.. "' 9 .::: eo "' "- N <>o "' ~ è;, .,! eo " .., :: ~ ~ L'économie retrouvée Collettivo diretto da Jean-Jacques Rosa e Florin Aftalion, Economica, 1977 Henri Lepage Demain le aipitalisme Paris, Le livre de poche, 1978 Henri Lepage Demaiu le libéntlisme Paris, Le Livre de poche, 1980 Harry Cleaver «L'économie de l'offre, une nouvelle phase de la stratégie capitaliste dans la crise aux Etats Unis», in Babylone, n. O, Paris, Bourgois, 1982 (ripubblicato in Metropoli, n. 7) «Monnaie et monétarisme», in Critiques de l'économie politique h. 18, gennaio-marzo 1982 «Non è più l'epoca della crudeltà, né del terrore, ma quella del cinismo» Deleuze-Guattari «Credo che sia giunto il momento di riconoscere che 'fare', è anche avere il coraggio di 'disfare'» H. Lepage Dopo i «nouveaux philosophes», ecco i «nouveaux économistes». La ripetizione potrebbe far sorridere, e l'eventuale critica limitarsi a sottolineare la cruda assenza di qualsiasi"innovazione nelle tesi sostenute dai neo-liberisti - perché proprio di essi si tratta - e dagli altri fautori della cosiddetta economia dell'offerta (Supply side economics). Cosa del resto ammessa, a loro modo, sia da JeanJacques Rosa - che ama ricordare come non esista una «nuova» economia: ma solo/a teoria economica-, sia da Henri Lepage quando sostiene, nel corso di una giornata di studi organizzata dall'ufficialissimo lnstitut de l'Entreprise, che «di fatto, la 'nuova economia' non è altro, in un certo senso, che il ritorno alle origini della economia politica»'. Dunque, ritorno al credo della teoria economica (neo-)classica recentemente riportata in auge dai ThatcherReagan e dagli altri (futuri) diplomati della Scuola di Chicago: 1) per assioma, ogni utilizzazione delle finanze pubbliche a fini di intervento nella economia deve essere condannata, perché falsifica il libero gioco del mercato; 2) bisogna ridurre la pressione delle finanze pubbliche sulla economia privata (scolio). Questa pressione assume una triplice forraa: deficit del budget (finanziato con prestiti sul merè;ito· interno dei capitali, priva il settore privato di crediti al ribasso), fiscalità (che scoraggia ,, ~~ .. ~-. ., /- "iJ;-,":..~ - i:-~- ~ :-- - ·- ' I ~... , 1 iniziativa individuale e investimenti), spese sociali (che creano una mentalità assistenzialistica quanto mai nociva all'«ardore del lavoro», e contribuiscono alla catastrofica estensione della disoccupazione volonraria ). Allora, il Mercato contro lo Stato, ultima metamorfosi dell'esercizio «metafisico» di Say2 , ripresa dall'interminabile dibattito sulla efficacia comparata del capitalismo privato e del capitalismo di Stato? Harry Cleaver ci segnala che dovremmo guardare altrove per misurare le autentiche conseguenze di questa nuova effervescenza di teoria e politica economiche. Invece della alternativa economia di stato/economia di mercato, il rapporto offerta-domanda. Sempre restando inteso, egli precisa, che bisogna sbarazzarsi della abitudine del «criticare» le new waves del pensiero borghese. Di fronte a una teoria economica che assume il cinismo come materia di espressione, conviene piuttosto spiare ... Con una analisi ormai classica, Cleaver spiega il declino dell'era keynesiana in base alla «crescente difficoltà di controllare nello stesso tempo le richieste operaie e la produttività».!! che comporta, come contropartita, l'incapacità di contenere l'intensificarsi delle lotte della classe operaia nei limiti dello sviluppo capitalistico. Con gli anni '70, la rottura del «contratto di produttività> (productivity dea/) - attraverso la iperbole del rifiuto del lavoro che contrassegna l'assoluto scioglimento del legame lavoro/ reddito - suonerà la campana a morto del keynesismo. E tutta l'economia dell'offerta si è ere/la contro il rischio assoluto costituito da questa rottura. La sua strategia avrà allora una sola preoccupazione: ristabilire il dominio del capitale: «restituendo incentivi al lavoro» (soppressione di qualsiasi minimo salariale garanrito, riduzione dei sussidi di disoccupazione ...), facilitando la crescita degli investimenti e della quota di sovra-prodotto che spetta all'impresa (esenzioni fiscali), ponendo una battuta d'arresto alla spirale del consumo operaio liberatasi dal rapporto contrattuale con la produttività (modificazione delle regolamentazioni del credito e rialzo dei tassi di interesse). Prendendosela in apparenza con lo Stato, gli economisti dell'offerta attaccano anzitutto le sovvenzioni al consumo. Perché «l'economia dell'offerta non ha quale obiettivo tanto il limitare la crescita della domanda [non si può ignorare il fatto che stimolare gli investimenti porta a stimolare la domanda], quanto.piuttosto il modificarne la composizione. Si tratta di una manifesta volòlilà qf.GpDstarela domanda, dal consuinq all'investimento» 3 . Analisi rafforzala dalla attuale tendenza am7ricana, opportunamente -e -~- "' L..!-''-"=,e;._--==----==~...:......:..;_.4.---....L.3&..::;._:,..,.,._::,....__--'====s....::: B1bl1otecag1noo1anco sottolineata in un suo paper• da Mary Joan Hiscox. I monetaristi, che spronano una politica di austerity a tutti i costi, si confrontano sempre più da vicino con i teorici dell'offerta che pretendono esplicitamente di voler effettuare un semplice transfert di risorse, dai bilanci familiari alle industrie, per lanciare un ampio movimento di investimenti capace di trasformare in profondità l'apparato produttivo. Q uesto obiettivo di ristrutturazione ci porta alla definizione del tipo di politica industriale perseguita dai nostri «nouveaux économistes». Certuni hanno creduto di ravvisare una grossa contraddizione tra il desiderio di un «ritorno all'età dell'oro della concorrenza pura e perfetta» e l'abolizione delle leggi anti-trusts. Ma in tal caso il problema è posto molto male ... nella misura in cui il neo-liberismo si presenta come via d'uscita dal paradigma tradizionale che lega i concetti di mercato e di concorrenza alla nozione di «concorrenza pura e perfetta» (modello walrassiano). Stando a Hayek, è invece la considerazione della imperfezione della insioni o interruzioni di flussi, ma che può essere analizzato solo in relazione con la sua appartenenza a quel circuito» 6 . Proprio questo spazio di fusione tra produzione e circolazione, produzione e informazione, rinnova la intenzione espansiva di un capitale che, ormai privo di ogni impaccio, accede così al massimo di fluidità sinergica. Di qui, la doppia operazione di tipo cibernetico che si registra in Hayek: la «libertà» viene ricondotta alla nozione di informazione, mentre il profitto è estratto dalla sua ganga contabile: prima di essere un concetto contabile, esso è «anzitutto e soprattutto, uno strumento di regolazione sociale» 7 . Così che con i nouveaux économistes, dalla parte del capitale il capitale viene definito come capitale di potere. Ed è proprio qui che si colloca l'unica posta in gioco della introduzione della teoria della informazione nella teoria economica. (Il che autorizza la costituzione di ciò che ormai si è convenuto chiamare economia generalizzata: dal mercato economico al mercato politico, via la razionalità dell'Homo Oeconomicus come «mercato realizzato»). Torniamo ora alla argomentazione neo-liberista circa il rapporto mercato/monopoli. L'argomentazione si propone di distruggere quanto Harold Demsetz definisce «The Market Concentration Doctrine»: l'idea per cui esisterebbe una stretta relazione tra concentrazione e effetti di monopolio che tende - come sostiene una commissione di indagine del Senato americano - «a produrre risultati economici equivalenti a quelli di una intesa, anche quando non vi sia collusione esplicita tra i produttori». In questa ottica, lo Sherman Aci ( 1890) appare come un atto di difesa contro gli eccessidi un capitalismo selvaggio cui il laissez-faire dava carta bianca. Per il filosofo «libertarista» Roy Childs Jr., la realtà è del tutto diversa: «l'idea della legge della giungla, come formazione che funge da base per capi- legge dominante del capitalismo, è ben re la ragion d'essere di una economia più una invenzione ideologica, frutto di mercato decentrata. Mentre «la per- della crisi, che una sua causa diretta»•. fetta fluidità della informazione, lungi È un fantasma collettivo utilizzato per dal produrre una situazione di concor- ottenere la protezione dei poteri pubrenza atomizzata, porterebbe invece a blici da tutti coloro che erano direttauna logica di monopolizzazione uni- mente presi di mira dalla ristrutturaversale, secondo le previsioni di Marx, zione industriale. con l'esito inevitabile di una assunzio- Conclusione: la legge anti-trust è ne della economia da parte di un pote- stata concepita più in una ottica conre centrale»5 . Il Mercato realizzato si servatrice, per proteggere condizioni limita a garantire «la mobilizzazione acquisite, e minacciate da un fenomepiù ottimale possibile dell'insieme del- no di riqualificazione industriale abbale conoscenze disperse nel corpo socia- stanza simile a quello a cui assistiamo le» (Hayek). Che non è più soltanto il attualmente che come uno strumento luogo anonimo in cui si scambiano finalizzato alla restaurazione, di un beni e servizi, meccanismo stantio di clima di «sana concorrenza». I proces• ripartizione della penuria; ma anche, si di integrazione al vertice risultano più essenzialmente;strumento dinqmi- • allora globalmente giustificati, perché -co di mobilitazione, produzione e dif , coµtribuiscono ad accrescere l'èffifusione della informazioni; necessaria cienza del mercato e la mobilità ecoalla regolazion_edelle società comples- nomica, eliminando le industrie non se. Dalla informazione come fattore di produzione ... alla circolazione come validazione sociale dei plusvalori di potere. La circolazione diventa immediatamente produttiva assumendo la forma della pianificazione e del controllo della riproduzione segmentata del sociale. E proprio attraverso la circolazione saranno «realizzate» quelle pseudomerci che sono ormai solo indirettamente prodotti del lavoro: dato che le condizioni sociali della produzione sono passate sotto il dominio della organizzazione della informazione, il processo lavorativo è ormai solo un tassello del processo di valorizzazione. ~ «Ogni unità produttiva tende, così, a presentarsi come un nodo di un circuito fluido, nodo di temporanee conncs- '--.,---""''-'-'-' adatte alla concorrenza internazionale. Alla meccanica contrattuale dello Stato Corporativo segue la dinamica - ben lontana da/l'equilibrio -dello Stato Minimo: che non è più l'ideatore e il difensore di un originario spazio nazionale di valorizzazione del capitale, ma il promotore di una partecipazione allargata allo spazio sovranazionale di valorizzazione - alla nuova segmentazione del Capitalismo Mondiale Inregrato•. . Traduzione di Maurizio Ferraris Note (I) Ripubblicato in Demain le libéralisme, cii., appendici, p. 257 (2) Tradizionalmente, vi era solo la legge di Say che desse identità al regime del «libero scambio». Se si assume dalle analisi di Habermas che a quell'epoca non esistevano «ideologie» propriamente dette, si capisce come, lungi dal costituire il coronamento dell'edificio, l'esercizio di Say ne rappresentasse piuttosto il basamento giuridico: Say «butta in mare il coltello• e fa sparire il corpo del delitto attraverso la sua finzione. Jurisdictio di una rappresentazione algebrica, lineare, esclusiva: combinate sovrasfruttamento del potenziale produttivo, mobilitazione generale della forza-lavoro, accelerazione della velocità di circolazione de11emerci, degli uomini, del capitale, e otterrete un equilibrio automatico di offerta e domanda, verificando cosi l'autoregolazione del sistema... ma a condizione di non avere, in seno agli scambi, altre ingerenze che non siano economiche! Perché il misteriosoequilibrio della libera concorrenza è più o meno cosi: lapotenza, meno il potere·... Ora, l'obiett'ivo prioritario dei «nouveaux économistes», via le teorie del Public Choice, sarà dimostrare che «una teoria della allocazione delle risorse che prenda le mosse dalla analisi logica delle scelte individuali, quale è il caso della teoria economica neoclassica,non si riduce necessariamente alla considerazione dei fenomeni di potere o di conflitto che interferiscono nel funzionamento dei meccanismi di mercato• (Lepage, Demain le libéra/isme, p. 45). Più sotto, vedremo la natura del discorso che ne vien fuori. (3) H. Cleaver, op. cit. p. 84 (4) «Le monétarisme en actes: quelques éléments d'interprétation sur le cas britannique et américain>, in Critiques de l'économie politique, n. 18, p. 21. (5) Vera Lutz, Centrai Planning [or the Market Economy, Longmans, 1959, citato in Lepage, op. cit., 229-230. La nozione di «concorrenza pura e perfetta• è perciò rifiutata in quanto au·tocontraddittoria. (6) J-P. de Gaudemar, «Naissance de l'usine mobile», in Usines et ouvriers, figures du nouvel ordre productif, Maspero I 980, p. 24 (7) Op. cit. p. 402. E Lepage aggiunge che è molto più facile «pensare il profitto come simbolo della rapacità o della volontà di potere di una classe sociale, che come lo strumento trascendente di una regolazione globale di cui sono beneficiari tutti, anche se momentaneamente alcuni ne beneficiano ·•più di altri>... (8) «Big business and the rise of American Stitism•, in-TJw. Libertaria11Altemative, Chicago I 974. ' _ (9) Su questo tema, è in èorso di traduzione dall'editore Cappelli una raccolta di articoli di Félix Guattari.
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