I drammdiiKokosthka Oskar Kokoschka Assassinio, speranza delle donne Introduzione e traduzione di Lia Secci Milano, Serra e Riva Editori, 1982 pp. 227, lire 12.000 L a caratteristica dei temi che percorrono i drammi espressionisti di Kokoschka da Morder, Hoffnung der Frauen (1907-1919) a Orpheus und Eurydike (1915-1918), sta nel loro elemento magmatico, o se si vuole usare un riferimento concettuale più preciso, nella loro qualità di scrittura scenica che non è soltanto assimilabile alle forme di una drammaturgia estatica, ma anche alla radice ideoplastica di questa scritturà. Quando nella sua conferenza del 1912, «Von der Natur der Gesichte», Kokoschka afferma che «la coscienza delle visioni non potrà mai essere descritta interamente e la sua storia non troverà mai confini, poiché essa è la vita», collega tra loro due termini che hanno una denotazione opposta: coscienza (Bewusstsein) e visione (Gesicht). Coscienza dovrebbe implicare, infatti, uno stato non-visionario e quindi una relazione dialettica di unità-distinzione tra soggetto e oggetto. Nella visione, invece, questa relazione è abolita, il soggetto è nell'oggetto e viceversa: chi vive la visione si è trasposto ed è come perduto in essa. La visione sottintende una sorta di autospossessamento, un uscire-fuori - di sé, una condizione estatica. Tuttavia Kokoschka usa la parola «coscienza» senza rinunciare ad ardite associazioni metaforiche. «Coscienza -<:<>dsi ce - è la causa di tutte le cose, anche delle rappresentazioni. È un mare i cui orizzonti sono visioni». Il riversarsi delle immagini nella coscienza - dirà ancora - è «in realtà, invece, la manifestazione da parte della coscienza della sua attesa di esse e un effondersi dell'anima nelle visioni». Ma cosa significa questo? Forse che non v'è altra coscienza se non quella specifica modalità visionaria per cui appunto si abolisce nella chiaroveggenza di questo essere «in altro» lo statuto dialettico della coscienza medesima? Coscienza e visione Ma cosi prosegue Kokoschka: «Coscienza è la tomba per le cose, laddove esse cessano, è la trascendenza in cui esse trovano accesso. Sicché esse, nella loro fine, non sembrano consistere più in nulla di essenziale che non sia la mia visione in me stesso. Esse abitano il loro spirito, a somiglianza della lampada che sparge la sua luce e trae l'olio dal lucignolo». È fin troppo evidente che come non può esistere una coscienza senza le cose, cosi non possono esistere le cose senza una coscienza: ma le cose non sono, per Kokoschka oggetto della coscienza, sono immerse nella visione e la coscienza è quel mare in cui cade ogni distinzione tra essere interiore e mondo esterno (anima est quodammodo omnia). La coscienza diventa cosi il luogo dove le cose muoiono, ma è anche la trascendenza nella quale esse rinascono: e questo è possibile soltanto perché la coscienza è un effondersi dell'anima, il mare - dice Kokoschka - i cui orizzonti sono visioni. Un mare con molti orizzonti è dunque una coscienza dove ogni interazione dialettica di soggetto e oggetto è venuta meno, dal momento che in esso si esprime una compresenza di orizzonti-visioni o meglio il punto all'infinito di ogni orizzonte. La coscienza delle visioni come tomba e trascendenza: comprendere questo è articolare una coscienza profonda, antepredicativa, in quelle visioni che ne costituiscono illinguaggio. Si potrebbe altresl affermare, per riferirci alla seconda topica freudiana, che il termine coscienza non designa, qui, unicamente eia superficie dell'apparato psichico», ma si estende al di là dell'Io e del preconscio sino al territorio dell'Es, «quell'altra parte della psiche nella quale l'Io si continua, e che si comporta in maniera inconscia•. Freud aveva detto che possiamo imparare a conoscere l'Inconscio solo rendendolo cosciente: il modo con cui Kokoschka rende cosciente l'inconscio è quello delle visioni o meglio della coscienza delle visioni in quanto effusione dell'anima. In altre parole, l'effondersi dell'anima rappresenta una più intima vicinanza dell'anima a se stessa, un suo radunarsi in quel punto dove tra lo e Es si stabilisce una feconda comunicazione. Questa comunicazione per cui lo e Es non si fronteggiano, ma attuano scambi in una sorta di reciproca innervazione fantastica - simbolica, per cui l'uno risulta creativamente potenziato ad opera dell'altro, è appunto la visione. Indubbiamente il riferimento alla metapsicologia freudiana, soprattutto laddove si dimostra come tra lo e Es non esiste alcuna soluzione di continuità, risulta quasi un passo obbligato per intendere il mondo poetico di Kokoschka. Ma è preferibile fermarci a questo punto e limitarci ad una riformulazione quanto mai arbitraria ed eretica della celebre proposizione freudiana: B1bl1otecaginoo1anco Ferruccio Masini «Wo es war, soli lch werden» (Dove era Es deve diventare Io). Per Kokoschka questa proposizione potrebbe suonare in questo altro modo: Wo Es war soli Gesicht werden (Dove era Es, deve diventare visione, o più precisamente, coscienza delle visioni). Teatro magmatico Penso che questo preambolo ermeneutico possa essere utile proprio alla comprensione del teatro di Kokoschka nel suo carattere, come ho detto, magmatico. Il termine «magmatico» è senz'altro inadeguato: lo giustifica però il fatto che la struttura polimorfa della visione può avere, in prima approssimazione, l'apparenza di un indistinto caos. In realtà, in questo magma si lascia ben presto intravedere una fitta trama di segni, di segnature, di vene, di reticoli, di frastagliature che sembrano tatuaggi. Basti pensare alla ritrattistica kokoschkiana degli anni 1909-1910 e, in particolare, ai disegni realizzati dall'anista per Assassinio, speranza delle donne. Quella stessa esasperazione del tratto, quella stessa insistenza crudele nel segno, quel procedere per scavo nel dettaglio fisionomico si ripresentano all'interno della scrittura scenica nel tormento delle linee che si riavvolgono su se stesse solo per frantumarsi di nuovo. Si direbbe che l'eleganza così sinuosamente sottile della linealugend venga qui travolta da un'intermittenza monomaniaca e che una enorme colata lavica abbia sepolto per sempre quel gioco lontano di superfici dove si modulavano sognanti trasparenze carnali. Viene immediatamente alla memoria la prima stesura di Assassinio, speranza delle donne, apparsa, com'è noto, nel numero del 14 luglio 1910 sulla rivista Der Sturm. Se si può parlare, e a ragione, di Gesamtkunstwerk espressionista a proposito di questo singolarissimo e rivoluzionario atto unico, bisogna anche dire che questo teatro totale, fatto di grida stridenti e di dissonanze raggelate, si presenta come la ricomposizione artificiale, oserei dire atonalmente astratta, di una totalità frantumata. La ricomposizione è realizzata con un procedimento visionario che Stefano,chitarra,RagazziSelvaggi tuttavia non fonde i vari elementi della scrittura scenica, ma li lascia coesistere, tanto che ognuno di essi, colore, suono, gesto, parola si espone nella sua fissità, nella sua insistente vibrazione ritmica. Ogni elemento acquista così la raccolta potenza di suggestione · e d'evocazione mnestica di una cifra. Questo procedimento spiega, altresì, la sfasatura ellittica, il gioco delle intermittenze e delle sincopi, la frequenza delle asimmetrie, gli stacchi repentini e le sprezzature. La colata lavica ha devastato ogni sintassi di scrittura, ha spezzato il dialogo in effusioni vocali, sostituendo al registro psicologico del rapporto intersoggettivo una partitura di echi lontani e di timbri allucinati, con un deciso effetto di choc. Non a caso nelle belle pagine del suo Teatro tedesco espressionista del 1959, dedicate, con sicuro intuito della loro importanza, ai drammi di Kokoschka Paolo Chiarini parlava di un paesaggio «costruito per entro una astratta e irreale dimensione metafisica». È questa. a ben vedere, una dimensione visionaria, nel significato che abbiamo cercato di spiegare: ma non si tratta di una sospensione estatica, in cui i poli antagonisti (maschio-femmina, apollineo-dionisiaco, sole-luna etc.) si dissolvono, bensl di una sospensione carica di pulsioni vitali, quasi la vita fosse atteggiata qui nella nuda essenzialità di una lotta senza tregua e senza confini. Chiarini osservava giustamente che in questo dramma «il rapporto tra l'uomo e la donna [. ..) è concepito e disegnato[ ...] come il passaggio dal cauto e sospettoso approccio di chi si sente semplicemente 'diverso' dall'altro alla consapevolezza dell'invalicabile abisso che separa i due esseri, dell'impossibilità di stabilire un legame senza che questo diventi - immediatamente - una definitiva rinuncia all'integrità del proprio io, donde la lotta ingaggiata tra il maschio e la femmina». Se quella dell'Espressionismo è la ricerca dell'essenziale («Mensch, werde wesentlich», aveva ammonito Werfel) e se la coscienza delle visioni è, per Kokoschka un'effusione dell'anima nell'essenziale, in ciò che attiene alla sostanza profonda, terrigena, cthonia, ebbene possiamo dire che l'elemento in cui si definisce, allo stato nascente, e quindi di massima potenza plastico-evocativa, l'Espressionismo, in Kokoschka è proprio l'essenzialità della visione come essenzialità della lotta. È fin troppo evidente che Kokoschka non si nutre dell'utopia messianica di una fraterna comunità umana strappata all'orrore della Zivilis(ltion tecnicoindustriale, cosi come la vagheggiano, sia pure in modi diversi i Werfel, i Sorge, i Frank, i Rubiner, ma della concezione di un caos produllivo in cui gli scambi alchemici tra gli opposti si trasfigurano nella coscienza visionaria come in una inviolabile trascendenza. Le polarità dinamiche della scrittura espressionista sono in Kokoschka polarità ritmiche, poiché quella essenzialità del conflitto inscritto nel cerchio dell'eterno ritorno è esprimibile come movimento pantomimico, come danza. La loua è una danza. Si pensi alla danza di Orfeo con Euridice nella scena terza del dramma. Per comprendere nel suo giusto peso questa metafora giova ricordare le parole di Cari Einstein nelle pagine dedicate alla danzatrice Napierkowska: «I movimenti di ogni persona - cosi scrive- non hanno nulla a che fare con quelli del dramma, neppure con gesti realistici. Essi non sono movimenti di braccia e gambe, non esiste una mimica, esiste soltanto un'eccitazione ritmica dell'intero essere umano [...]. I movimenti sarebbero dal punto di vista corporeo, completi e pregnanti in guisa tale da non lasciar sussistere alcunché di psicologico». E ancora, «il danzatore è un uomo totale ritmicamente eccitato». I movimenti vengono soltanto «arricchiti e coloriti dal paesaggio, dalle luci e cosi via. Non domina l'elemento decorativo, esso è invee al servizio ed orienta ed esplica la composizione dei movimenti di danza». La lotta dell'Uomo e della Donna, della «forma» e della «materia» - per usare una terminologia weiningeriana - cosi come si consuma in Assassinio, speranza delle donne, può essere colta in questa prospettiva come una danza sacrificale. La paradossia del delitto rituale, della redenzione nel sangue, non è vissuta in termini religiosi, quanto piuttosto esaltata nel modo di una semplificazione arcaicizzante in cui la
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==