Israele, I' eb~fjJdeglistati? ' E noto quali enormi forze oggettive usino da sempre i popoli, anche quelli ebraico e palestinese, come strumenti; ed è noto che per le superpotenze il Medio Oriente è il laboratorio della guerra prossima ventura. Tuttavia, in un articolo che è un riscontro «politico,. della posizione che chiede agli ebrei della diaspora di dissociarsi, in quanto ebrei, da Begin («Il sangue di Palestina sulle mani del popolo dei giusti", nel manifesto, supplemento, 22 luglio 1982), Rossana Rossanda, che pure di solito pensa en marxiste, tende chiaramente a sottovalutare i nefasti provocati in questi paesi ex coloniali dalle potenze: «li conflitto del Medio Oriente - scrive ad esempio - non si lascia, come altri, analizzare in puri termini di scontro fra interessi, più o meno controllati dalle superpotenze,._ Ciò la porta anche ad enfatizzare problemi etnici, religiosi, nazionali, cioè un non meglio precisabile «nazionalismo possentemente incrociato al fattore religioso,. (ivi). Le pagine seguenti intendono sviluppare la tesi che determinante è stato ed è, invece, il ruolo delle potenze ( ... ). I oooOitti arabo-israeliani e la questione postcolooiale C'è qualcosa che stona, per la sinistra, nella sottovalutazione del ruolo delle superpotenze, e nel ricorso come elemento esplicativo a due nazionalismi religiosi ostili. E questo qualcosa balza evidente se si confronta quest'analisi con quella che ebbe larga eco, ad esempio, in occasione dei massacri in Uganda, nel Biafra, nell'ex Congo Belga, ecc. In quei casi, le lotte cruente e spietate, quando non i genocidi, tra popolazioni africane che differiscono per struttura sociale, lingua, ecc., vennero imputate interamente alle potenze coloniali che, mercanteggiando assise a Versailles i confini dei propri possedimenti, avevano brutalmente ignorato le realtà locali, creando tutte le premesse politiche per gli attuali conflitti. Noi europei non ci soffermiamo volentieri sul significato atroce che sottostà alle correnti definizioni di africano anglofono, francofono, ecc. I confini di quegli s0tati coloniali sono stati spesso tracciati con squadra e matita, dividendo cinicamente popolazioni e agglomerati socio-politici con base territoriale naturale. E quando il paleocolonialismo è finito, ha lasciato in eredità, con le spoliazioni e la miseria, guerre. Anche per popoli più evoluti di quelli dell'Africa centrale quest'imputazione alle potenze ex coloniali è sempre stata fatta, ad esempio per le guerre che hanno dilaniato la penisola indocinese, o quelle del sub-continente indiano. La sinistra - e spesso non solo la sinistra - ha sempre ritenuto che il sangue sparso io quei conflitti tra paesi ex coloniali ricadesse soprattutto sugli antichi padroni. Ma qui, ove si tratta degli scempi che essi provocano sulle rive del Giordano, quella diffusa valutazione dei guasti lasciati dal colonialismo, poi alimentati dal neoimperialismo delle superpotenze, viene in gran parte meno. Invece, anche i conflitti medio-orientali sono attivamente alimentati dalle superpotenze, che io quello scacchiere si fronteggiano in modo più ravvicinato che altrove; e, in subordine, anche da costella- ·o i ·nori ma pu f re potén~ come la Comunità europea, che in quel bacino energetico ha interessi vitali. I fini delle superpotenze sono il punto dal quale prender le mosse per capire ciò che accade in Medio Oriente, non dimenticando mai che non è pro bono pacis che gli Usa armano Israele come l'Urss arma la Siria e - non si abbia paura di dirlo - anche l'Olp; che la dinastia hascemita è stata insediata dagli inglesi; che i grandi produttori di petrolio del Golfo sono legati agli Usa; e, soprattutto, che basta guardare la carta geografica per vedere che. anche in Medio Oriente. i confini sono stati spesso tracciati con squadra e matita, secondo gli interessi delle potenze - ciò viene spesso sottovalutato (cfr. ad esempio la sottovalutazione di Maxime Rodinson, nell'intervista della Rossanda, il manifesto, 13-14agosto 1982). Solo in questo quadro postcoloniale si comprende come mai un paese con appena qualche milione d'abitanti e un'economia in bancarotta (paragonabile a quelle argentina e polacca, con un indice d'inflazione vertiginoso) disponga di un armamento modernissimo. Reagan lo arma perché di fatto lo considera un proprio reparto avanzato, con in più il vantaggio di scaricare tutte intere su Israele anche - fe pro rie responsabilità. Tutto ciò, e molto altro simile, dovrebbe costituire la base di un appello. Molto spesso ci s'imbatte invece in una sopravvalutazione dell'«autonoma,. forza militare israeliana, mentre pure è di palmare evidenza che il governo Begin non potrebbe durare un giorno senza le forniture di armi, i crediti e i sussidi Usa. Ma spesso non si parla neppure del «governo Begin», o dei «governi israeliani», ma senz'altro del «sionismo»(il che, mutatis mutandis, sarebbe all'incirca come parlare di «socialismo» per la politica di Jaruzelski), quando non addirittura degli «ebrei» (o. in forma più altisonante, del «popolo dei giusti»). Mentre Begin ha invece una maggioranza risicatissima, non rappresenta affatto «gli israeliani,.; e gli israeliani in ogni caso non sono gli ebrei, ma degli ebrei, e alla sinistra in ogni caso compete di operare una netta distinzione tra un regime e il popolo Cltè Prlitendè' ' di rappresentare, anche se si tratta di un regime frutto di «libere elezioni». «Questione ebraica,. e classismo Per tornare all'Italia: quanti film, libri, dibattiti sono stati fatti per sostenere che i battaglioni italiani che invadevano l'Urss erano composti anch'essi da vittime, alle quali bisognava perdonare· perché non sapevano quel --che faceva·no? Delle f00.000 gavette di ghiaccio e dei sergenti nella neve è stata fatta addirittura un'epopea di sinistra, imbastendo un filo rosso che collegherebbe la steppa russa alla montagna italiana, in un'unica guerra dei poveri. Perché dunque a volte gli stessi che hanno patito con un popolo invasore e straccione, spesso massacratore ma non inesorabilmente colpevole da Crispi a Mussolini, chiedo:- no ora al popolo ebraico di essere, in quanto tale, esso solo giusto tra tutti? Può essere - come quello italiano e tutti gli altri - innocente, ma giusto no. È dunque soprattutto quest"altro concetto che si è annebbiato: che pur essendo i popoli, in quanto tali, innocenti sempre (persino, e a volte costa fatica ammetterlo, il popolo tedesco durante l'olocausto), tuttavia non essi sono i protagonisti della lotta per la giustizia, l'uguaglianza, la fraternità. ·'Sòntl~come dire, l'eccipiente naturale di questa lotta, che però ha i suoi effettivi protagonisti solo nelle classi. Vi è un solo attore storico i cui interessi reali siano anche morali, per il quale i due ambiti coincidono, e che, liberando sé, libererà tutti - ed è la classe di coloro che sono socialmente oppressi e sfruttati. Questo concetto trova una delle sue prime elaborazioni proprio nella Questione ebràicii"di Marx, te.sfoche, nonostante espressioni aforismatiche spesso molto infelici, ritengo abbia questo significato di fondo: che anche gli ebrei saranno liberi solo quando il proletariato renderà liberi tutti. Sino ad allora, per-una serie estremamente complessa di motivi, gli ebrei paiono destinati a restare un caleidoscopio delle contraddizioni della società. Concetti come «popolo dei giusti», «nazione ebraica» e «nazione palestinese», «fattore religioso complicante», ecc., non sono quindi assolutamente euristici, e anzi prestano il fianco a equivoci, aprendo la porta a considerazioni implicite poco chiare, anche se non sono nell'intenzione di chi ha scritto. Ad esempio: se dunque nemmeno loro sono giusti, che la •~ piantino di fare i grilli parlanti della altrui cattiva coscienza. Ma furono gli ebrei a ergersi a grilli parlanti, o è stata l'altrui cattiva coscienza a dare una voce al loro silenzio? Che se ci fu un atteggiamento che caratterizzò per secoli e secoli la diaspora perseguitata, è stato il mansueto silenzio della sua disperazione. Questa del «popolo dei giusti», e della miscela tonante tra individualità collettive e fattori religiosi, è un'interpretazione corrotta (ancora in senso aristotelico) di un punto fermo della ' «nuova,. cultura di sinistra, dopo i salutari ma amari disinganni di un'ideologia pseudoclassista e panglossiana degli anni trenta-cinquanta, che si gabellava capace di spiegare tutto con le stesse formule trite e ritrite. Punto fermo che certamente sarà una componente stabile dei prossimi movimenti per la liberazione e l'emancipazione sociali, e che si riassume in questo: difendere con convinzione e accanimento, sia teorici sia pratici, le realtà minoritarie. Gli antecedenti storici di questo .,. amore per le minoranze religiose, nazionali, sociali, ecc., sono scarni, e si trovano nel leninismo appena al potere (che riconobbe le differenti nazionalità sovietiche, l'indipendenza della Polonia e della Finlandia, emancipò, seppur imperfettamente, gli ebrei, ecc.) e in alcuni tratti costanti del maoismo, soprattutto nella critica del mito che il comitato centrale, o addirittura solo la sua maggioranza, abbiano sempre ragione. La difesa a oltranza di un pluralismo reale, alimentato dai diritti di minoranze nazionali, religiose, sociali non integrabili (come gli zingari), rese vitali da culture cosiddette subalterne, folcloriche, underground, via via sino allo sforzo di dare una voce politica ai sommovimenti profondi per la liberazione dell'altra metà del cielo, alle richieste degli handicappati, alla difesa «verde» di habitat storico-naturali, al pieno riconoscimento dell'alterità corporale degli omosessuali, tutto ciò è esperienza teorica e politica quasi del tutto nuova. Tuttavia si è già potuto constatare che questo pluralismo non ostacola mai, anzi sempre favorisce l'uguaglianza tra i diversi, dato che è da un amore per il diverso che nasce. Di questa conquista teorica, si può ben dire, della «nuova» sinistra, la tesi quasi neodarwiniana che interpreta «popolo» e «bellicosità nazional-religiosa» come concetti che si sovrappongono, o quasi, è una distorsione. E l'assimilazione tra bellicosità delle nazioni e carattere dei popoli viene a coinc\9_erecon la:sottovalutazione del • ruolo-svòltodalle· pòtènZe coloniali ie- ,_.
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