sacralità, li rendono più fragili e finalmente più vicini a noi. Questa umanizzazione delle vittime si rende evidente nella non omogeneità dei comportamenti o - come ci dice lo storico - nelle differenti strategie di sopravvivenza. Margareta Glas-Larsson vive le situazioni più gravi ed estreme dei deportati. Le qualità, la disposizione personale e la fortuna la fanno molto rapidamente ascendere dai più pressanti pericoli di morte all'aristocrazia dei funzionari - i cosiddetti «Prominenten» - che nel lager di AuschwitzBirkenau sono liberati dal lavoro per diventare responsabili, di fronte alle SS. dell'andamento del campo. Al di sotto di questa élite - che era formata dai più vecchi, dai kapos, dai medici, qualche volta anche da parrucchieri o sarti, e a cui era facilitato l'accesso ai beni materiali (cibo, dormitori separati, alcune medicine) e non materiali (contatti tra deportati, amicizie)-stava il 90 per cento dei detenuti «normali» o malati che vivevano senza scampo le condizioni catastrofiche dei campi. Quando Margareta Glas-Larsson giunge in uno dei famosi treni al lager, le probabilità di morte nel campo sono di due su tre. L'intervista ci suggerisce che si può sfuggire alla distruzione soprattutto grazie a un rapido processo di adattamento, e che questo adattamento per essere efficace deve anche avvenire con il minimo possibile di errori. A sua volta, questo comportamento che coglie nel segno è reso possibile da un'illimitata fiducia in se stessi, da una volontà di vivere indistruttibile, che consente di stare alle «regole del gioco» instaurate nel lager. L a vita dei «Prominenten», come Margareta ce la racconta dopo essere entrata a far parte del personale medico del campo, sottostà a una regola particolarmente perversa: la collaborazione alla propria distruzione, che in cambio garantisce alcune possibilità di sopravvivere. Il campo funzio- - na come una macchina, nella stretta interdipendenza tra assassini e vittime, tra SS e deportati; il suo prodotto sono i prigionieri, vivi o cadaveri. Nel lager, si formano clientele e cricche, che nascono per esempio dal commercio, molto intenso, al quale partecipano anche le SS; si consolidano gruppi d'interesse che operano per aggiudicarsi posti, funzioni, per proteggersi con i propri componenti. A volte sono organizzati per nazionalità o per classi (politici, o ebrei, o criminali), e sempre le SS li usano per giocarli gli uni contro gli altri. Vita e morte dei detenuti dipendono dalle lotte tra questi gruppi d'interessi. Ad esempio, l'intervistata ci spiega in dettaglio la rivalità tra personale medico delle SS e le detenute che sono preposte alla selezione delle malate in un luogo che appare una vera stazione di transito verso la morte. In più d'un modo le responsabili potevano ritardare o agevolare la selezione, che avveniva non sulla base di diagnosi mediche ma attraverso simpatie e antipatie: le aderenti al proprio gruppo erano sem- ..,-_, pre più «sane» delle altre. La rete di rapporti intrecciati dai detenuti è una chiave per comprendere quali siano state le condizioni sociali della sopravvivenza nel lager. Solo quando questa rete sostiene, solo fino a quando la volontà di combattere per vivere non si spegne, c'è un lume di speranza. La nipote di Mahler, Alma Rosé, che dirige la cappella di musica del campo (e la musica risuona in tutto il lager quando brucia il camino del crematorio), non ha volu- ..., to o potuto più sopportare, racconta ~- Margareta Glas-Larsson. L'entrata nel sistema infernale del campo costringe a cambiare il proprio comportamento, che può sboccare nella solidarietà, nella coscienza politica (Margareta ci dà un bel ritratto di una comunista), oppure nella lotta per la sopravvivenza individuale o nell'assuefazione alla crudeltà, nell'indifferenza di fronte alla morte. Margareta ha un'esistenza non-politica e forse proprio questo - ci suggerisce il curatore dell'intervista - le ha consentito tanta flessibilità di fronte a ogni situazione nuova e un occhio cosl acuto e freddo nel cogliere le debolezze dei nazisti. Il ritmo, il senso interno di questa esistenza sembra consistere piuttosto in un gioioso amore per i contatti umani, in «quella solidarietà dei contenuti della vita con la vita» cui accennava Simmel. Dalla lettura della sua storia di vita, nata da ricordi che hanno filtrato probabilmente la tragedia, nascono moltissimi interrogativi e tra di essi quello, cruciale e destinato a rimanere senza risposta, che riguarda il percorso mentale, politico, sociale di coloro che non sono sopravvissuti. Malgrado i limiti, che una storia e un caso individuale non possono non avere nei confronti di tragedie che sembrano rimettere in causa la nostra conoscenza e le nostre valutazioni della natura umana, le parole di Margareta GlasLarsson aprono un varco penetrante sui margini ancora identificabili della nostra salvezza e della dannazione.

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