Quando aollM.,;I,,, pavimento Critica della ragione scientifica Metodo e valutazione nelle scienze fisiche. Saggi di Imre Lakatos, Peter Clark, John Worral, Alan Musgrave, Elie Zahar, Martin Fricke, Paul Feyerabend. A cura di Colin Howson. Trad. Laura Monti e Giulio Giorello Milano, Il Saggiatore, I 981 pp. 444, lire 30.000 (ed. originale col tit. «Method and appraisal in the physical sciences•, 1976) Norwood Russell Hanson I modelli della scoperta scientifica Ricerca sui fondamenti concettuali della scienza Trad. it. Libero Sosio Milano, Feltrinelli, 1978 pp. 259, lire 12.000 N ell'attuale discussione radicale sul senso dell'impresa scientifica, il punto di partenza di Lakatos consiste nell'attribuire alla conoscenza scientifica stessa un carattere assolutamente congetturale (di procedimento per tentativi ed errori) e nel proporre un mutamento di valore nell'epistemologia contemporanea. Secondo esso non può darsi più, come annota Lakatos, nessuna soluzione dei problemi ma solo la «valutazione• di teorie strutturate e articolate. Si tratta di un decisivo mutamento nella filosofia della scienza; non s'intendono più come normative le regole per raggiungere soluzioni, ma le direttive per valutare soluzioni che si hanno. A ciò è dunque sottesa una modificazione del concetto stesso di scienza; e si pone cosi il problema della giustificazione sia della razionalità sia della «crescita• della scienza, poiché essa risulta non fondata su criteri di verifica empirica. La metodologia lakatosiana • con i suoi programmi di ricerca vuole dunque risolvere in senso positivo, come intendiamo riferire qui, il fallibilismo popperiano e le sue contraddizioni. Va subito detto che tult'altra posizione da Lakatos è quella di Feyerabend: sostiene che non si dà storia della scienza né ricostruzione razionale di tipo logico in quanto le teorie, i paradigmi, i programmi, sono fra di loro incommensurabili. Svolge cosi una critica corrosiva e negativa del metodo lakatosiano. Riferimenti a Popper e a Hanson Ma serve qui ricordare con minima precisione alcuni presupposti e passaggi anteriori: e anzitutto la critica popperiana del principio di verificazione e dell'induzione (pur validi nella metodologia neopositivista del Circolo di Vienna). Come è noto, Popper mette in discussione la possibilità di creare regole di corrispondenza tra le teorie e l'esperienza, in quanto l'esperienza può solo verificare fatti singoli e non universali. Ed afferma che solo l'assunzione della logica induttiva comporta arbitrariamente il passaggio dal singolare all'universale, in un procedimento a suo avviso non corretto. Come esempio della scrittura di Popper, che è di una straordinaria e sobria lucidità, citiamo il famoso avvio della Logica della scoperta scientifica (1934, ed. it. Torino, Einaudi, 1970): «Si è soliti dire che un'inferenza è 'induttiva' quando procede da asserzioni singolari (qualche volta chiamate anche asserzioni 'particolari') quali i resoconti dei risultati di osservazioni o di esperimenti, ad asserzioni universali, quali ipotesi o teorie. Ora, da un punto di vista logico, è tutt'altro che ovvio che si sia giustificati nell'inferire asserzioni unive_rsalida asserzioni singolari, per quanto numerose siano queste ultime; infatti qualsiasi conclusione tratta in questo modo può sempre rivelarsi falsa; per quanto numerosi siano i casi di cigni bianchi che possiamo aver osservato, ciò non giustifica la conclusione che tutti i cigni sono bianchi•. Questa è la critica che tende a svuotare non solo la tradizione metodologica di Bacone e di Galileo. ma quella viennese anche, in un certo senso. L·esperienza non è affatto pura (e descrivibile più accuratamente come tale) ma è iscritta essa stessa in una teoria; quindi non è in grado di verificare la teoria, caso mai è in grado di falsificarla. La novità della soluzione popperiana consiste, come è noto, nell'assumere la falsificazione come discriminante tra ciò che è scientifico e ciò che non lo è. Viene compiuta una distinzione tra la logica della scoperta, come atto libero creativo dentro il pensiero filosofico e metafisico, e la logica della verifica; viene posto un rapporto positivo nuovo tra metafisica e scienza, in contrasto con i neopositi~ visti, riducendo però i margini in cui si può parlare di oggettività e di razionalità e di crescita della ricerca scientifica. L'ottica di Popper è per più versi un'ottica neopositivistica almeno per quanto riguarda l'esigenza di razionalità e di oggettività e di progresso; mentre è mutato completamente il quadro culturale sia per quanto riguarda la metafisica, appunto, che viene assunta «positivamente•, sia perché si effettua un capovolgimento del rapporto fra teoria ed esperienza, col primato teorico. L'epistemologia contemporanea, posteriore a quella neopositivista e influenzata da Popper, ha sollevato un dubbio radicale sulla nostra esperienza come fonte di certezza e di evidenza. Le certezze, le evidenze, le esperienze appaiono come frammenti di teorie, di metafisiche sedimentate e residuali, introiettate come senso comune e come ideologie e quindi anche agenti operativamente.con varie ragioni che sono pur quelle del sistema socio-economico e dell'organizzazione della ricerca e degli interessi di classe. Si sono inoltre poste, fin dalla ricerca di N.R. Hanson (1958, cd. it. Milano, Feltrinelli, 1978, ormai un classico) sconcertanti domande sul rapporto percezione-linguaggio-cultura. Scrive Hanson che il vedere è «un'impresa 'carica di teoria'. L'osservazione dix è condizionata dall'interiore conoscenza dix. Le osservazioni sono influenzate anche dal linguaggio o dalla notazione usati per esprimere ciò che sappiamo, senza i quali noi potremmo riconoscere ben poco come conoscenza» (p. 31). Nello stesso vedere c'è «un fattore linguistico•, anche se esso non è certo presente nell'immagine ma nell'organizzazione della nostra esperienza: vediamo come interpretiamo. Un capovolgimento dunque: la teoria viene prima e insieme all'esperienza; e ciò comporta una modificazione della definizione di conoscenza come pensiero su/mondo e non del mondo. La conoscenza non riguarda un altro, un esterno, ma è costruttrice simbolica del mondo e come tale costituisce un problema, un oggetto misterioso, una scatola nera da indagare. Ci si chiede infatti quanto la nostra cultura, il nostro modo di vivere, il nostro operare intervengono non solo nella costituzione delle ideologie, delle credenze, delle teorie, ma condizionano il nostro sistema sensoriale-percettivo. È al porsi di queste domande che ha risposto il nuovo e sorprendente intreccio tra storia della scienza e teoria Bibliotecag1nobianco della scienza, facendo saltare le precedenti distinzioni semplici fra i due campi. Riferimenti a Hilbert, a Carnap e a Kuhn Procedendo a una serie di precisazioni, va detto ora che i motivi della crisi del modello neopositivistico di scienza sono più profondi e in un certo qual senso risiedono altrove o a monte di questa problematica. Ciò che si è rivelato inadeguato, rispetto allo sviluppo scientifico, è infatti il modello hilbertiano di teoria che sta alla base del neopositivismo viennese e berlinese dei primi decenni del Novecento; si è rivelata inadeguata l'assunzione della «teoria• come unità autonoma, autorganizzata e assiomatica. Come tale essa infatti non è utilizzabile né per le scienze della vita né per le scienze umane. Ora non è più possibile considerarla come l'unità base, il mattone delredificio scientifico, organizzatrice del proprio universo di discorso e dei propri oggetti. La crisi della teoria ha travolto il sogno di Carnap dell'unità della scienza: come, anzitutto, unità logico-linguistica (a cui, nel progetto in due tempi avrebbe dovuto seguire l'unificazione delle leggi scientifiche) e come garanzia della comunicazione scientifica e del progresso. Veniva cosi formulata, nel neopositivismo carnapiano e particolarmente nell'«Enciclopedia di Chicago», un'unità lineare che fissava rigidamente la propria diversità non solo rispetto alla metafisica ma allo stesso linguaggio comune. In una struttura della scienza che già allora si presentava assai diversificata nei metodi e negli oggetti, è proprio questo modello unitario che rivela, insieme alle carenze, i presupposti ideologici che sottendono la metodologia. L'induzione e il principio di verificazione (col suo porre una corrispondenza fra teoria ed esperienza) si reggono sul presupposto di un soggetto che apprende e registra i dati. Ma questo soggetto viene oggi dissolto; e l'esperienza, che per i neopositivisti aveva ancora valore di verifica con criteri intersoggettivi, si rovescia oggi dentro la teoria. Tale mutamento di fondo porta più oltre alle recenti indagini logico-empiriche di scuola inglese, applicate alla storia della scienza, che comportano un'immissione della scienza nel globale tessuto culturale, svuotando il suo precedente statuto differenziato. Non solo non è più possibile postulare una neutralità e unità del linguaggio fenomenistico, ma, per ulteriore conseguenza, non è forse possibile la comunicazione fra teorie, secondo Kuhn. Non vi è cioè affatto una corrispondenza fra i termini e le. proposizioni appartenenti a diversi contesti teorici. La bella lineare immagine, priva di storia, senza retroazioni né rotture né cortocircuiti, dell'ideale di scienza carnapiano ha lasciato il posto a una pluralità di nuovi modelli di scienza che si sono lacerati e autocontraddetti. Come ora, nel periodo post-positivista, l'epistemologia si presenta, il suo tema può definirsi relativo ai processi costitutivi di funzionamento dei segmenti scientifici e delle loro storie. Assistiamo agli slittamenti: le teorie assumono il senso di generatori di modelli e vengono valutate in relazione a ciò. Questo slittamento è importantissimo nella metodologia lakatosiana, che appunto non parte più dalla teoria ma da un programma, da una struttura teorica fornita di un nucleo e di una cintura protettiva. Lo stesso termine e concetto di «slittamento• proviene da Lakatos e ha un valore positivo di adeguamento, in quanto è un correttivo delle anomalie emerse e ingloba problemi non previsti senza porre in discussione il nucleo. Lakatos e Feyerabend La tavola di problemi che abbiamo qui posta con intento riassuntivo vuole rispondere all'impianto stesso dell'importantissimo saggio di Lakatos nel libro collettivo citato, che contiene appunto una ricapitolazione rigorosa di argomenti. Esso era già incluso nella raccolta di dibattito Crisi e crescita della scienza (in ed. it. Milano, Feltrinelli, I976); qui però sono presenti, insieme, diversi saggi di scuola lakatosiana, che sviluppano e applicano con valore anche dimostrativo la metodologia dei programmi di ricerca. Ora, in questo insieme, il lavoro di scuola si presenta come una splendida macchina operativa che utilizza, realizzandolo in forma sofisticata, il falsificazionismo di Popper senza lasciarsi inceppare dalle anomalie e dalle incongruenze. Il nucleo infatti in cui sta la metafisica di un programma è, per assunzione convenzionale, non falsificabile: almeno finché il programma è progressivo, riesce cioè a prevedere fatti nuovi con successo, in un alto livello di produttività. I lakatosiani intendono, inoltre, sempre sviluppare una ricostruzione «razionale• della storia della scienza, basata sulla sua storia «interna•, con scarto dichiarato e programmatico di tutto ciò che è e irrazionale». Il carattere che mi sembra più evidente nell'epistemologia lakatosiana è quello di un grande generatore di modelli, con tale efficienza sottile che tiene conto, più o meno plausibilmente, persino di Hegel e di Marx (e cioè della dialettica e del tempo storico e della relatività della conoscenza in senso engelsiano e leniniano); e riesce a ricuperare razionalità almeno metodologica, con un valore conoscitivo e di funzionamento che ha il perno in un mutamento di significato delle categorie usate. Smonta i pezzi e li adotta con altra funzione in una macchina che garantisce alcuni valori, come il progresso, e incamera le differenze e le contraddizioni in una esemplare chiarezza autoespositiva. Va rilevato che Lakatos ha un «passato• marxista in Ungheria, al quale egli stesso (morto nel '74) tenne a dichiarare di non voler rinunciare nei fondamenti epistemologici. Ciò produce una certa sforzatura, per un verso, a nostro avviso; nia per l'altro verso contiene una netta impuntatura contraddittoria verso Popper antimarxista violento e verso il proprio popperismo di formazione, e contiene una tenuta di rigore strettissimo in senso non scettico. «Le semplici falsificazioni (cioè le anomalie) vanno registrate, ma non c'è bisogno di lavorarvi sopra> scrive Lakatos (p. ( 13). Ora, in questo falsificazionismo di resa positiva e produttiva, dove non viene bloccata la continuità di lavoro su un determinato programma, il criterio più solido è a ben guardare l'efficacia: dove le radici delle scelte non sono tanto epistemologiche quanto piuttosto socio-economiche. L'elemento interno che è decisivo è da dirsi pragmatistico e costituisce in tal senso una debolezza teorica rispetto agli assunti dell'autore. Di ciò si vale criticamente Feyerabend: non vi sarebbero secondo lui motivi validi per fondare la razionalità della scienza e della sua storia, come Lakatos pretende. Feyerabend solleva tutti i problemi che emergono da un'ottica diametralmente opposta, sociologica e sociale, nella quale come elemento drammatico sorge la domanda su chi stabilisce in ultima analisi la vittoria, la progressività, il finanziamento di un programma di ricerca. Ma il suo pensiero. superficialmente detto «anarchico• e cioè antimetodologico, ba un andamento evolutivo di scepsi compiaciuta e brillante. Simili domande vengono per esempio risollevate, in termini più direttamente kuhniani con aggiornamento di «sinistra», da Cini e Mazzonis, collaboratori del Manifesto: essi richiamano in un libro recente l'attenzione sul pragmatismo nuovo della ricerca scientifica e sul suo rapporto con l'informatizzazione della società, col porre un luogo decisivo di lotta attuale nei criteri di valutazione delle comunità scientifiche e nel rapporto scienza-società-industria (ma vogliamo trattare attentamente tutto ciò in un articolo successivo). Serve osservare qui, infine, che l'edizione italiana, rispetto a quella della Cambridge University Press (1976), vuol compiere una propria operazione e muta perciò il titolo del testo originale, assumendo come generale il titolo dello scritto qui compreso di Feyerabend, Critica della ragione scientifica. L'intento d'informazione e di circolazione del dibattito piglia cosl, magari a ragione, un valore polemico o di parte o di at\ualità presunta. È quello appunto conne·sso all'orientamento di Feyerabend, che argomenta l'inconsistenza della proposta complessiva dei programmi di ricerca in quanto non in grado di rispondere alle «domande fondamentali•, che sono «che cosa è la scienza> e «che cosa ba di così grande la scienza• (in termini suoi, p. 372). A cominciare dalla liquidazione fin troppo semplice dell'esperienza neopositivistica, fino a tutto il ripensamento oggi necessario del rapporto teoria-esperienza, le questioni critiche sono molteplici. Qui conviene rimarcare solo che l'introduzione della discontinuità nel tessuto teorico, la diffidenza sul linguaggio, il dubbio sulla traducibilità dei diversi sistemi teorici ed empirici, hanno investito direttamente il problema delle «immagini del mondo• e riguardano gli schemi generali d'interpretazione. È ben evidente il rischio della '<> frammentazione parcellare del sapere; ci si può interrogare sulle conseguenze dell'ulteriore svuotamento dell'oggettività e sulla riduzione della scienza, o i meglio delle scienze, nei modi di un nuovo sofisticato pragmatismo. Cer- 0 tamente si è dissolto il valore cognitivo ~ oggettuale delle nostre costruzioni "è;, ..... intellettuali; e si opta oggi per la de- ....., scriziotJe procedurale e per l'enucleazione degli elementi specifici della ricerca.
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