,.., " .5 ~ e,. "' 00 "' o ., ~ ·.., " ,.., :: Manlio Rossi-Doria Scritti sul Mezzogiorno Torino, Einaudi, 1982 pp. 207; lire 20.000 L a storia del Mezzogiorno negli ultimi venti anni, che Manlio Rossi Doria traccia nei suoi Seri/li sul Mezzogiorno, è la storia di una lenta e contrastata presa di coscienza della realtà meridionale, delle classi sociali che vi si possono identificare, del ruolo effettivo svolto da ciascuna di esse. Convergono in questa analisi la lunga attenzione che Rossi-Doria ha riservato alla società meridionale e l'intensa partecipazione che lo ha reso protagonista di tutte le fasi più salienti dell'evoluzione del Sud: dalla riforma agraria degli anni cinquanta, ai tenta- .tivi di programmazione degli anni sessanta, all'inserimento contrastato dell'agricoltura meridionale nella politica comunitaria negli anni settanta, fino allo sconvolgimento del terremoto e alle vicende della ricostruzione con cui si è tragicamente aperto il decennio ottanta. Una fede incrollabile nelle possibilità che il Mezzogiorno progredisca verso la costruzione di una società democratica traspare da queste pagine unita ad un lento ma incessante ripensamento che investe l'individuazione degli strati sociali sui quali è concretamente concepibile far leva per una trasformazione del Sud. Nel dopoguerra, Rossi-Doria, considerando superate le posizioni del vecchio meridionalismo, sia nella versione rivoluzionaria di Gramsci, sia nella versione liberista di Giustino Fortunato, si accostò alla corrente del nuovo meridionalismo, che si faceva propugnatrice di un deciso intervento pubblico, volto a realizzare nel Mezzogiorno una politica di opere pubbliche, nell'intento di stimolare un processo di sviluppo industriale. «Ho sempre giudicato e giudico saggia, egli scrive, l'impostazione data alla politica dell'intervento straordinario nel 1950. Nella situazione del paese e del Mezzogiorno qual era in quel momento, sarebbe stato impossibile, sarebbe stato follia, pensare all'immediato avvio di un processo di industrializzazione. L'unica via che fosse possibile seguire era quella di attenuare la disoccupazione manifesta, di migliorare la struttura agraria, di avviare un processo di intensificazione della produzione agricola e di eseguire sistematicamente un programma di opere pubbliche straordinarie con il doppio intento di un generale migliorament9 delle condizioni- di vita delle popolazioni e di creazione di una serie di infrastrutture -. ·1. ·~; \ ·~/li,;. \ ' ~ ! . ·, " \ .' '. \ \ . ! I • I ' . i ; I. ! ' ~~ ,·'; ! I_ Del Sud di base, capaci di costituire le premesse per un successivo processo di industrializzazione» (pag. 20). E, con decisione ancora maggiore: «Su di un punto le incertezze - che dieci anni or sono avevano ancora una certa consistenza - sono definitivam_ente scomparse: lo sviluppo del Mezzogiorno o sarà uno sviluppo principalmente industriale o non ci sarà affatto• (pag. 28). La scelta dell'industrializzazione portava con sé due esigenze imprescindibili, che Rossi Doria affrontò con estrema chiarezza fin dall'inizio. In primo luogo, l'estensione del settore industriale alle regioni meridionali. avrebbe inevitabilmente incontrato l'opposizione delle regioni del Nord. già avviate sulla via dell'industrializzazione da oltre mezzo secolo, ma ancora tutt'altro che consolidate sulla scena internazionale. Di qui la necessità di esigere il riconoscimento del problema meridionale come problema nazionale, tale da sollecitare l'attenzione non soltanto delle· popolazioni direttamente interessate ma dell'intera collettività. In secondo luogo, un programma di intervento pubblico poneva l'esigenza di una pubblica amministrazione dotata di quadri agguerriti, capaci di superare le difficoltà dell'ambiente, di resistere alle pressioni locali, di indurre nuovi modi di agire e di pensare. Inutile dire che simili speranze dovevano generare altrettante delusioni. Lo sviluppo industriale del Mezzogiorno incontrò le resistenze non soltanto e non tanto delle regioni più avanzate del Nord, quanto degli stessi ceti dominanti del Sud. La profonda trasformazione indotta nel Mezzogiorno dalla spesa pubblica, sia attraverso le opere pubbliche realizzate dalla Cassa per il Mezzogiorno, sia attraverso l'intervento della riforma agraria e la legislazione che aveva favorito la formazione di una estesa piccola proprietà contadina, aveva operato una radicale trasformazione nei ceti dirigenti, ma non in senso progressista. I vecchi ceti possidenti, i tanto deprecati proprietari assenteisti del latifondo, cosi come la borghesia minore proprietaria di appezzamenti costieri, vedeva ridotto il proprio peso sociale, o risultava trasformata in detentrice di rendite urbane in luogo delle precedenti rendite agricole. Al suo posto, sorgeva una nuova borghesia di funzionari ·che, in una società dominata dai flussi di spesa pubblica, occupando posizioni chiare nella pubblica amministrazione finiva per raccogliere nelle sue mani il potere nella misura più ampia. Essendo il potere di costoro fondato sul controllo Augusto Graziani dei fondi pubblici, essi riuscivano (e tuttora riescono) ad esercitare la loro autorità nella misura in cui l'economia del Mezzogiorno conserva la struttura di economia sussidiata, legata non già al mercato bensl al sostegno pubblico. Ogni passo verso la creazione di un tessuto produttivo autonomo avrebbe rappresentato per la nuova borghesia di stato, un netto passo indietro. Non vi è quindi da stupirsi se quel tanto di industria che è nata nel Sud sia stata legata a grandi iniziative, in buona parte connesse alle imprese a partecipazione statale, e comunque tutte finanziate attraverso sovvenzioni e sussidi finanziari. Lf industrializzazione che segnava il passo, l'agricoltura delle zone interne che diventava sempre più misera al confronto con il reddito che il lavoratore delle regioni avanzate riusciva ad ottenere, produssero l'aprirsi dei canali migratori in un deflusso di popolazione di dimensioni bibliche. L'ideale, di portare il Mezzogiorno ad un assetto di piena occupazione, ideale che per un istante, all'epoca della riforma fondiaria e della creazione della Cassa per il Mezzogiorno, era parso quasi realizzabile, si rivelò poco più di un sogno. mangiare a sufficienza perché secondo il vecchio detto mangiava 'pane ed erba cotta' - questa miseria non esiste più nelle zone interne. E questo sostanziale progresso è dovuto all'emigrazione> (pag. 100). Benessere materiale e disoccupazione, modernizzazione e clientelismo, grande impresa e lavoro nero si intrecciano nel Mezzogiorno di oggi in un groviglio che pare inestricabile, e che è comunque ben lontano dall'ideale di progresso democratico che il nuovo meridionalismo si prefiggeva come obiettivo. Il Mezzogiorno, proprio nelle zone più dinamiche, vive «uno sviluppo caotico, instabile, precario, irrispettoso di ogni ordine e civile disciplina ... e soprattutto una vita amministrativa e politica incapace di dar soluzione ai problemi di fondo di una società in sviluppo, di fare ordinatamente funzionare gli elementari servizi civili, dominata dalla innumerevole schiera dei piccoli mediatori politici, appartenenti ad ogni partito, interessati ad imprimere carattere clientelare a tutti i rapporti, compresi quelli che nascono sul terreno del collocamento, della previdenza sociale, dell'azione sindacale> (pag. '6). Forse non è facile dire con sicurezza quale sia l'insegnamento che RossiDoria trae da questa complessa quanto deludente esperienza. Ma è certo che la sua fiducia in un riformismo illuminista la cui azione scaturisca dalla saggia lungimiranza e dalla generosità delle regioni più avanzate e delle classi sociali più responsabili, appare oggi assai più pallida di quanto non fosse venti anni or sono. Oggi la sua analisi non parte più dai bisogni del Mezzogiorno per procedere all'individuazione dei mezzi tecnici per soddisfarli, ma procede con prudente realismo dall'analisi della struttura di classe della società meridionale all'individuazione degli strati sociali che sono in grado sia di costruire da soli una società diversa, sia di esigere una amministrazione pubblica diversa, che non sia mera espressione di un potere ed uno strumento di rapina. L e conclusioni che Rossi-Doria trae da questa rassegna delle forze aprono la porta ad una speranza. li Mezzogiorno non è più una società polarizzata fra un ristretto ceto privilegiato ed una massa contadina che langue nella miseria e nell'ignoranza. Nuove figure sociali, sia pure con fatica, stanno emergendo. Da un lato, si va affermando, anche se in misura numericamente limitata, una nuova imprenditoria locale; dall'altro il rientro degli emigranti non rappresenta soltanto, come accadeva in passato, il ritorno di anziani desiderosi di riposo e intenzionati a vivere sul risparmio accumulato, ma anche il riappropriarsi di energie ancora fresche e pronte ad impegnarsi in nuove attività produttive in cui transfondere le esperienze acquisite all'estero. «Gli agricoltori debbono rendersi conto che le stazioni sperimentali, gli studi, i servizi servono a ben poco ... se non trovano agricoltori organizzati in modo da servir di stimolo a quelle istituzioni e da utilizzarne i risultati. L'esempio degli agricoltori francesi dovrebbe e~ser per loro di ammaestramento. Il progresso non è stato, infatti, in questo caso, la conseguenza di un'illuminata azione governativa - che è venuta soltanto in seguito - bensl dell'accordo tra gli agricoltori più avanzati> (pag. 87). Queste sono le forze vive del Mezzogiorno di oggi. Nella misura in cui queste nuove energie sapranno esplicare un'attività costruttiva, ripristinare un'economia di mercato in luogo del groviglio clientelare oggi dominante, e imporre un rapporto democratico fra cittadino e amministrazione, è lecito sperare anche per il Mezzogiorno in un avvenire diverso. Non è una via facile né pacifica, dal momento che il percorrerla significa rovesciare i ceti parassitari oggi detentori del potere: «L'ostacolo principale alla formulazione, all'avvio, e alla realizzazione di una politica di sviluppo delle zone interne è un altro... Per adoperare un'espressione che i contadini usano quando parlano tra loro, l'ostacolo principale è rappresentato da quelli che essi chiamano i 'pirucchi' - i pidocchi- ossia l'attuale classe dirigente che ba il mestolo in mano nelle zone interne, come in tutto il Mezzogiorno> (pag. 106). Liberarsi dai pidocchi non è un processo blando e sereno. Le rivolte che di tanto in tanto sono esplose violente nel Mezzogiorno ne sono testimonianza concreta; ma anche una rivolta è già un segno di risveglio. «L'ultimo e forse più importante insegnamento che dalla rivolta di Battipaglia possiamo trarre, scriveva Rossi-Doria nel 1969, ~ appunte, questo: ~ in atto ormai nel Mezzogiorno la rivolta contro il modo prevalente di condurre la cosa pubblica, la contestazione dei lavoratori alla società politica, al modo di essere delle stesse organizzazioni di sinistra e sindacali> (pag. 7). Mezzogiorno di fuoco, lo denominava allora Rossi-Doria. Si può sperare che quel fuoco non si sia estinto? Nel Mezzogiorno, opere pubbliche e grande industria producevano si uno sviluppo veloce del reddito e cancellavano i segni dell'antica miseria, ma milioni e milioni di meridionali, senza alcuna reale assistenza da parte delle autorità statali, dovevano faticosamente trovare lavoro e sussistenza in altri paesi. «Personalmente, scrive Rossi-Doria, debbo dichiarare che non avrei mai creduto di potere vivere tanto a lungo da vedere la fine della miseria contadina di queste zone, e invece l'ho vista. Oggi la miseria contadina - la miseria della gente che non aveva scarpe, che viveva nelle capanne o in una sola stanza, che non aveva da ..,..:'· I . , I I t ~ I, , r; I ·\ I I l I 1 I I f ! I' I q ( " ! I ·\·-~-~- >; ; I <, . ,_.·., ( I • ·\"(~-- . ; / I /f .:· I ,.:.. . .. ,,~"' /, J , .. · (-· ; : I j ' ........... ___ l r '-- ' )
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