Alfabeta - anno IV - n. 34 - marzo 1982

barocca «metaforica della luce» si trasforma in una metaforica della visione allucinata dalle figure stesse della lotta-danza e quindi dal parossismo delle antitesi con cui la scrittura scenica si sforza di raggiungere una sorta di misteriosa identità. L'universo delle tenebre in cui lampeggia la pioggia di faville scaturite dal gesto della donna che ha fatto cadere la fiaccola, ci riconduce al culmine della lotta che è annientamento e rinascita. Ma quel cultime è l'atto estremo della danza. Per poter verificare come questa essenzialità ritmico-visionaria della danza possa costituire un piano di lettura capace di intendere i drammi espressionisti di Kokoschka nella loro cifra «astratta•, e quindi nella modulazione archetipica dei simboli che costituiscono la rete dei significati, occorrerebbe affrontare un'analisi puntuale dei testi, ciò che non è possibile neppure accennare in questa sede. Ma questo nuovo angolo di prospettiva può forse condurci più vicino alla comprensione del carattere esemplare di quella rivendicazione dell'essenza, del Wesen,che si compie, per Kokoschka, attraverso un atto di trasgressione, come l'assassinio della donna da parte dell'uomo, in Morder, Hoffnung der Frauen, o il tradimento di Euridice che si arrende all'amore di Hades, dimenticando Orfeo, in Orpheus und Eurydike. Schopenhauer riprese con eccentriche variazioni da Otto Weininger, un autore molto vicino a Kokoschka le quali pure costituiscono il substrato del conflitto uomo-donna, restano sullo sfondo di una monumentalità scabra e rocciosa nella quale è il trionfo del visuale, dell'ottico, della figurazione pittorica, della granularità del magma cromatico a emergere sull'intenzione teorica, sulla linearità dello subscritio. Semmai la suggestione più prossima è quella del Bachofen del Mutterrecht. L'atto metafisico L'atto con cui l'Uomo si libera dalla sua prigione, vale a dire resuscita dal sonno della sua morte («Uomo! dormi per me• -aveva implorato la Donna) e abbatte la sua nemica con un semplice gesto, è un atto metafisico. Ma questo non deve intendersi come conciliazione suprema, allo stesso modo con cui per Nietszche la volontà ellenica operava, nella tragedia attica, la composistein - dilania la propria carne, è carne che dilania se stessa, «Selbstzerfleischende Fleisch», ma chi rinasce da questa lotta è al di là del conflitto tra i sessi, è in cammino su una via infinita. Il definitivo distacco dalla madre si compie in questo modo, se è vero, come scriveva LukAcsnel suo saggio su Charles-Louis Philippe, nell'Anima e le forme, che «La donna vera, la madre, è l'antitesi più profonda di ogni aspirazione all'infinito•. Al di là della contesa tra i sessi, deve essere individuato proprio questo momento del distacco in virtù del quale l'uomo non è più trattenuto e proteno nel grembo materno, come nella prigione-asilo del lungo sonno prenatale, ma si è reso autosufficiente, in quanto ha accettato la separazione e ha fatto di se stesso - come direbbe Norman Brown - «la propria madre». La proiezione infinita dell'Io, che si costituisce in se medesimo attraverso e in virtù di questa scissione, comporta un'identità diversa, zione del dissidio tra gli opposti «istinti ~~--~---~--~,.----~~-- 7 artistici», l'apollineo e il dionisiaco. ~ È stato visto nel delitto dell'Uomo l'atto apollineo con cui egli infrange la sottomissione al materno, respingendo quell'immortalità delle Madri, da cui discende, per usare le parole di Kokoschka: «Brama insensata di orrore in orrore. Inarrestabile roteare nel vuoto. Generare senza· nascita, caduta del sole, spazio vacillante». Così nell'ultima lotta abbracciando, piena di orrore, per ultimo bacio, dalle mascelle irrigidite di Orfeo io mi stacco finalmente libera. Monotono canto della terra - Ciò per cui lottiamo, eterna felicità è altro -- Che sia odio, tale amore? Questo desiderio - In questi ultimi versi è espressa l'ambiguità irrisolvibile della cifra metafisica per cui l'assassinio coincide con la speranza e l'amore con l'odio. Ma è importante sottolineare le parole : «Was wir umringen, ewig Gliick ist anders• (Ciò per cui lottiamo, eterna felicità è altro -). Questo «altro• è ('altrove a cui allude il canto del gallo: il cominciamento assoluto di un'eterna gioia che sta nascosto come la verità ultima indiscutibile e inafferrabile della lotta. Questa lotta si è smarrita in se stessa; si è cosl perduta nei suoi meandri che non sa neppure più per che cosa essa sia lotta. Il fiore della lotta nasce lontano dalla lotta: i/ fiore della lotta è la danza. Siamo alle soglie di un modo nuovo d'intendere la lotta e di trasgredirne il senso che è quello del desiderio di dominio, d'appropriazione e di possesso. Kokoschka non oltrepassa questa soglia, ma tutte le risorse espressive e metacomunicative della sua drammaturgia, bilanciata su germinazioni inconscie divenute intermittenze di voci e di suoni e di gesti, partitura cromatica - onirica dell'Es, tendono alla risoluzione del tema della lotta in un A proposito del suo primo dramma, scriveva Kokoschka in Vom Erleben: «Nella mia prima opera teatrale avevo contravvenuto alla svagatezza di questa nostra civiltà [Zivilisation] mascolina con l'idea di fondo che l'uomo è mortale e la donna immortale e che soltanto l'assassinio può rovesciare questo fondamentale dato di fatto. Per questa ragione sono divenuto qualcosa di orripilante per i borghesi». Non mi pare, tuttavia, che questo atto si risolva interamente nell'affermazione di una volontà apollinea e quindi nella celebrazione della sovranità di Apollo su Dioniso, come predominio del principio virile. C'è invece da pensare che non si tratti di una conciliazione artistica o della vittoria di un principio sull'altro, poiché nessuno di questi è immortale. È immortale, invece, la lotta e il canto del gallo, che risuona stridente ad annunziare un nuovo giorno, affiora dalle tenebre dell'orrore e della distruzione da una distesa di corpi abbattuti: è il simbolo di una vittoria su tutti e su nessuno, la fine di un eone e il cominciamento di un altro in cui tutti sono edenti. L---~---------~-.-..~~~Erlebnis che la purifichi dalla contaminazione del possesso e quindi dalla stessa appropriazione erotica dell'«alKokoschka realizza questa trasgressione portandoci nel cerchio della temporalità mitica con un procedimento simile a quello usato da Kleist per la Penthesilea e a Hofmannsthal per Elektra, come è stato notato da Hans Shumacher. Qui la coerenza dei rapporti intersoggettivi, sul piano della dinamica psicologica così come la razionalizzazione storico-culturale vengono meno con un simultaneo sovvertimento dei paradigmi antropologici: l'evocazione visionaria non si concentra soltanto sui tratti del Leidender Mensch espressionista, ma su quelli del Tier-Mensch, dell'animale mitico, che è perciò stesso un enigma vivente e in questo senso si comprende la rigida fissità della maschera, l'esaltazione smisurata del gesto, il carattere felino della torsione e del movimento, l'innaturalità dello strazio. Direi che questa dimensione eccede quella stessa del conflitto sadomasochista dei sessi drammatizzato nella strindberghiana Danza macabra: le tesi della metafisica dell'amore di Non si dimentichi che la testa del gallo appare nella rappresentazione gnostica di Abraxas effigiato sugli amuleti e le gemme della tarda romanità in sembianze di guerriero, munito di frusta e di scudo, e con due serpenti al posto delle gambe. Anche il dio della guerra nella mitologia induista, Kartikeya, che ha in sé la sua Kaumar, cioè la metà femminile, è rappresentato cavalcante un pavone con il segno del gallo impresso sulla sua bandiera. Quel che soprattutto importa nell'intenzione ultima del dramma di Kokoschka è strappare ogni catena, e questi può essere possibile solo attraverso un atto terribile come quello del delitto. Chi compie questo atto è l'uomo-animale che - come diceva Ehreniotecaginobianco Cesare Martinelli, batteria, Kerosene che non è più strutturata dall'oggetto perduto, dall'ombra della Madre introiettata e incorporata. Il cammino interminabile, annunziato dal canto del gallo, si accompagna dunque ad una metamorfosi. Non è senza significato che l'Uomo presente all'inizio del dramma con un viso bianco, s'incammini, sul finale, investito da una luce rossa. Questo colore evoca il fuoco alchemico della trasmutazione, il fuoco della libertà come violenza che redime, il fuoco vero, quel «Flammentod» -come direbbe Goethe - che è il tramite di una rigenerazione sovraumana. Ma verso dove s'incammina? Esiste ancora una mèta? È un eterno «altrove» il termine a cui si rapporta l'atto metafisico del delitto che è immediatamente Pri11zipHoffnung. A questo «altrove» si riconduce il finale di Orfeo e Euridice; dove i termini, però, sono invertiti. È lo spirito di Euridice a soffocare il folle riso di Orfeo e queste sono le sue parole: Tu alitasti la fiamma, essa ti brucia. Cenwurn! Ora - sei cenere! tro». In Sesso e carattere Weininger aveva detto: • Procreazione, nascita e morte stanno in relazione indissolubile; dinanzi a una morte immatura sorge in ognuno fortissimo lo stimolo sessuale, quale bisogno di perpetuarsi. E così anche il coito è affine all'omicidio non solo come atto dal punto di vista psicologico, ma anche dal punto di vista etico e/ilosofico-naturale: esso nega la donna e contemporaneamente anche l'uomo: nel caso ideale esso toglie la coscienza ad ambedue per dar vita al figlio». Paradossalmente, per Kokoschka l'assassinio è anche un coito, ma questo assassinio della donna è anche l'annientamento dell'erotismo come catena i cui anelli sono procreazione, nascita e morie. Dalla radicalizzazione della crudeltà che, come aveva finemente osservato Novalis, è «verkehrte Wollust• (voluttà capovolta), matura questo rivolgimento dell'erotismo contro se stesso. Ma è dalla morte dell'erotismo che nasce l'Eros. Se si pensa alla formulazione assassinio speranza che, come noto, nella correzione voluta da Kokoschka ha perduto la virgola tra la prima e la seconda di queste parole, i termini assassinio speranza diventano quelli di un'endiadi magica o meglio, forse, sono gli elementi verbali di un geroglifico. Il geroglifico dell'Eros coincide con quello dell'«altrove». Alloç µaxl>E sono le parole greche con cui Kokoschka aveva anagrammato il suo nome e quello di Alma Mahler, alla relazione amorosa con la quale è misteriosamente riconducibile l'ispirazione del dramma. Il gioco enigmatico presente in queste parole è quello stesso del verso di Euridice - come osserva acutamente Schumacher - «eterna felicità è altro• o «in altro>. Soltanto, dunque, se la gioia sta in altro, l'assassinio diventa speranza, speranza di una liberazione da chi è alienato nell'equilibrato costruttivo rapporto erotico-borghese. Il gesto anarchico di Kokoschka infrange questo falso equilibrio, l'armonia di questa pace apparente, l'umanità alienata che sta in quest'integrazione di opposti egoismi, e sposta all'infinito il punto di fuga dell'Eros. L'Eros platonico sta a mezza strada, il figlio di Penia e Poros, di povertà e opulenza, è filosofo, proprio perché lega le antitesi, costringe il sensibile e il sovrasensibile ad avvicinarsi e coniugarsi: ma è anche ciò che divide. Il paradosso di Eros è sempre il paradosso del lontano. «Esiste soltanto amore del lontano• aveva scritto Musi( nei suoi Tagenbiicher, per spiegare un «altro senso• delle metafore (Glichnisse) che è quello, appunto, dello straniare, dell'allontanare. E nelle pagine dell'Uomo senza qualità, proprio laddove Musil racconta «la dimenticata e importantissima storia con la moglie d'un maggiore», si spiega il senso di questa Fernliebe: «Era penetrato nel cuore del mondo; la distanza tra lui e l'amata lontana era come di lì all'albero più vicino; il sentimento intimo legava gli esseri sopprimendo lo spazio, così come insogno due esseri possono passare l'uno attraverso l'altro senza mescolarsi, e trasformava tutti i loro rapporti». La distanza cade solo se si è penetrati nel cuore del mondo, in quello «stato• che non hà nulla a che fare col possesso e col desiderio i quali appartengono - scrive ancora Musil - «alla sfera del risparmio, dell'appropriazione e della voracità». Proprio nella limpida specularità inframondana per cui il distante diventa il più vicino si rende forse decifrabile il paradosso delrassassinio speranza, la cifra espressionista di una violenza che è insita nella stessa redenzione. «Si può unicamente fare violenza - dice il prigioniero a Gesù nel dramma La mala novella, di Karl Einstein -Anche redenzione è atto di violenza•. li senso ultimo della liberazione sta in questo sacrificio senza fine, in questo passo leggero dell'Eros che cancella i significati e li costringe a fiorire.

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