.., "' 2 .::: "<> "' Da Materiali fflosofid, n. 4/5, Milano, Franco Angeli Editore,- I 98 I pp. 220, lire 10.000, numero speciale dedicato a «Pragmatica enunciazione discorso•: 0swald Ducrot, L'argomentazione perantorità, pp. 7-25; Silvana Borutti, La parola e il suo soggetto: per un'analisi del modo di circolazione del significato, pp. 27-62; Claudia Caffi, Alla ric:ercadei performativi perdnti: considenzioni sa almne proposte di classificazione, pp. 63-93 Christopher Lasch La cultura del narcisismo Milano, Bompiani, 1981 pp. 283, lire 14.000. e hiunque prenda la parola, in qualsiasi istante, luogo, modo la prenda, si sbilancia quanto basta perché si verifichi una compromissione enunciativa; sul piano terminologico, per i non linguisti, si ricorda che con «enunciazione• si intende atto di dire, «enunciato• è il risultato dell'atto stesso. Enunciare è sempre enunciarsi. Questo rischio lo si corre anche quando oggetto dell'enunciazione è un enunciato del tipo «Bella giornata, vero?-, pertinente al linguaggio «ascensoristico• giornalmente e da chiunque sperimentato, e marcato dalla duplice valenza tautologica - sul piano logico-linguistico del suo tasso d'informazione - e viceversa informativa - sul piano pragmatico-linguistico, psicologico e retorico della volontà d'interagire che esso solitamente denuncia. Il concetto di enunciazione cade dunque nel raggio d'influenza della pragmalinguistica, comprendente la teoria degli atti linguistici come sviluppo di una linguistica del testo «in situazione• ma anche la linguistica dell'interazione: che sconfina a sua volta negli studi psichiatrici della comunicazione umana e nella riscoperta semiotica della retorica come teoria della figuralità discorsiva e come teoria dell'argomentazione di aristotelica ascendenza. «Enunciazione• è divenuta cosi parola-concetto di frontiera: diversamente angolata secondo la prospettiva disciplinare prescelta ed esposta - ahimé - alle insidie sloganistiche d'ogni nozione balzata in primo piano fuori dalle dispute accademiche. Enunciare ovvero agire linguisticamente: il saggio inaugurale di Austin How to do things with words, punto d'avvio della teoria degli atti linguistici entro il filone filosofico-analitico di Oxford, è stato tradotto in italiano nel '74 (l'originale è del '62) col titolo Quando dire è fare. Titolo particolarmente infelice, come osserva Oaudia Caffi, esperta in materia, «perché, presupponendo l'esistenza di casi in cui dire non è fare, suggerisce la marginalità, l'episodicità di quella che invece è una caratteristica connaturata al discorso, il suo essere attività intersoggettiva, convenzionale, governata da regole• (p. 64). Senza dubbio, alcune forme di "'- enunciazione costituiscono atti lingui- ~ stici più espliciti di altri e più di altri efficaci nel modificare o istituire stati g di cose; è il caso delle espressioni per- ~ formative analizzate da Austin del -~ " .., tipo: clo vi dichiaro marito e moglie•, «con la presente rassegno le mie dimissioni•, «giuro di dire la verità, etc.• ~ e riferite alle situazioni ipercodificate, ,<, $ rispettivamente, della ratifica matri- "' moniale, di una lettera dimissionaria, L'enunciazione del giuramento reso in un processo; ma è innegabile che ogni enunciato, in forme diversamente convenzionate o convenzionabili, è un tipo d'azione: ed è noto che tra i comportamenti umani quello linguistico è il più «umano• (connotazioni terminologiche a parte) che si possa rintracciare. L'insofferenza dimostrata dalla Caffi per una vasta area della linguistica pragmatica tutta intenta al «progetto Flavia Ravazzoli linguistiche cesellanti che tuttavia afferiscono alla logica del discorso, non alla struttura del lessico. In tale prospettiva, ogni enunciato costituisce una descrizione della propria enunciazione e come tale va messo a fuoco: di qui la caccia alle più minuscole tracce enunciative, prime fra tutte quelle deittiche (pronomi personali, dimostrativi, avverbi di tempo e di luogo riportabili alla concreta «situazione detta al circostanziato atto di dire che le sta dietro. Premessa generale, filosofico-linguistica, è che la non-innocenza del parlare sta nei vincoli di natura quasi giuridica che chi parla contrae circa le conseguenze non mai pacifiche del suo dire: in questo sistema di diritti/doveri per lo più automatizzati che è il linguaggio anche una mezza parola sfuggita di bocca, non pensata né voluta, è FrancDo ionesalvi Poesie d'-biente 1. Raurappiti sconnessi scollavano le unghie i tuoi piedi di vertigirrerosa. C'era un campo sgretolato ad occidente dove ridevano di pannocchie inalberando bambini aquiloni. Sventolavano acini d'uva poeli silellli assiepati a braccello di calici scolpiti ubriachi. Scalpitava il puledro all'alba disseccava il bronzo di rreve. Al callliere della nave in costruzione la lettera in arrivo era selvaggia come un fiore. Soffuse le zolle di nuova mistura da rivoli d'arancio pervase il cactus duro a morire. Una venlata polverosa si levava fra gli operai della fiera. Come confessare che s/asera in una s1aru.acompressa a/l'ultimo fascio di luce del giorno io mi libravo in volo? ecumenico della· tipologia dei verbi performativi• (p. 92) si appunta soprattutto sul lento ma inesorabile passaggio avvenuto tra gli specialisti del settore dalla classificazione di azioni linguistiche riconoscibili come tali alla sofisticata quanto vacua tassonomia di verbi. • Al recupero auspicato in Austin e Benveniste della dimensione «esecutiva• della lingua da parte della linguistica è subentrata sempre più in area anglosassone-statunitense una semantica di parole dedita soprattutto a stilare liste di verbi secondo acrobazie nominalistiche estenuanti. A quest'insofferenza fanno eco le prese di posizione anti-nomenclatorie della linguistica pragmatjca francese legata al nome di Ducrot e di ampie zone dell'epistemologia nostrana. La filosofia analitica anglosassone è per Ducrot lo sfondo teorico in cui innestare contributi di retorica del discorso nel senso «argomentativo» del termine, fondato su procedure micro2. La 1uapallida aura conficcala nella ricognizione di nubi esis1enzialimielose edulcorate da ineffabili soffere11zeche imiepidiscono questo sorriso sopraggiunto quieto, e ti infervora l'arcano che ripercorri i11 una parata di scacchi blu e bianchi risalendo la sensazione di spruzzi d'acqua sulla pelle sei tu pure 1111 sapore era ruuo dappri11cipio uno uro senza memoria. Inseguirò i tuoi boccoli fin nel bosco di marmo dei tuoi sogni di notte. 3. Non fiori aprono u11a distesa di viali spumeggiante di misture di indaco e giallo di là dell'inferriata, un boato forse morto in gola siÌenziato dai tuoi passi di piombo, o solo tratteggiato a fine pagina a carboncino nero appena polveroso. Quaggiù la tua voce odora di nulla, è colma la memoria in ogni suo grumo. Sono guerrieri di sabbia e sale come meteora andata senza terra. Decolla a occhi umidi l'amico robot pedalando. enunciativa» di cui ogni enunciato è il prodotto). Ducrot esamina al rallentatore le inflessioni semantiche meno ovvie di avverbi come mais e décidémem, i rinvii palesi o latenti di ogni espressione ..., -..;.~... i=, ~-,,,. . 'v / ' -7~~ J/!~:~ ~ ,, -.=. immediatamente «interpretabile», dunque manipolabile, nella situazione di discorso. S viluppando una distinzione già presente nel Tractatus di Wittgenstein, Ducrot sottolinea la particolare bivocità del dire: se ad esempio io dico a Tizio, aprendogli la porta, «Sei in ritardo•, non solo in quel momento 'asserisco' {dico,) che Tizio è in ritardo, ma contemporaneamente 'mostro' {dico2) di asserire che Tizio è in ritardo (nel caso specifico, il mio dire2 equivale alla messa in mostra di un rimprovero sotto forma di asserzione e tramite una constatazione di fatto). In pratica, il dire qualcosa, qualunque cosa, comporta sempre un dire sul dire: questo secondo piano metaenunciativo si potrebbe definire 'commentativo' in rapporto e complemento a quello 'assertivo' di primo piano: le implicazioni di questa prospettiva biplanare per l'analisi del discorso sono, 01u11uLe(.;ay1nob1an(.;u generalizzando, tutt'altro che banali.· Non occorre invocare ad esempio le classiche domande retoriche (atti assertivi indiretti secondo Searle) per introdurre la 'retoricità' nel discorso, sotto forma di 'figuralità sintattica': qualsiasi enunciato (anche il più 'diretto', il più esplicito) sottende la dimensione retorica dell'enunciazione di cui esso è il commento; il reticolato di presupposti materiali e psicologici, nonché il 'prima' e il 'dopo' in cui ogni atto di parola si (con)testualizza. L'«essere parlati• dal discorso tematizzato con diverse premesse e cornici da Lacan e Foucault trova qui una validazione pragmalinguistica significativa. Dicendo a Tizio «sei in ritardo», in una situazione di discorso effettiva, io dico2 che dico, che Tizio è in ritardo; ed è il mio dire2 che si carica di responsabilità circa il seguito dell'interazione, inaugurata in modo piuttosto aggressivo, anche supponendo un'intonazione di voce neutra: è il dire2 che determina con effetti dirompenti la psicopatologia linguistica quotidiana, fondata spesso sul piano 'relazionale' della comunicazione {per dirla con Watzlawick) più che su quello dei contenuti. Altra scissione analitica utilizzata da Ducrot è la coppia locutore/enunciatore: locutore è chi materialmente enuncia una certa espressione; enunciatore è l'autore che l'espressione data assegna all'atto linguistico in essa contenuto. I due possono coincidere (come nel caso dell'enunciato «Me ne vado•, in cui l'io che parla è in quell'- hic et nunc anche il soggetto dell'asserzione enunciata), ma non necessariamente: in modo lampante in enunciati come «Antonio dice che se ne va» - in cui l'io che produce l'asserzione non coincide con Antonio, autore dell'asserzione riportata - e in forma meno evidente nel caso di enunciati del tipo: «Pare che Alfabeto si esaurisca in fretta: sbrigati a comprarlo», in cui si ha, per via di quel pare, comunissimo nella retorica verbale quotidiana con valenze più o meno ironiche e 'diversive', la presa di distanza del locutore nei confronti del!'enunciatore (l'impersonale, anonimo sogge·uo implicato nel pare). Quest'ultimo caso esemplifica per Ducrot la struttura «polifonica• tipica del ragionamento per autorità, che suona cosi: «Mi è stato detto che Alfabeta si esaurisce in fretta: dunque io penso che si esaurisca in fretta•: sillogismo vagamente cartesiano dove è chiaramente implicito il passaggio argomentativo (o premessa minore): «Chi mi ha detto che Alfabeto si esaurisce in fretta è persona degna di fede•. Giova rammentare che queste procedure microdiscorsive sono comuni al parlato spontaneo e, con diversi esiti pragmatici, allo scritto più elaborato come quello letterario. Nel genere narrativo l'argomentazione per autorità, chiamata da Bachtin in Estetica e romanzo «motivazione pseudo-oggettiva», consiste nell'introdurre opinioni altrui, generalizzanti, nell'universo di discorso interno a una narrazione data: con effetto enunciativo (polifonico alla Ducrot) di frantumazione della voce narrante. Si veda en pass011t l'attacco in corsivo delle Cosmicomiche di Calvino: «Una volta, secondo sir George H. Darwin, la Luna era molto vicina alla terra. Furono le maree che a poco a poco la spinsero lontano: le maree che lei Luna pròvoca,nelle acque terrestri e in cui la Terra perde lentamente energia». O questo inizio di sottoparagrafo nella Dissipatio H.G. di Morselli: «La fine del mondo? Uno degli scherzi del- ...
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==