Alfabeta - anno IV - n. 37 - giugno 1982

"' 00 ~ Antonio Negri Macdllaa,teapo Rompicapi, liberazione, costituzione Milano, Feltrinelli, 1982 pp. 334, lire 18.000 Mario Vegctti <Lucrezio e il materialismo pacificato•, in A■t-A■t n. 186, novembre dicembre 1981 Mario Vegetti cLo stoicismo per esempio•, in Alfaheta n. 35 aprile 1982 Miche! Scrres LacraJo e le origi■i dela fillka Palermo, Scllerio, 1980 pp. 201, lire 10.000 René Girard La TI01e■z11 e il acro Milano, Adclphi, 1980 pp. 420, lire 14.000 A ntonio Negri ha titolato Macchina tempo una raccolta di testi in parte già noti perché pubblicati su varie riviste o presentati in occasione di seminari e convegni fra il 1976 e il I 981, cui si sono aggiunti un saggio introduttivo cd il lungo scritto conclusivo «La costituzione del tempo. Prolegomeni». La fine del tempo misura Con il dominio del tempo-misura del capitale si è compiuta, secondo Negri, la parabola della tradizione oc- • cidentale dell'idea di tempo, descrivibile come un processo ininterrotto di spazializzazione del tempo, di modo che il tempo negato (quello plurimo e irreversibile dei soggeni concreti) è illusoriamente ricostruito sulla trama dello spazio: di tempo dell'economia politica è nomenclatura, autodichiarazione di valore, comando. È quindi negazione del tempo reale che è sentito come antagonistico, o- meglio - sua riduzione entro schemi formalmente dialettici: il ciclo e l'andamento ciclico, il mercato e il piano - ossia, il tempo è configurato, nell'andamento ciclico, nella forma ed alla stregua del criterio di ordinamento dello spazio economico, come reversibilità di tutti i punti, circolazione, moneta. Il tempo ideale è, da questo punto di vista,spazio equilibrato» (pp. 320-21). Spazio equilibrato è a sua volta sinonimo di spazio ideale, di spazio astratto; la circolazione capitalistica, infatti, non è caratterizzata solo dalla «evanescenza temporale• ma dall'impossibilità di annettersi uno spazio fondativo. Il continuum spaziotemporale del capitale non ha spessore materiale, è un universo estatico. Questo è il motivo per cui molti luoghi dell'opera di Marx (Negri cita in particolare la definizione del lavoro complesso, di lavoro produttivo e improduttivo, della forza-lavoro produttiva e della funzione produttiva del lavoro scientifico) assumono carattere aporetico, spiegando la produzione astratta di valore in base ad un principio esterno, vale a dire al valore d'uso, che viceversa è omologabile solo allo spazio fisico, alla corporeità dei soggetti produttivi ed alle rispettive dimensioni temporali concrete. L'aporia dialettica si risolve quando il modello teorico svi)uppa il concetto di sussunzione reale del lavoro sotto il dominio del capitale. Non appena la sussunzione non appare più il risultato della circolazione produttiva, ma il suo ::? presupposto, la produzione capitalisti- °" -~ ca non deve più ricorrere a motivi ~ esterni, tutto il lavoro è effettivamente .., ridotto a quantità di tempo-misura. La tautologia teorica della realizzazione completa della legge del valore non è tuttavia solo dominio della indifferenza qualitativa ma anche presupJ o e ç1 a ~I~ del tempo posto della crisi del tempo-misura. La sussunzione reale trascorre infatti progressivamente dalla dimensione intensiva dei singoli processi produttivi a quella estensiva del processo riproduttivo sociale, fino a determinare l'identificazione di tutto il tempo di vita dell'individuo sociale con il tempo di produzione; a questo punto nasce l'interrogativo: chi misura chi? La risposta è la posta in palio del dibattito scientifico e filosofico del nostro secolo sulla crisi dell'idea di tempo. Negri ne ripercorre rapidamente le tappe fino agli esiti del riconoscimento della molteplicità dell'esperienza temporale e del carattere discronico della società «postindustriale•, affermando che esso appare irrimediabilmente segnato dal tentativo di reinventare comunque un «tempo-involucro•, di trovare una nuova mediazione fra i tempi multipli, offrendo al tardocapitalismo nuove unità di misura. L'osservazione è chiaramente rivolta a quelle linee di ricerca di una «nuova razionalità• che mostrano troppa fretta di chiudere il bilancio della crisi in una prospettiva neocontrattualista. Porre il problema della mediazione fra i tempi multipli significa ridare forma dialettica all'opposizione fra produttività del lavoro e produttività del capitale in un'epoca in cui esiste ormai solo una <produttività del sistema•, di modo che il tempo della liberazione non può più essere tempo sottratto al capitale contrattando politicamente il rapporto fra lavoro necessario e pluslavoro nell'ambito della giornata lavorativa sociale. Nella nuova determinazione si è infatti dissolta «la distinzione canonica fra meccanismi di estrazione del plusvalore assoluto (allungamento della giornata lavorativa) e del plusvalore relativo (intensificazione della produttività del lavoro): v'è solo estrazione di plusvalore, sulla base della cooperazione funzionale di tutto il lavoro sociale, v'è solo organizzazione dello sfruttamento come comando che si esprime sul complesso del lavoro sociale• (p. 287). Uberazione,separazione,guerra Il tempo liberato secondo Negri (ciò che egli chiama autovalorizzazione proletaria) non è perciò il tempo sottratto al capitale ma l'attività di questa sottrazione: la macchina tempo, è ... «il concreto dei processi di liberazione ... il punto in cui convergono le traiettorie sostanziali del tempo. Il concreto è la soggettività di una composizione proletaria sociale che si fa orizzonte, superficie di totalità• (p. 33 I). Si tratta cioè di costituire la sostanza temporale come orizzonte materiale dei soggetti produttivi e delle loro qualità, in altre parole, la totalità delle pratiche e dei comportamenti soggettivi intesi nella loro dinamicità corporea, sostanza temporale che si sottrae al tempomisura in quanto quest'ultimo, ormai privo di referenti esterni per i suoi segni astratti di valore, è costretto a ridurre tutto il reale non più all'unità, ma allo zero. Tempo-zero dell'intercambiabilità indifferen~iata di tutti i valori, estasi temporale della circolazione (ben simboleggiata dallo scambio • in tempo reale• delle informazioni che circolano nelle reti telematiche), contro cui Negri gioca l'immagine di una superficie materiale intessuta della totalità degli eventi temporali soggettivi. L'immagine è estremamente radicale: da una parte tutto il tempo «spazializzato•, concentrato nella verticale su un punto, il tempo ora, l'eterno presente della circolazione; dall'altra tutto lo spazio dinamizzato, superficie temporale di indefinita estensione orizzontale che si espande attraverso la produzione di everiti soggettivi irrer.Q versibili, la macchina tempo dell'autovalorizzazione del soggetto sociale. Il tentativo è quello di scongiurare cosi ogni possibilità di sintesi dialettica, di fondare una separatezza assoluta, uno schema dualistico ma non dialettico. Come impedire tuttavia che il mondo della liberazione divenga l'omologo rovesciato del mondo del comando? Negri ammette l'estrema difficoltà dell'impresa, la affronta giocando tutte le sue carte sulla separazione... e perde.•Perde perché la sua scelta lo conduce a fondare la «costituzione proletaria del tempo della vita• sulla guerra contro lo Stato, su una guerra cioè già combattuta e persa. Il punto è che la separazione è a sua volta tentativo di ridurre le modalità dei soggetti concreti nelle forme intenzionali e finalistiche della razionalità politica di tipo progettuale. Esso si fonda necessariamente sulla contrapposizione del movimento storico all'estasi del capitale, ed è inevitabilmente. costretto a reintrodurre dalla finestra l'astrazione dialettica cacciata dalla porta, in quanto riduce a puro movimento, ad idealità, l'estensione materiale dei soggetti concreti. Quando tenta di fondare ontologicamente la separazione, Negri è costretto a mettere da parte la lezione di Spinoza che lui stesso ci aveva ricordato poco fa (cfr. L'anomalia selvaggia, Feltrinelli, 1981), è costretto a dimenticare che l'orizzonte dei soggetti concreti e delle loro modalità è una totalità senza residui: le pratiche e i comportamenti proletari non conoscono l'idea astratta del capitale, ma l'estensione materiale che essi sono in grado di occupare)la negatività del capitale si offre alla loro esperienza solo come «vuoto•, confine di morte; ma la potenza produttiva non si arresta nemmeno di fronte a questo confine, deve operare per la sua integrazione simbolica. Ignorando il continuum della sostanza simbolica, Negri non coglie il processo della totalità dei tempi-movimento irreversibili, il fatto che la loro irriducibilità a qualsiasi involucro temporale astratto, non li pone tanto in un rapporto di opposizione antagonistica col tempo-zero del capitale, quanto li spinge a fagocitarlo, ad integrarlo nel loro orizzonte, destrutturandone le forme ideali e rielaborandole come estensione concreta. Materialismo e pratiche rituali È la prospettiva della tradizione materialistica di Democrito, Epicuro e Lucrezio, oggi riproposta da Serres (cfr. Lucrezio e le origini della fisica, Sellerio 1980), alla quale Negri si rifiuta di attribuire più che un valore di simbolo della «radicale alterità di una concezione libertaria, materialistica e collettiva del tempo•, ammonendo sui rischi di volerla assumere con effettivo valore di superamento delle concezioni attuali. L'ammonimento è solidale con quello lanciato da Vegetti nelle sue recenti critiche a Serres (cfr. «Lucrezio e il materialismo pacificato•, in aut aut 186, novembre-dicembre 1981): nel gioco atomistico delle microdifferenze è facile smarrire, assieme ai potenziali differenziali «forti», ogni ragione di lotta di classe. Il dubbio comune a molti è che il fisicalismo della tradizione atomistica e la sua attuale rinascenza filosoficoscientifica liquidi la forma dialettica dell'antagonismo senza che le sue di~- namiche microdifferenziali siano in grado di offrire un potenziale di lotta alternativo. Vegetti sembra anzi convinto che si tratti di una ideologia della liberazione attraverso il distacco dal mondo (e quindi non interessata alla sua trasformazione), come ha recentemente ribadito su queste stesse pagine (cfr. «Lo stoicismo per esempio•, in Alfabeta n. 35, aprile '82), istituendo una omologia fra la figura stoico-epicurea del saggio e quella dell'attore nella tarda classicità greca: «Paradigma dello stolto è per gli stoici il personaggio Edipo, che tenta di lottare contro il fato mentre ogni suo sforzo non fa che avverarlo. L'attore che rappresenta Edipo è invece installato nel tempo presente della simulazione, in un luogo intensivo che gli consente al tempo stesso di conoscere analiticamente passioni e sventure del personaggio e di restare del tutto indifferente di fronte ad esse. Il saggio/attore non può scegliere la sua parte, ma può interpretarla bene quale che essa sia: dove «bene• significherà sia lo stile della interpretazione, sia l'indifferente distacco rispetto ad essa. In un universo dominato dalla necessità, l'unica forma di creatività è dunque nella simulazione, nel controllo che essa consente di imporre, dall'interno, sul grande Testo preordinato•. La metafora si rivela tuttavia talmente ricca da suggerire argomenti che vanno nella direzione opposta a quella indicata da Vegetti, confermando, piuttosto che mettere in dubbio, il valore dell'antico paradigma mate.rialistico ai fini della trasformazione della realtà. H nodo sta nella corrispondenza fra «tempo presente della simulazione» e «luogo intensivo» della conoscenza analitica: le due figure coincidono solo al prezzo di una fortissima tensione e suggeriscono come l'ambiguità del reale e l'ambiguità del simbolico non siano qui in una relazione speculare ma fortemente interattiva. Per chiarire ciò che intendo, mi rifaccio alle analisi condotte da René Girard ne La violenza e il sacro (Adelphi 1980) sul rapporto fra la tragedia greca e quella che egli chiama la «crisi sacrificale». La crisi è definita dall'irruzione dell'indifferenziato nell'ordine sociale: quando il sistema delle differenze culturali che garantisce le identità individuali e collettive viene messo in discussione, si entra nell'estasi temporale dell'esperienza mistica con tutto il suo corredo simbolico di terrore, violenza e morte. Solo l'attualizzazione del sapere incorporato nelle pratiche rituali del sacrificio è in grado di risolvere la crisi: la ripetizione minuziosa e distaccata dei gesti rituali struttura il «luogo intensivo• dello spazio sacro, immerge i partecipanti al rito nel «tempo presente della simulazione» per trarli fuori dall'eterno presente dell'esperienza mistica, e consentire la ripresa della vita sociale. Analogamente il Testo tragico evoca l'eterno presente, l'estasi mistica e l'orrore mortale che si accompagnano alla perdita delle differenze (l'orrore di Edipo figlio e marito) assegnando all'attore il compito di condurre la comunità del pubblico oltre la crisi, di realizzare l'integrazione simbolica della morte. La maestria dell'attore, l'indifferente distacco con cui egli attualizza la sventura mitica, è la via per vincere il caos dell'indifferenziato. L'interpretazione di Girard è radicalmente materialistica: non l'ideale· mitico ma la prassi rituale è al centro dell'attenzione. La gestualità rituale dell'attore (del sacrificante) •sostanzia» l'esperienza simbolica strutturandola nel «luogo intensivo» (spazio scenico - spazio sacrificale), spazio di simulazione che consente di reintegrare nel tempo della simulazione il tempo estatico; interpretando ilTesto l'attore lo conosce e se ne distacca, allontanando l'incubo dell'eterno ritorno dell'eguale e consentendo al tempo di rientrare nel movimento reale, di riaderire al continuum materiale. Riletta alla luce di questa opposi- ' zione fra ideale mitico e pratica rituale, la metafora di Vegetti assume .nuovo significato: il capitale attualizza e rende permanente il dominio jiell'indifferenza, l'estasi mistica della circolazione, il Testo mitico della Legge del Valore; esiste oggi invece una via dell'indifferenza rituale, di una recitazione analitica e distaccata del Testo che ne rovesci l'ineluttabilità (e naturalmente qui non si parla più del saggio- /attore, ma di pratiche di massa)? Per rispondere occorre sciogliere l'equivoco di quelle posizioni nell'ambito del postmodernismo che hanno interpretato la resistenza delle masse al dominio del capitale/modello di simulazione come pratica speculare di raddoppiamento del codice, la cui capacità di produrre senso sarebbe appunto neutralizzata dal rinvio al potere della sua stessa immagine. In questo modo non è tanto la polarità dialettica ad essere neutralizzata, quanto ogni ambiguità simbolica del reale, col risultato di rendere inattaccabile il dominio del codice. La definizione delle pratiche di simulazione di massa contro il capitale richiede al contrario un radicale spostamento di accento dall'astrazione del codice alla concretezza del materiale simbolico. In questo senso l'interpretazione della filosofia di Lucrezio in termini di teoria della comunicazione, operata da Serres, non assume un valore meramente suggestivo ma diviene strumento conoscitivo di una pratica di trasformazione. Ne ricordo telegraficamente alcuni elementi. L'immagine lucreziana del Caos primigenio è esattamente l'immagine dell'indifferenziato, della ridondanza assoluta: tutti gli atomi vanno nella stessa direzione in uno scorrimento laminare parallelo, non esistono cose né senso. Su questa immagine del nulla si stagliano successivamente delle turbolenze prodotte dal e/inamen (impercettibili deviazioni casuali degli atomi dalla loro traiettoria), che sono preludio alla generazione del nostro universo fisico, composto da forme di stabilità relativa su uno sfondo di instabilità cui continuamente ritornano. In questo universo la comunicazione (la produzione di senso) avviene attraverso i «simulacri», sottili involucri di atomi che si staccano dalle cose e vanno a colpire altre cose (per esempio i nostri organi sensoriali). Le cose e il senso vengono all'essere insieme, né può esistere l\n soggetto trascendentale, dato che conoscenza ed essere coincidono. Da questo punto di vista ciò che produce senso per il capitale - l'astrazione del codice - si presenta come l'immagine del Caos, mentre gli eventi casuali che per il sistema di simulazione rappresentano fonti di rumore, di disturbo della comunicazione, appaiono l'origine del senso. Nella lotta contro l'apparato tecnologico di dominio, il quale opera solo se il codice che Jo·governa è in grado di riprodursi, è quindi sulla natura materiale dei simulacri che occorre puntare, sulla loro estensione e sulle possibilità di manipolazione che essa comporta. Le immagini e i loro supporti tecnologici diffondo il codice, ma le masse interagiscono sempre meno col codice e sempre di più con lo spazio descritto dalle immagini, spazio di simulazione che esse stanno imparando ad abitare, per produrre senso al di là dell'estasi del codice. Il codice è solo una fra le infinite possibili immagini prodotte dal movimento degli atomi di senso, e stiamo forse imparando che separazione e guerra sono vie che favoriscono la sua capacità di riproduzione molto al di là della sua probabilità statistica. '·'

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