Cfr. Avanguardia Transavanguardia68-77 a cura di Achille Bonito Oliva Roma, Mura Aureliane da Porta Metronia a Porta Latina Aprile-Luglio 1982 Catalogo Electa, lire 15.000 Il luogo è da infarto, la sua bellezza antica e vivissima è tale da far desiderare un arresto cardiaco per passare dall'altra parte e attraversarla, la bellezza, l'invisibile parete che ci separa da lei, tesa tra le mura aureliane e gli orti dominanti dal campanile romanico di San Giovanni a Porta Latina. La mostra lungo lemura è un'opera d'arte di per sé, la passeggiata è un fare-essere arte, nello spirito della mostra, tutta tesa all'obiettivo, non sempre raggiunto né sempre raggiungibile, di vivere l'arte ovunque sia possibile. Roma è lo spazio privilegiato, da secoli: la Domus Aurea ha inventato il romanticismo, e anche viceversa, secondo il principio dell'interazione, come Piranesi aveva previsto e soprattutto mostrato. Roma consacrata al sincretismo, religioso, artistico, Roma dove trionfa il barocco matrice del moderno è forse una madre troppo esigente per questi suoi nuovi «pellegrini» della transavanguardia... ma fino a un certo punto. Sulpiano teorico la poetica della citazione, del recupero di tutti gli stili possibili, esibiti, indossati, portati in trionfo, da Gauguin a Chagall, dal primo Kandisky all'Informale, visto con gli occhi dell'ultimo Monet, è una proposta liberatoria, come una tromba che chiami a risorgere i seguaci della Pittura. Che cosa invece si è fatto e si sta facendo, in questo ambito di recupero e di ripensamento globale, è tutto da verificare, naturalmente, e la verifica, a mio modo di guardare e confrontare e gustare e emozionarmi, dà risultati sorprendenti e consolanti (non ho capito perché si parli di «disperazione» degli stili quando si tratta di un brulicare, di un moltiplicarsi...). Il primo risultato è che la pittura di pensiero, dello sguardo perforante la pittura medesima, del colore, come invenzione del colore e apertura, ci restituisce una dimensione del guardare che sembrava perduta, ci restituisce la vista, nel senso che si ricomincia a vedere e quello che si vede torna a esistere. Mi riferisco all'opera di Vedova, Schifano, Turcato, soprattutto, ma anche di Gerhard Richter e, sul versante opposto, delle tracce, di Cy Twombly. Intendiamoci, faccio dei nomi, non tutti i nomi possibili, a prescindere da una valutazione su chi non c'è e doveva esserci o su chi c'è ed era meglio che non ci fosse, discorso assolutamente insignificante, caro a chi sente la preoccupazione del mercato, che pure esiste ma non interessa per nulla, in quest'ambito, perché fuori luogo, in senso letterale. Qui sono le mura aureliane il parametro, non le gallerie o i collezionisti. Certo è che i gialli di Vedova o i bianchi di Schifano sono splendenti e trasparenti insieme e che la grazia di Turcato sembra moltiplicarsi all'infinito. Onore, dunque, al merito di Achille Bonito Oliva, per l'opera d'arte immaginata lungo le mura, ma anche per il coraggio con cui ha accettato i confronti. Ecco, i risultati della transavanguardia, pur nella ricchezza delle citazioni, per altro godibili, a me paiono più vicini alla scenografia, al teatro, che alla pittura. L'invenzione di Luciano Fabro ha trasformato una delle torri di guardia delle mura in un palcoscenico ideale per una parola che non si pronuncia e che forse si vorrebbe udire. Dico forse perché l'opera di Fabro questa parola la suggerisce, è quella della tragedia greca, quindi, ne deduco, ~rala pittura e il teatro, un'arte che ha bisogno di altro fuori da sé non può dirsi compiuta. Altri, come Sandro Chia, sembra sfidare i massimi risultati dell'espressionismo astratto e esce quasi indenne dall'arduo confronto. E mi danno l'idea di maquillage più che di pittura le tele di Nicola De Maria. Quando il post-modem rimane nello spettacolo, o serve solo allo spettacolo, va preso come tale e gustato quando è di buon gusto (ma ha come temibili concorrenti gli scenografi di professione che sono spesso molto più bravi, più aggiornati ...), solo quando la sua esplorazione è sorretta da mani abili e forti (è il caso di Alighiero e Boetti) è in grado di rendere autonoma la propria ricerca. La transavanguardia come reincarnazione dello spirito dell'avanguardia mi sembra idea necessaria: un risultato comunque l'ha ottenuto: ha messo in un canto i residui di tutte le afasie pittoriche per rendere omaggio al pensiero pittorico, al sapere del guardare. Antonio Porta Convegno su Problemi attuali di critica dostoevskiana Istituto Lombardo di Scienze e Lettere e Università degli Studi di Milano, Istituto di Lingue e Lettere dell'Europa Orientale Sala Napoleonica dell'Istituto Lombardo, 14- I5 maggio Al convegno hanno partecipato studiosi italiani e stranieri che hanno esaminato vari aspetti del mondo dostoevskiano secondo prospettive attuali della critica. Carlo Sini (Milano) ha inaugurato il convegno illustrando «L'interpretazione di Dostoevskij nel pensiero di Remo Cantoni»: Dostoevskij come momento fondamentale per capire «la crisi dell'uomo», che è anche presa di conoscenza del «sottosuolo dell'anima• e dell'opposizione dell'uomo reale, scisso ma vitale, all'uomo «prometeico». Jean Claude Marcadé (Parigi) («La Russia come tema fondamentale del romanzo L'adolescente») ha sottolineato, in questo romanzo, la presenza di due miti polari, essenziali: al cui centro stanno, rispettivamente, Versilov (la Russia visibile, straziata tra Oriente e Occidente) e il pellegrino Makar (la Russia «invisibile», che incarna il corso eterno della luce divino-umana nella sua espressione ecclesiale ortodossa). Nina Kaucisvili (Bergamo) ha messo in luce (in «Alcuni aspetti della poetica dostoevskiana») il motivo dell'acqua come elemento poetico determinante nell'opera di Dostoevskij (i canali di Pietroburgo e la Nevà come luoghi fantastici, di sogno, in cui si specchia l'inquietudine dei personaggi). Tat'jana Nicolescu (Bucarest) in «Reminescenze letterarie nell'Adolescente• ha ricordato il metodo delle ereminescenze letterarie» come artificio solitamente usato dallo scrittore e il modo particolarmente intenso con cui è usato nel detto romanzo, analizzando il significato dei richiami a Puskin, Turgenev, Tolstoj nella struttura del romanzo e nella caratterizzazione dei personaggi. Joanna Spendei (Torino) (che ha concluso la giornata di venerdl) ha trattato un tema assai controverso B1bl1otecag1nob1anco («Dostoevskij, la Russia e gli Ebrei»), osservando come Dostoevskij, da un inizio di «odio-amore» per gli Ebrei, (lttraverso una continuazione della tradizione gogoliana (l'ebreo come «macchietta») sia poi approdato, per influenza di Pobedonoscev e della estrema destra russa a posizioni sostanzialmente antisemite (nell'ultimo periodo della sua vita). Nella mattina del sabato si sono avute cinque relazioni. George Nivat (Ginevra) in «Dostoevskij e il fantastico• ha cercato questo elemento in molti esempi della prosa dostoevskiana (p. es. in Bobok) e nella presenza dei «doppi•, oltre ad avere attuato confronti con il fantastico in Gogol' e Puskin. Sono seguite quattro relazioni dedicate alla «Funzione poetica dell'oggetto in Dostoevskij»: Fausto Malcovati (Pavia) ha esaminato in particolare la differenza tra la camera di Raskol'nikov (Delitto e Castigo) e la casa della vecchia usuraia, unificate nell'unica immagine della tomba e ha poi trovato analogie tra gli strumenti del delitto e procedimenti e oggetti delle fiabe di magia. Eridano Bazzarelli (Milano) ha cercato di ricostruire le reti sotterranee che legano certi oggetti simbolici dell'Idiota, connessi con l'opposizione centrale del romanzo (bellezza contro antibellezza), opposizione che rimanda però a un'altra, più profonda (bellezza «terrena» e bellezza «sofianica»: quest'ultima predicata dal principe Myskin): per questo gli «oggetti» doppi della bellezza terrena (il ritratto, il viso) sono destinati a «morire• e ad equipararsi agli oggetti della morte (la tela cerata). Erica Klein ha concluso il convegno analizzando la parabola malefica di Smerdjakov attraverso l'alternarsi di oggetti che ne accompagnano lo sviluppo. La casa del vecchio Karamazov è un polo di attrazione in quanto simbolo dell'elemento materno perduto, mentre il monastero è l'antagonista al mondo tenebroso e strumento amplificatore di situazioni esasperanti. Un convegno di alto interesse culturale. N'f'.l N~ .. -3 Nlft/._-2r. r~fKo ... """""'l u~ Marco Forti In viaggio Eridano Bazzarelli Milano, Guanda, 1982 pp. 112, lire 8.000 Non si tratta di tre racconti di viaggio (il libro è cosi composto: «Taccuino Bretone», «Quaderno siciliano•, «Viaggio di Natale») ma di tre viaggi che si trasformano in racconto sotto gli occhi del lettore: Tre metamorfosi che non accadono né prima né dopo la scrittura, ma durante. Non vi prevale il tempo della memoria ma la testimonianza del presente. In questo senso si può dire, con un paradosso, che i tre viaggi all'esterno (Bretagna, Sicilia, Londra) servono per entrare dentro di sé e fare affiorare ciò che il narratore non sapeva prima di cominciare a raccontare, o viaggiare, in un caso come questo sinonimi. Come in analisi perché il transfert accada ci vuole l'altro e l'altro può essere chiunque, come ha detto Lacan, il viaggio è per Marco Forti ciò che è la ~ 11mitaut ; 187-188 . , , , persona per il transfert. Nulla in comune con la letteratura di viaggio di Arbasino, per esempio, tutta proiettata fuori, onnivora e onnigiudicante, anzi giusto il contrario: pochi, misurati giudizi ma di tipo strutturale e soprattutto la scoperta della ragione del viaggio, la sua giustificazione, dunque un giudizio sul viaggio medesimo. Il «Taccuino bretone» tocca cosi il suo acme nel ritratto di Paola, la compagna, la moglie: « ... penso che, fra noi due, se non altro per origine familiare, l'unica ad avere assolto a un compito necessario e non solo personale in questa nostra vacanza, che poi vacanza solamente non era, sei stata proprio tu. Sei pur tu, che hai lasciato e deposto un fascio di fiori di campo sotto il monumento di pietra bianca che, a un paio di chilometri da Bagnoles-deL'Orne, ricorda il luogo dove sono stati uccisi tuo padre e tuo zio. Sei stata, siamo stati più di un'ora nel luogo di quel delitto di più di trenta anni fa ormai, che fu ignobile da parte di chi lo perpetrò - e gli è comunque ricaduto addosso dopo pochi anni - quanto fu crudele per te e i tuoi fratelli .ecugini. che ne soffrite ancora -a tanti anni .di distanza, in tante città e luoghi diversi del mondo. La tua pietà filiale ha avuto senso per te e ne ha dato al tuo viaggio; e anche al mio.» Mi pare preciso in questo punto il passaggio tra memoria e presente, tra privato e sociale, politico, senza sottolineature. con pudore e fermezza da scrittore autentico, consapevole delle possibilità del linguaggio, che non lo sforza né lo appiattisce. Il viaggio che più diventa ra.::contoè il terzo e lo diventa tanto che il narratore passa dalla prima alla terza persona con estrema, felice disinvoltura. come in questo passaggio: «Sopra di loro il cielo era azzurro pallido, quasi bianco. Il nostro viaggiatore, bevendo tutto questo con gli occhi, ebbe un brivido di benessere, un'unghiata in gola. forse di commozione. Quella - si disse - era quasi la felicità.:. Sedeva di fronte alla sua sconosciuta compagna, che sorrideva ora a lui e al paesaggio ... Qualsiasi parola o gesto avrebbe sciupato quell'incanto vetrino, quella confidenza assoluta e senza oggetto ... ». E dopo l'unghiata di commozione quella altrettanto profonda della paura, del dolore, quando alla Victoria Station la moglie gli racconta della bambina appena nata, la nipotina sconosciuta, e della madre, la figlia, che hanno corso pericolo di vita e forse lo corrono anche adesso: «Solo allora sua nipote smise di essere, per lui, un'astrazione». Mai questi racconti di viaggio corrono il rischio di diventare astrazioni o di restare ingabbiati in qualsivoglia ideologia, pur rimanendo chiara e ferma la direzione poetica di Marco Forti. Sono cosi concreti e pieni discoperte che rileggendoli, ora, per scriverne, mi restituiscono un sentimento del vivere che si temeva perduto per sempre, mentre qui è vivissimo, profondamente coinvolgente. Antonio Porta Gennaio-aprile 1982 HEIDEGGER - Identità e differenza AGAMBEN - L'assoluto e l'Ereignis; DE CAROLIS - Destino e grammatica in Heidegger FERRARIS, BUSDON - «Mille Plateaux»: LEPORATI - Nietzsche e Irigaray; PREZZO - L'ultima Kristeva BENVENUTO - Discussione sulla metafora TRASFORINI - Corpo isterico e sguardo medico GOZZI-All'origine dello Stato sociale; GREBLO - Horkheimer e lo Stato autoritario INDICE AUT AUT 1951-1981 Collana Bianca Novità Mario Spinella Le donne non la danno pp.254, lire8.000 Finzi Ghisi, Finzi, Dumézi/, K rumm, Segre, Gargani, Santambrogio, Agamben, Franck-Cacciari, Veca, Bodei, Borso-Marcoa/di, Spinella, Fusini Forme di sapere e forme di vita pp. 294, lire I0.000 Jean C/avreul li rovescio della Psicoanalisi Discorsopsicoanaliticoe discorsomedico pp.324, lire I0.000 EdizioniDedalo 18anni portati da dio Il piccolo Hans rivista di analisi materialistica 33 gennaio/marzo 1982 Fiabesco in barocco All'interno del vulcano Lol versus Agatha Omaggio reso a Marguerite Duras del npimento di Lol V. Stein di Jacques Lacan I discorsi nel discorso Tra «romance» e cnovel» Le cose di Ariel Notes Magico Diario di lavoro di Francesco Leonetti i seminari Jacques Lacan La psicoanalisi al rovescio (II) La memoria e l'apparato neuropsichico Come dire la verità Minute Rubrica edizioni Dedalo "
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