Riassumendo: perché l'arte esista, bisogna che l'idea della cosa venga data da un'altra cosa. Ne deriva il seguente paradosso: un'arte non è completa se 11011 è parziale. Per chi, come me, ama le citazioni, eccone due: Les parfums, les couleurs et les sons se répondent'. Le monde est en entier présent dans chaque objet'. (1942) Questo articolo apparentemente chiaro, che sembra imprigionare l'oggetto preso in esame, mi inquieta. Forse cerca di dimostrare un'idea che è ancora nell'anticamera del cervello. Certo, è affascinante immaginare il Cosmo assediato dalle arti, di cui ognuna, bussando alla porta che le è riservata, offrirebbe il cuore per fare da bersaglio ai suoi colpi di ariete. Ma questo soggetto merita altrettanta riflessione che audacia. Ripropongo tuttavia questo articolo proprio per i suoi punti di sospensione. (New York, IOmarzo 1962) Rapporto fra mimo e parola Prima ipotesi. Se un buon lavoro fa scorrere davanti a me il suo efficace flusso di parole, io sono in stato di ricezione letteraria. Che improvvisamente appaia un Mimo, e lo replllerò bizzarro. Se poi, quando comincio ad abituarmi al suo modo di recitare, torna la parola, allora sarebbe essa una cosa bizzarra. Non è possibile alternarefelicemente una lunga scena esclusivame111everbale e una lunga scena esclusivamente mimica. Seconda ipotesi. Ma è possibile mescolare il mimo e la parola? - Sì, quando ambedue sono poveri, perché allora l'uno completa l'altra. Private della musica, le parole di 1111 motivetto allegro sembrano povere; lo stesso vale per la musica di quella canzone senza le parole. Dunque, è possibile mescolare parole e mimo, a condizione che siano poveri. Terza ipotesi. Ma 11110 dei due 11011 può essere ricco? - Sì, nella misura in cui il secondo è povero. Detto altrimenti: Quando due arti si presentano insieme, una deve retrocedere quando l'altra avanza, e viceversa. Ma 11011 avendo assolutamente coscienza dellepossibilità del Mimo, nessun autore può scrivereparole volutamente povere e buone, vale a dire la cui povertà sia proporziona/e alla ricchezza intravista nel Mimo. Perciò il Mimo deve astenersi ancora per lungo tempo dallo scivolare in opere di letteratura drammatica e rinunciare al vantaggio di rifugiarsi dietro il nome di grandi scrittori. (1946) Dosaggio del mimo per l'attore Per quanto concerne l'arte dei gesti, s1 e potwo osservare la goffaggine di 1111 attore, deplorare in w1 altro, e ancora di più, l'inopportuna destrezza, venire soddisfatti da 1111 terzo che unisce contro di noi bruttezza e contrattempo. In altri termini, abbiamo potuto vedere che l'artista che compie il gesro dove è necessario, lo fa male; che un altro che lo fa bene, lofa quando non bisogna farlo; che un terzo, non contelllo di muoversi a sproposito, si muove in modo diverso da quello convenwo, nel caso che il gesto fosse convenuto; ... che l'atteggiamento 11011 è il migliore. Ecco dunque i problemi che si pongono all'attore nel campo del mimo: Come compiere il gesto? Quando compierlo? Come costruire l'atteggiamento? Quando costruirlo? Poiché un articolo, anche se lungo, non è un corso per corrispondenza, qui non darò a queste domande una risposta pratica o precisa, e per me sarà sufficiente schiudere un orizzonte. È la natura del testo a decidere su~'opportunità del movimell/o corporeo. La frase, si dice, è l'espressione di una idea completa. Senza dubbio, ma 11011 sempre di quella che si ha e che si vuole comunicare. Al contrario del romanziere, il dramma111rgosi sforza di non dire tutto ciò che pensa attraverso le parole. Qui toglie un aggettivo che completava di senso l'idea del sostantivo che aveva e ancora ha, là toglie un avverbio che completava di senso l'idea che egli aveva del verbo... perché è ali'attore che egli affida una parte del lavoro espressivo. L'attore, che si definisce interprete come si direbbe intermediario o mediatore, è LIII awore di mL1Sicadrammatica: quella che egli compone, pur senza scriverne le note, sulle parole di colui che viene detto autore. Di quali mezzi dispone l'attore sotto il nome di dizione? - Ne ho rrovariquattro: I. L'inflessione. Alcuni dicono l'intonazione, ma è un po' ridwrivo perché al piano 11011 si può riprodurre l'inflessione. Da una tonaliràali'altra il pianista non fa nulla, mentre l'attore qualcosa fa. La sua voce segue una linea inflessa. È una curva ora concava ora convessa, che si appoggia su una tonalitàper arrivarea un'altra. La chirarrahawaiana ne rende un po' l'idea. 2. Inoltre l'attore imprime al suo eloquio una velociràcalcolata: qui la sua recitazione è più rapida o più lenta che altrove, i suoi silenzi sono più o meno lunghi. 3. All'eloquio, ancora, egli imprime una certa forza fisica. Può essere una spinta esplosiva o /e111ae regolare, o un rigonfiamenro seguito da una depressione... A volte, vien da pensare al paracadute-giocattolo che lanciato verso il soffitto ricade dolcemente; al nuotatore che proiettato dalle gambe SI eleva nell'acqua come altri vi scenderebbero; al flusso e riflusso inesorabile del mare. 4. L'attore, infine, aggiunge l'espressione della propria voce; questo concetto è più difficile da far capire, e infatti 11011 è questo aggiungere che esprime realmente quanto ho detto? - Finora si è trattatosolo dell'espressione mediante la voce e non di quella detta voce. La linea melodica che crea l'attore, la sua velocità e la sua forza sono prodotte dalla sua voce, ma l'espressione intima della voce in questione resta un elemento in più. Di due attori che recitano in modo simile: l'uno fa fremere, l'altro ridere. E anche fra voci che hanno in fatto di timbro, di intensità e di rotondità, eguali qualità, nessuna può essere divertente o seria a piacere di chi la possiede. Nella mL1Sicapropriamente detta, il violoncello svolge una funzione che la tromba non svolge mai e meno ancora lo zufolo, anche se tutti e tre suonano la stessa aria. E con queste armi che cosa fa l'attore? - Molte cose, certamente, se si ripensa a ciò che fa la vera musica con l'innalzamento, la rapidità, la violenza o col loro contrario. Ma sul piano grammaticale, da che cosa viene sostituito /Lutoquesto? - Dall'avverbio e dall'aggettivo, per esempio. L'avverbio infatti, di modn (' di ,111w11ittì tlfrl' la t•n"i"lfl' dli' \I. NH'lt,· a farr n a ll}lllltllt', il clulurc d1 .,11/n,e ,,,,, 1111( /,e,, lUll/rallO. ,-\11du· lasbt'lllvo qualificativo dice tutro questo, ma per deduzione: infatti, affermando l'eccellenza oppure l'esecrabilità dell'oggetto, ci aiwa a capire se si desidera tenerlo oppure se si vuole disfarsene. Ma l'autore può scrivere avverbio e aggettivo... Che farà allora l'attore che appartiene solo a lui? Quale funzione svolgerà, di cui sia il solo a essere capace? - Ecco: mentre articola il verbo, esprime il suo avverbio. Se c'è scritto: « Vi ucciderò», e lo scrittore ha pensato: «Vi ucciderò con piacere», l'attore, beninteso, pronuncia soltamo: «Vi ucciderò», ma lo fa in modo tale che l'ascoltarorecapisca che l'uomo rappresentato vuole commeuere con piacere il delitto di cui parla. Le due idee: l'idea dell'azione e quella del modo, ci arrivano contemporaneamente: dalla stessa voce, dalla stessa via. Non è meraviglioso? Di una simile prodezza il testo da solo 11011 è capace, perché procede per successione. Questo è l'apporto dell'atlore quando si limita a parlare. Su questa completezza l'autore fa conto. Per ciò egli investe gran parte della sua intelligenza ne~'opera che ha in mente, per lasciargli spazio. Vediamo dunque che l'awore 11011 scrive l'intera frase ne- ------=,.. o~ue,qou,oe~aio,1q!s cessaria a comunicare la propria idea, e che, sebbene la sua frase dica una idea completa, non dice tu/la la sua idea. È d'altronde per questo che lo si può tradiree che per favorirlo ci si rivolge al contesto, per trarne deduzioni azzardate. Ogni frase è un crocicchio. Si capisce meglio perché Voltaire, vedendo una delle sue opere recitatedalla Clairon, si sia chiesto a mezza voce: «Sono davvero io ad aver fatto tulio questo?» Che nome non dispregiativo dare allo scritto, che parzialmente vuoto - volontariamente, ripeto - lascia spazio a chi lo recita?· - Già il termine «vuoto» sembra denigratorio. Un testo vuoto? o povero? o magro? o incompleto? o insufficiente? Tutto ciò sembra dispregiativo, mentre è elogiativo da parte mia, perché una frase che per il lettore dice abbastanza, per la scena dice troppo. Decidiamoci tuuavia: per qualificare un testo impiegherò di volta in volta i due aggeuivi: ricco e povero, lasciando capireche preferisco il povero. Ed ecco la legge: più Ùntesto è ricco, più la musica dell'auore dev'essere povera; più un testo è povero, più la musica dell'attore dev'essere ricca. C'è come un'omosessualità a produrre t/11,·n1nnla1·ori o/In ,,,.,,,, r,·m,,n (onu· im,,nrn· di mt"nlt,,,-,.d,w /Jt'l'.\Ollt' < /,e pt1rla11u t Ull/t'IIIJJUltlll('CIJllt'Jll(', u "'I'''' WI ,111,1110 dipingerne un altro per raddoppiarne la bellezza. Quanto è suggerito da un'arte essendo mosrrato da un'altra, viene annullata ogni suggestione. Baudelaire è più ricco di Molière, che a sua volta lo è più dei testi auribuiti alla commedia dell'arte. Immaginiamo quale ampiezza, fantasia, traieuoria da fuoco d'artificio, voce carezzevole o ipocrita, recitazione a mitraglia, gemito d'amore felino, voce di cane schiacciato che non si sbriga a morire, quale meraviglia vocale insomma, potrebbe permettersi l'auore su un testo assolutamente povero. Ma già a partire da Molière l'auore deve mosrrarsimodesto qualunque cosa gli resti da fare in velocità e forza. Con Baudelaire si raggiunge il punto massimo: egli è un poeta troppo musicale perché si possa mescolare la sua musica alla nostra. L'attore deve tenersi in disparte dal poema, come per scusarsi di non esserne degno, e presentare la cosa piuttosto che interpretar- /a: la monotonia divema virtù; niente vuoti d'aria, zampilli, freni bloccati, sopra/lutto niente ingegno: con LIII brusco ritorno alla crudezza del presente, questo grido ucciderebbe il sonnambulo.
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