IN FORMADI PAROLE LIBllOSESTO EdmondJab~s ILLIBRO DELLE INTERROGAZIONI "Decostruire il libro, è, in effetti, riuovarc le prime parole, quelle che, una paginadopol'altra, hannoconsentitoil libro. C'è sempreuna parolacheresiste alla cancellazione. Parole testarde con cui non si riescea spuntarla.Nonabbiamo nienteda dire,ma moltoda chiedere. Le parole ossessionanti sono precisamente quelleche stannoall'originedi questa interrogazione e d'una interrogazione più generale che scatenano. • Cos'è, allora,questaparolainiziale? Forse un'insopportabileassenzadi paroleche essa, a nostra insaputa, colmerà esponendosi." Da Dlii IUs~rto J libro, convcrsuioni di Edmond Jabb con Mucd Cohcn. Pagine 200 L. 12.000 Per corrispondenza L. 10.800 LIBRO QUINTO Maunce Blanchot LAFOLLIADELGIORNO LA LETTERATIJRA E IL OIRITIO ALLA MORTE con letture di jtJ&quesDem'da , Emmanuel UvinaJ Pagine /28 L. 9.000 (per com.Jpondenza) LIBRO QUARTO Fedenco GarciaLorca VIAGGIOVERSOLALUNA (SCENEGGIATIJRAPEll UN ALM) P11gù,e92 L. 7.2()() (per corrispondenza) Le edizioni Elitropia privilegiano la distribuzione e la vendiu per corrispondenza. Sono periodicamente inviati il catalogo e le schedecheannuncianolenuovepubblicazioni a tutti coloro che, scrivendo o inviando la cedola, manifestano il loro intc:rc:ssc. I nosui libri sono in vendita anche: in alcune: libreriedelleprincipalicirrà italiane. In ogni caso rivolgersi a: FlitropiaEdizioni Caulla Posiate421 42100 ReggioEm,1ia Via Guido da Castello, 17 Telefono: 0522146049 42100 ReggioEmilia Elitropia Edizioni ro11po1d1a rit11glillrt spedut a f111ropu Desideroricevere,contrassegnopiù spese postali, i seguenti libri: Vogliate spedire a: trOmt t cognome . , . Cfr. Segni di segni Quaderni di filosofia del linguaggio e antropologia culturale diretti da Augusto Ponzio Università di Bari, Adriatica ed. Alla quinta uscita, in rapida cadenza, di questa nuova collana di interesse esplicitamente semiotico, val la pena segnalare una iniziativa che si sta dimostrando non episodica e non marginale, a dispetto della forma apparentemente popolare della confezione. Quelli diretti da Augusto Ponzio risultano infatti .per nulla «quaderni», e il loro minuscolo formato non inganni. Si tratta in verità di una serie che ha l'ambizione di far semiotica .non tanto di primo grado (semiotica di qualcosa) quanto di secondo grado (semiotica dei discorsi intorno a qualcosa). Vediamo i titoli, intanto. Dopo i primi due volumi, Spos1amenti. Percorsi e discorsi sul segno dello stesso Augusto Ponzio e Tempo e segno di Patrizia Calefato, che seguono chiaramente la logica appena accennata (Ponzio ci parla di Barthes, di Bachtin, di semiotica testuale, di teoria dell'enunciazione, insomma di metasemiotica; Patrizia Calefato riprende alcune teorie del tempo in filosofi del linguaggio come Wittgenstein, Peirce, Heidegger, Bachtin, per verificarle nei rituali e nel femminile), ecco a seguire Psicosemiotica di Giuseppe Mininni, La materia culturale. Strutture, miti, riti, scambi, maschere di Maria Solimini, Polifonie. Soggetto e scrittura, desiderio e devianza, moda efiaba, curato da Augusto Ponzio con interventi di autori vari. La seconda serie pare mutare registro, e da discorso metalinguistico sembra divenire invece ricerca di altri punti di vista delle scienze umane di fronte ai fenomeni dell'ambiguità semantica che restano il punto centrale delle diverse ricerche. Ecco cosl unÒ dei primi tentativi italiani di costruzione di una psicosemiotica parallela a una psicolinguistica (il testo di Mininni). Ecco una serie di saggi di antropologia culturale tesi alla rilettura degli aspetti più dibattuti dello strutturalismo antropologico (il testo di Maria Solimini). );::decco la serie di saggi del più ponderoso volume della serie, intesi a dare idea della varietà dei confini dell'oggetto semiotico nonché della varietà degli approcci che a quell'oggetto possono condurre. Il titolo è bachtiniano, ed è naturale. Ma nell'ultimo volume pare forse vagamente ottimista: siamo proprio sicuri che le polifonie non siano purtroppo, e in verità, dissonanze? o.e. Giovanni Giudici Addio, proibito piangere Torino, Einaudi, 1982 pp. 248, lire 18.000 Dopo il libro di Vittorio Sereni (qui recensito) e quello di Franco Fortini (li ladro di ciliege), questo terzo titÒlo della nuova serie di Einaudi dedicata alle traduzioni dei poeti mi pare il più riuscito e utile. li lavoro di Giovanni Giudici come traduttore di poesie è propriamente un lavoro, una messa a punto di vari e variegati linguaggi poetici italiani estratti da matrici di linguaggi «estranei». Un lavoro che ci rende questi altri linguaggi più familiari, prima di tutto, e che nel renderceli più familiari propone una linea di resistenza forte a ·un possibile nuovo assalto di tentazioni provinciali e ghettizzanti. Il linguaggio poetico, come la lingua madre, ba sempre avuto e continua ad avere la necessità di arricchirsi a contatto con tutte le esperienze linguistiche raggiungibili. Del resto, questa esigenza la manifestano anche le lingue politicamente forti (come l'inglese d'America, per esempio, che accoglie influenze dall'italiano degli immigrati e non solo viceversa, come sta dimostrando una ricerca coordinata da Luigi Ballerini a New York ... ). Insisterei su una certa rigorosa scioltezza e controllata «familiarità» che il linguaggio poetico di Giudici possiede in misura notevole e poco usuale in italiano - senza cadere, sia chiaro, nella facilità -, il che gli permette di tentare l'avventura di tradurre Puskin (e qui va ricordato il grande risultato di Tommaso Landolfi che ha tradotto tutti i poemetti escluso l'Onegin, pubblicati sempre da Einaudi). Ma non è questo forse il punto, come si suol dire. Scioltezza e familiarità sono frutto di una capacità a volte eccezionale di utilizzazione dello strumento linguistico fino ai limiti di un funambolico mimetismo, che è dote eccellente per un traduttore. Si può dire allora che in Giudici giustamente prevale il traduttore sull'autore, e che l'autore è sempre al servizio del traduttore. Capolavoro di questa raccolta ben dosata mi pare la traduzione della Rima del vecchio Marinaio di Samuel T. Coleridge. L'uso sapiente della rima ci dà versi come questi: «Dai corpi le anime volarono / A dannazione o a festa! / E ognuna mi sfiorò vibrando/ Come una freccia di balestra!», oppure: «O Invitato! Quest'anima fu/ Sola in un mare sterminato; / Ma cosi sola che Dio stesso / Sembrava essersi cancellato». Ho detto di Coleridge, e potrei citare da Emily Dickinson o Ezra Pound (e mi preme sottolineare che Giudici nella nota bibliografica menziona l'esperienza de i/ verri di Luciano Anceschi, fondamento di un'articolata tradizione ... ); ma preferis;:o mettere in rilievo la presenza di Jiiì Orten (19191941), poeta ebreo di Praga: «Sul cielo una volta (questo io scrivo di Dio)/ la trasparenza si ferì di un rosso I e sanguinava, si dileguò, tramontava». Oppure: «Di chi sono? / lo sono del timore che mi ha tenuto / con le sue trasparenti dita, / del coniglietto che in un giardino in penombra / esercita il suo fiuto». Ancora: «O mutazioni eterne, ogni nodo si snoda, / o mufazioni eterne, fin quando in neve io mi sciolga, / dove sarà l'anima mia, in quale donna, / dove sarà, in quale neve?». Due parole sul titolo Addio, proibito piangere che traduce John Donne: «A valediction: forbidding mourning». Dunque più letteralmente: «Un addio: vietato piangere»~ Mi• sembra che il pericolo di cadere nella canzonetta sia stato evitato per un soffio e solo perché l'acrobatico risultato è sorretto nel suo volo dalla robusta metafisica di John Donne. Forse il segnale di un pericolo, di un limite da non valicare. Ma segnare sulla mappa i confini di un territorio linguistico praticabile è forse lo scopo finale -di un vero traduttore. Antonio Porta_ Maria Pia Pozzato li romanzo rosa «Espresso Strumenti 16» Milano, Ed. Europei Associati, 1982 pp. 158, lire 4.500 Tutti sappiamo che, nel grande calderone della letteratura cosiddetta «di genere», il romanzo rosa occupa un posto merceologicamente assai rilevante. Tanto è vero che, accanto alle antiche e recenti collane per signorine (ultima arrivata la mondadoriana «Harmony,. ), si sta tentando anche un rinverdimento maschile con una serie forse non esattamente improntata ai buoni sentimenti, ma definibile con gli stessi criteri. Eppure, se da tempo la critica ha operato certe riscoperte nell'ambito dei territori del «giallo", della fantascienza, della fantasy, ciò non è avvenuto nel dominio del rosa. Un motivo, forse, c'è. E viene alla mente proprio leggendo le pagine di questo agile volume-guida di Maria Pia Pozzato. Mentre i generi succitati in fondo sono dotati di una sorta di autonomia narrativa, e possono persino costruire innovazioni e mutamenti di stile nella pur inevitabile circolarità delle loro strutture, il rosa appare invece condannato alla fissità. li rosa non possiede solo rigidità strutturale, ma anche rigidità di scenari: gli eventi narrati non sono solo dati da luoghi narrativi, ma già prefigurati nelle descrizioni. Tanto è vero che, quando emergono modifiche notevoli, ci si accorge che ciò è avvenuto per parassitismo o per prestito rispetto ad altri generi, come il western o il fantastico o l'avventuroso. Un genere povero, allora? Non esageriamo, dice esplicitamente l'autrice. Perché fra le righe del «rosa,. è leggibile anche un fenomeno assai complesso, come l'incontro-scontro fra i due sessi, con i suoi risvolti non solo banalmente sentimentali, ma anche erotici. Tutto ciò è svolto dalla Pozzato con una scrittura piana, poco incline agli strutturalismi da cui pure deriva la sua origine culturale. Tranne che in due capitoli, che sono poi le «sorprese» del libro. Il primo mostra la dissonanza degli impianti del romanzo rosa con la narrativa femminile classica (leggi Jane Austen, o Madame Bovary, o, senti senti, il marchese de Sade). E qui, d'accordo Ò meno sul contenuto, la lettura si fa hard e appassionante. Il secondo (un'appendice) insinua l'idea che il rosa sia fra di noi: ed ecco il matrimonio di Carlo e Diana, secondo gli schemi della più famosa scrittrice del genere, Barbara Cartland, nonna per l'appunto della sposa. Ma qui forse si è un po' troppo d'accordo, e sorge il sospecto che si poteva farne a meno. • J.L. Cloudsley-Thomp~n La zanna e l'artiglio Torino, Boringhieri, 1982 pp. 294, lire 21.000 o.e. Strategie difensive nel mondo animale è il sottotitolo di questo volume, né si tratta di semplice metafora. In più occasioni, infatti, l'autore mette in luce lo stretto rapporto di omologia che lega l'evoluzione della morfologia e del comportamento di determinate specie animali a quella della tecnologia degli eserciti umani: entrambi i mondi conoscono corazzamento e mimetismo, armi chimiche e relativi antidoti, tecniche di sganciamento e bluff; ma soprattutto, entrambi si strutturano a partire da una catena in- !çrattiva: il rappc;irtopredatore-preda nel caso del primo, il rapporto mezzi di attacco-mezzi di difesa in quello del secondo. È tuttavia sufficiente questa analogia per parlare di «strategia,. nel caso del mondo animale, nel quale il perfezionamento delle tecniche difensive è il prodotto del procedere a tentoni, per tentativi ed errori, dell'evoluzione genetica? Cloudsley-Thompson non risponde direttamente, e infatti il suo libro non affronta i grandi nodi teorici del dibattito scientifico attorno agli sviluppi recenti della teoria dell'evoluzione e dell'etologia, ma si propone più semplicemente di offrire ai lettori un ricco repertorio delle anni biologiche e dei comportamenti animali, raggruppati in base a principi tassonomici piuttosto empirici. Dal!'esposizione, assai ampia e mai noiosa (anche perché l'autore dispone evidentemente di un ricchissimo patrimonio di osservazioni dirette ed è spinto da un grande amore per l'oggetto della sua indagine), emerge tuttavia una risposta indiretta: il mondo descritto offre un quadro talmente articolato e complesso, con casi n cui la specializzazione attinge livelli di sofisticazione quasi inconcepibili, che alla fine della lettura il termine «strategia,. non apparirà affatto fuori luogo, al di là di ogni perplessità sul «soggetto» del progetto strategico. Azimut Rivista sindacale di economia politica cultura Anno I, n. 1 Milano, settembre-ottobre 1982 pp. 152, lire 4.500 Ancora oggi la stampa sindacale italiana si presenta in veste modesta e scarsamente invitante. li nuovo bunestrale Azimut, diretto da Pier Giorgio Tiboni, redattore capo Beno Fignon, si muove in controtendenza: grande formato, impaginazione curata, ampio spazio alle immagini, polemicamente motivato: «Predomina l'audiovisuale. li punto d'attacco della censura è allora l'immagine: la manipolazione aspira all'arte, e si fa chiamare montaggio. La nostra decisa scelta di informazione fotografi.ca vuole avere renfasi di una protesta; esprime, anzi, il più violento rifiuto del meccanismo che ci porta, sprofondati nelle comode poltrone del riflusso, all'assalto delle Malvinas sulla tolda della Royal Navy; che ci fa guardare senza vergogna Beirut che brucia, dalle postazioni degli invasori». Tra il ricco e vario materiale di informazione e di commento, uno sguardo critico di Giorgio Gatti al «sindacato subalterno,., un ampio dossier-diario di una lotta sull'Alfa Romeo, un'analisi delle esperienze alla Necchi di Pavia. Sul piano internazionale si parla del Brasile, della Francia di Mitterrand, del Medio Oriente, del Sahara occidentale, della Polonia, del Salvador, delle Malvine, dei verdi della Repubblica federale tedesca. Sul piano più strettamente culturale, Aldo Marchetti scrive sugli aspetti spettacolari dei cortei operai: parte di un saggio più ampio che apparirà su Classe; ma i redattori intendono ampliare nei l?rossimi numeri lo spazio dedicato alla tematica che si rifà alla produzione culturale e al suo impatto sociale. M.S.
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