Charles Baudelaire Scritti sull'arte a cura di G. Guglielmi ed E. Raimondi Torino, Einaudi, 1981 pp. 379, lire 50.000 Franco Rella Miti e figure del moderno Parma, Pratiche Editrice, 1981 pp. 135, lire 6.000 Romano Luperini li Novecento Torino, Loescher, 1981 pp. I003, lire 27.000 P er caratterizzare «ce quelque chose qu'on nous permettra d'appeler la modernité» il Peintre de la vie moderne ricorre a una immagine conflittuale, ad una figura di scissione: «La modernité, c'est le transitoire, le fugitif, le contingent, la moitié de l'art, doni l'autre moitié est l'éternel et l'immuable». li dissidio apertosi nella sensibilità romantica tra finitezza e assoluto non abdica più alla propria valenza traumatica in favore di ricomposizioni totalizzanti. Di fronte all'ideale ( celleabsurdité, celle impossibilité) la differenza accampa i buoni diritti di un io irrimediabilmente franto (son pauvre «moi» dalla lingne brisée), conquistando il tempo della metamorfosi, del fittizio, del sostitutivo. Se i Journaux intimes esaltano la « jouissance de la moltiplication du nombre• nel paesaggio metropolitano degli incontri-commiato casuali e irripetibili, lo choc determinato dal sovrapporsi di nuovo e ignoto, tra una folla che prostituisce l'anima (ma è, questa,sainte prostitution) è anch'esso celebrazione dell'effimero, nello spazio della non-memoria privo di durata e temporalità. Il viaggio baudelairiano attraverso i Salons parigini, che l'elegante vol!lme einaudiano presenta in traduzione aderente al testo, e insieme aperta a felici esiti inventivi, è itinerario statico, percorso ripetitivo tra una serie fittissima di oggeui, colori, suoni, gesti: vero monumento della contemporaneità, musée imaginaire di un presente che sopravvive fingendo la fissità del 'già visto', trasformandosi in rovina non deteriorabile, memoria archetipica di sé, maschera dell'attualità. Nella introduzione, che affianca a precisi riferimenti culturali suggestive ipotesi di lettura, Raimondi individua nei cawloghi di esposizione raccontati da questo stravagante critico d'arte, nelle sue «rassegne dell'effimero», nella «rapide promenade philosophique à travers les peintures», una sorta di genere letterario non distante, nelle intenzioni, dal romanzo. Ed è il romanzo, appunto, del travestimento borghese, l'epopea della «vie actuelle•, con l'eroismo di atteggiamenti paradossali, di parodie compromissorie, di valutazioni sospese tra culto dell'arte e destino di mercificazione, cui il fH\neurassiste impassibile, disincantato e disinteressato. Cionondimeno i giudizi del «critico• risultano taglienti, incisivi, posseggono il rigore della denuncia, la stessa cruda espressività che «le plus curieux martyr de tout Paris» rivela nelle Lei/ere (ora parzialmente tradotte a cura di Guido Neri presso la Nuova Cappelli). Il cinismo che consente al poeta di fissare, con precisione calcolatissima, il proprio valore-di-scambio («Ma chère mère-scrive il 20 dicembre 1855 a Madame Aupick - (...) Je manque de tout (...) vous ignorez tellement ce que c'est qu'une existence de poète (...) Avec 1500 frane tout sera fini en trois jours. Franche meni la vie d'un poète vaut bien cela: ce n'est ni plus ni moins (...)•) contiene lo stesso sarcasmo, la stessa lucida e disperata verità dei versi che oscillano tra Beauté e laideur, o delle riflessioni sull'Essence du rire, esplosione satanique e dunque profondément humaine pertinente all'essere lacerato dalla vertigine dell'abisso che accoglie une grandeur e une misère infinite. B enjamin, mentre parla di «crollo» e «sparizione» dell'esperienza, ascrive, si sa, la dissoluzione dell'aura al temps perdu della coscienza smarrita, del vissuto rimosso, avvertito come manque da chi si aggira senza meta nello spazio metropolitano, tra la suggestione dello spleen e la nostalgia della vie antérieure. Ed è già la percezione di una dissonanza tra storia e durata, tra archetipo e istantaneità, la dimensione nietzschiana dell'inattuale, l'impossibilità dell'altrove sperimentata da chi percorre, complice, il labirinto della modernità. Non a caso il Rella studioso delle immagini del moderno (Rinascità, n. 7, 19 febbraio 1982) vede prefigurarsi, nell'esplorazione incessante dell'infaticabile cronista del transeunte, il «pensiero della crisi». Certo, nel «go0t nature! pour l'excessif» dell'osservatore di strade e «saloni» si riflette la temporalità aprospettica e come reversibile di chi accumula esperienze con urgenza maniacale, da collezionista, appunto, espropriato della memoria e della speranza. Ed è già, in qualche misura, la malattia nietzschiana che assorbe il plurale e il diverso nel sapere di superficie, un eterno ritorno dalle fasi accelerate; o il «mal di mare in terra ferma» cui accenna Kafka, e ancora la metafora tensionale di Musil che richiama !'altrove alla possibile pluralità dell'esperienza. Sono presenze e suggestioni che si ritrovano tutte in Miti e figure del moderno, agile volumetto scritto intenzionalmente e zarathustriamente a passo di danza, ritmato da «immagini mentali» (indicativi al riguardo i titoli dei capitoli: li pensiero dell'altro, Malauie, Evanescenze, La vertigine del moderno) talmente obsédantes da produrre turbamento (nell'autore, innanzituuo, come avverte la Premessa). Ma la scriuura trascinante e ariosa, percorsa da costellazioni fluide, mentre tende a proporre un nuovo genere, una nuova strategia compositiva (che si tratti ancora, come per il Baudelaire dei Salons, di fascino di un romanzo tutto aperto, e misto, e sperimentale?) è poi così eccedente le ragioni tematiche, e l'approfondimento meditativo, da lasciare perplessi. Muoviamo da ragioni minime (ma che poi insignificanti non sono affatto). Se la ricerca di un «linguaggio di 81u11uu:~\,;ay1r1ub1ancu figure» comporta proprio la necessità di «ibridare• (ci si passi la citazione) «il discorso filosofico con la letteratura», occorrerebbe però maggiore cautela, e ritegno, nell'utilizzare uno strumento (penso alla poesia, in particolare modo) che si regge su una propria necessità di struttura, in bilico tra significante e significato. Non si può, insomma, citare Montale solo perché i «cocci aguzzi di bottiglia» trasmettono l'idea dell'asperità dell'esistere, dissolvendo, del testo, proprio la sua legge costitutiva sempre fissata, dinamicamente, «al punto d'incontro fra livelli tematico-ideologici e formali» (cosi la Corti del Viaggio testuale). La poesia, la sua ambiguità, non si prestano a operazioni che ne ritaglino le valenze referenziali a scopi dimostrativi. O si rischia di incorrere davvero nell'errore prospeuico segnalato da Luperini (Alfabeto, 33), di considerare cioè la letteratura «sede di rivelazione», in una ibrida (di nuovo!) coincidenza tra filosofia e critica letteraria, in cui la tensione della parola, souratta alla sua «materiale storicità sociale, culturale, antropologica», si perde nell'indistinto della pronuncia astratta, esemplare, depositaria di verità. Il rischio, già immanente al Silenzio e leparole (Milano, 1981) veniva neutralizzato, in quella sede, dalla specificità dell'analisi, rigorosa e puntuale, che da Weininger a Wittgenstein, da Rilke e Musil, a Nietzsche, inseguiva I'«alternativa fra la ripetizione e il silenzio», approdando alla consapevolezza che per promuovere la coscienza della crisi, il sapere della caducità, occorre riconquistare al soggetto, nel presente, lo spazio del passato, in vista di un «diverso e alternativo modello di razionalità». Obiettivo, naturalmente, da condividere. Ma se lo si costringe, come nel caso di Miti e figure del moderno, nello spazio, anzi nelle righe conclusive di un'analisi rapsodica e trasversale, carattetizzata da un'ansia di collezionismo a suo modo significativa (Baudelaire, Mann, Kafka, D'Annunzio, Montale, Holderlin, Goethe, Aragon, Musil, Svevo..., a scandire, con Freud e Nietzsche, «eros della lontananza» e «tempo malato», «paese piovoso» e transitorietà del precario) la sua forza di persuasione esce indebolita. E la volontà di ricostituire lo spazio -storico come spazio conflittuale di lotta per il presente, al di là della venigine mwa, ma anche del tragico paradosso dell'avanguardia con la sua utopia di ricomposizione, cui l'autore dedica pagine intense e penetranti, suona allora affermazione di principio di cui solo una verifica operativa può misurare l'incidenza sulla situazione, al fine di interpretarla e trasformarla. 11 tragico paradosso dell'avanguardia. Occorre ritornare sul concetto, e discuterlo. L'occasione è fornita, questa volta, dal Novecento di Luperini, •anomalo~ manuale plurirecensito (Bugliani, Leonetti, Porta su Alfabeto). Baudelaire vi compare subito, nel capitolo dedicato al Decadentismo, con la pene d'auréole, simbolo della nuova condizione di separatezza e impotenza ribelle dell'intellettuale-artista nella società di massa, che costringe all'anonimato del vivere collettivo (col suo quotidiano bain de multitude). Proprio la perdita della funzione sociale, la incertezza del ruolo storico, indagata in una connessione di livelli (economico, culturale, ideologico) costituiscono la traccia mai abbandonata di un'indagine che si articola lungo il corso di un secolo inquieto, segnato da fasi sempre più ravvicinate di accelerazione e arresto, e riflusso. La letteratura è indagata come sede di incontri conflittuali, di tensioni non ricomposte e non ricomponibili, luogo in cui le scissioni della soggettività (il rappresentare momenti di svolta significativi (il I925-26 e il 1956), e quale il loro presente? Qui l'analisi andrebbe approfondita oltre i riscontri cui si arresta l'autore (che pure, da honnéte homme, non nasconde i rischi di possibili schematismi). Come e perché, insomma, il bisogno di identità che assorbe in sé inquietudine espressionista e confronto con consolidate esperienze (Pascoli, D'Annunzio, i crepuscolari...) giunge, negli O"ssi, alle assonanze senza musicalità, alla dizione perentoria, all'affollarsi metafisico, e insieme fisicissimo,di presenze mai evocative? Da cosa nasce la «novità sconvolgente» di Laborintus che, se si chiude sul prevalere del •momento distruttivo-anarchico», è poi azione scenica di un dissidio non solo genericamente linguistico, ma grafico, metrico, sintattico, rito sacrificale di uno straziato presente che coinvolge tradizione e storia, nel pastiche del •finimondo» espressivo? Barthes indagherebbe certo la «mythologie personnelle et secrète», ritenendo lo stile «phénoméne d'ordre germinatib, «transmutation d'une humeur». Se poi di humeur si vuole parlare, quello delle avanguardie storiche su cui si sofferma il Luperini è di una specie davvero singolare, cosi mutevole e metamorfico, dissacratore e trasgressivo, e insieme storicamente contraddittorio, operativamente fallimentare, comprendendo in sé sovversivismo borghese e anarchismo, nostalgia di integrazione e sberleffo anticonformiSta . C'è chi ha segnato l'inopportunità di certe riduzioni, collegandole ai limiti di una lettura 'per eccesso', più evidenti, semmai, nella rassegna della narrativa degli anni '30, la cui fisionomia di genere prevalentemente di consumo o d'evasione, soUecitato da una società eterogestita, mal sopporta-e il lettore con lei - di venire scrupolosamente inquisita, anzi catalogata fino all'ossessione dell'accumulo. Qui I'•effimero» si presenta come ripetizione monotona di temi, motivi, soluzioni stilistiche ben lontani dal sapere frammentato delle avanguardie. Ed anche - ma la distanza rischia in questo 'caso "di ridursi pericolosamente - dall'inquieta e confusa ragione plurale dei nostri anni, con l'eclettismo livellante, la dissoluzione di forme codificate e insieme l'instaurarsi di nuove retoriche, nello spazio non gerarchizzato di una letteratura che estende la propria nozione sino a smarrire tensione cognitiva e specificità nell'ambito onnicomprensivo della scrittura. Non a caso, al termine di analisi diversificate pur se non prive di conver- ::...:-..='-L....J genze, Rella e Luperini auspicano con bisogno di appropriazione e lo spos- vigore una ritotalizzazione del soggetsessamento, la perdita di sé) si manife- to che recuperi, con il senso del passastano nello specifico del fatto linguisti- to e della storia, le valenze conflittuali co e della sua organizzazione formale, del frammentario. senza sottrarsi alla matrice storica. Che sia giunto, per la «poesia», il Proprio la nozione di avanguardia, momento di ritrovare la propria menin tale contesto, si dilata e si riseman- zogna e con essa le radici della modertizza, allargando intanto il consueto nità che Baudelaire, enfant déshérité orizzonte che la vede rigidamente con- esposto ai brividi della luce, vittima e trapposta, come categoria positiva di carnefice, ha prodigiosamente interprogresso, ad una tradizione intesa pretaio, nei limiti storici della sua epocome statico, e reazionario, culto ca? Quella modernità che Anceschi, egemonico dell'uguale. In realtà il recensendo gli Scritlisull'ane (Rinascirapporto presente-passato, nell'ambi- ta, 7) con la consueta intelligenza critito particolare della produzione artisti- ca di lettore esperto e appassionato, ca, è sempre contraddizione tra il fare nega a e un'avventura di gesti occasioe la sua impossibilità (storica, certo, e nali e dispersi», e identifica invece con storicamente determinata), tensione il •rifiuto continuo e continuo recupefra i poli opposti dell'essere e dell'ap- rodi sé• in un «corpo organico in cui parire (lo ha rilevato di recente il Ma- tutto si tiene». sini parlando di Brecht e Benjamin ). Qual è il passato degli Ossi di Seppia o di Laborintus, scelti dal Luperini a
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