l'eq1iJibrio ella teoria economica la parola N equilibrio ha lo stesso valore normativo che ha nel linguaggio corrente: evoca uno stato di quiete universale, verso il quale il sistema tenderebbe normalmente o graviterebbe naturalmente, per sua necessità strutturale o in seguito a comportamenti appropriati dei singoli, quando per caso non vi si trovasse di già o ne venisse distolto da accidenti e trattenuto lontano, temporaneamente, da qualche imperfezione o attrito rimediabile o eliminabile, e comunque malvagio. Una nozione simile anche se autorizzata da gran parte della teoria economica, non è una buona guida storiografica nè metodologica,poiché affermando l'equilibrio come legge di composizione o come presupposto elementare del sistema, concentra la teoria e la storia delle teorie su presunte determinazioni naturali, statiche e atemporali, dell'equilibrio stesso, anziché sulle condizioni storiche dei processi e dei conflitti; e identificando un dato stato di un dato sistema come quello che deve prodursi e riprodursi, suggerisce l'opinione che l'equilibrio, in quanto necessario, è desiderabile per tutti, se non anche ottimo: e cosi interdice, nell'analisi e nell'azione, il cambiamento. Il mito dell'equilibrio è infatti l'espediente mediante il quale gli agenti economici e le teorie egemoni trasformano la storia in natura e fissano il passato come unico futuro ammissibile, trattando come dati gli esiti delle rivoluzioni precedenti e come forze che possono e devono compensarsi le contraddizioni sopravvissute, emerse o temute. In generale, si dice di equilibrio una situazione in cui la domanda è uguale all'offerta. In senso stretto, all'interno della teoria economica, vi sono tante nozioni di equilibrio quante sono le teorie, e per ciascuna teoria tante configurazioni dell'equilibrio quante sono le soluzioni dei modelli della stessa teoria: è sufficiente introdurre una variazione minuscola nella definizione del sistema, per avere il diritto accademico di battezzare il relativo equilibrio. Il contenuto minimo del concetto, e l'unica accezione non ambigua (anche se riduttiva, poiché limitata al caso di teorie formalizzabili senza residui), è precisamente quello di soluzione di un modello: quell'insieme di valori delle variabili endogene che soddisfa al sistema di relazioni in cui consiste il modello stesso, dati i valori delle variabili accettate come esogene rispetto a questo è quindi trattate come costanti parametriche. Qualsiasi analisi presuppone la definizione dei propri confini; e sebbene siano concepibili variabili di confine che salvano il collegamento del costrutto teorico con la storia esterna (il vago concetto keynesiano di animai spirits, per esempio) in generale la trattazione parametrica di un sottoinsieme delle variabili di stato di un sistema comporta un'ipotesi di invarianza strutturale del sistema stesso, ammettendo soltanto fenomeni meccanici di adattamento passivo delle variabili endogene: qualsiasi equilibrio è tale relativamente alle circovengono cosi a coincidere il metodo e la sostanza dell'economia politica. La pretesa corrente, per la quale una teoria scientifica deve essere prima e dopo di tutto formalmente rigorosa, cioè traducibile compiutamente nel linguaggio dell'algebra, costituisce le condizioni di equilibrio mediante le quali la teoria si apre e si chiude, come unica prova dell'esistenza della teoria stessa. Se si interpretano le condizioni di equilibrio come condizioni di riproduzione del sistema, ciò è però vero in generale e non soltanto per le teorie puramente deduttive: senza una qualche nozione di equilibrio, sarebbe impossibile qualsiasi teoria (distinguibile da una descrizione), poiché sarebbe impossibile valutarne la rilevanza. Infatti non tutte le teorie economiche sono teorizzazioni ideologiche dell'equilibrio o metafore meccaniciste (o zoologiche, come suggerisce indirettamente Schumpeter): è esemplare sopra tutte la critica marxiana dell'economia politica, che è direttamente Ivan Trevisi, basso, T.K. analisi delle condizioni di produzione e di riproduzione del capitale, e per la quale l'equilibrio economico, anziché presupposto come un dato di natura, è naturalmente visto e spiegato come un caso. Nè tutte le teorie che ammettono la possibilità pratica dell'equilibrio sono affermazioni circa la necessità e la frequenza dell'equilibrio stesso, e tanto meno circa l'unicità, la stabilità e l'ottimalità per tutti di questo: ne sono esempi la teoria generale di Keynes, e in particolare il principio del moltiplicatore, e talune versioni, anche se inutilmente complicate, della teoria neoclassica dell'equilibrio economico generale. Ogni discussione non puramente formale circa l'esistenza e le caratteristiche dell'equilibrio è una scommessa,in fondo politica, circa la riproducibilità del sistema isolato nella teoria; e diversa è dunque la rilevanza di una teoria,a seconda di dove si pratica la separazione chirurgica fra l'esterno e l'interno della teoria, fra ciò che vi si da per noto e ciò che essa promette di calcolare. Le condizioni di equilibrio sono, per cosi dire, la forma ridotta di un sistema teorico: sono sempre relazioni fra le variabili endogene e i parametri che per la teoria sono cruciali; e sono dunque il punto di discontinuità del ragionamento teorico, il luogo di confine fra sapere comune e sapere economico, in cui va cercata la visione del mondo stanze, istituzionali, tecnologiche, o caratteristica di una data teoria ecoanche economiche, che la teoria assu- nomica, cioè la visione del capitalismo me come date. che essa produce o ripete. Le condizioni di equilibrio poste Trattare una o più variabili come dalla teoria sono perciò condizioni di dati, cui le altre variabili logicamente esistenza e di riproduzione del sistema devono adattarsi o conformarsi, signidato; e in quanto fissano ciò che deve fica scontare, anche contro l'evidenza, darsi e permanere affinché esista e si che il sistema in questione sia eterno; e conservi questo sistema, rinviano di solito costringe ad inventare e ad immediatamente a una visione del imporre come norma di comportamondo. Nel concetto di equilibrio mento, quei comportamenti che pro- B I bl IOteca g In O b I~ nCQ f gressivamente riducono le differenze (gli scostamenti) fra i termini asimmetrici delle condizioni di equlibrio; escludendo cosi dalla rispettabilità teorica positiva i casi diversi della realtà, poiché contraddittori, e le visioni e i comportamenti apparentemente irrazionali che li spiegano: la moneta e il capitale, l'accumulazione, la crisi, la disoccupazione e l'inflazione, la politica economica, lo Stato. Un'economia è in equilibrio, nella definizione di F. Hahn, «quando genera messaggi che non inducono gli agenti a cambiare le teorie che sostengono o le politiche che perseguono». Ma si deve ricordare che in quanto è un costrutto teorico, l'equilibrio è artificiale; e può essere protetto soltanto «mediante una repressione delle innovazioni, mediante il mantenere artificialmente costanti i parametri ( ...) Solo una repressione organizzata e autoritaria può mantenere l'armonia statica dell'equilibrio». Quali variabili siano considerate come parametri, ai fini della riproduzione del sistema, e quali come le incognite di cui la teoria deve servire a calcolare i valori di equilibrio, questo rivela la differenza principale fra le diverse teorie, e consente una distinzione sommaria (fino al punto di escludere tutti gli eretici innovatori) fra due grandi classi di modelli, che per comodità pedagogica si possono chiamare schema classico, della produzione o del sovrappiù, e schema neoclassico o dello scambio. L'economia politica classica (da W. Petty a D. Ricardo) è analisi del capitalismo come modo di produzione storicamente determinato; essa tuttavia non spiega, bensì presuppone come date e tratta, in senso lato, come parametri, le due caratteristiche essenziali di questo modo di produzione: la sua struttura di classe (capitalisti, lavoratori salariati, rentiers), è la sua capacità di produrre sovrappiù (che è quel che resta delle merci in cui consiste il prodotto sociale, una volta reintegrate quelle che sono state consumate nel processo di produzione). Struttura di classe e tecnologie determinano la distribuzione del sovrappiù; questa a sua volta condiziona, date le decisioni dei capitalisti circa il modo di spendere i profitti, il processo di accumulazione del capitale e quindi le condizioni di riproduzione del rapporto capitalistico. Nello schema classico sono dunque assunti come parametri: una tecnologia vitale (capace di generare un sovrappiù); il salario di sussistenza; la composizione del prodotto sociale (in termini o di consumo dei capitalisti, o di saggio di accumulazione del capitale); e la scala di produzione (in termini di numero di unità prodotte, o di numero dei lavoratori). Sono invece variabili endogene: il saggio del profitto; i prezzi relativi; il saggio di accumulazione del capitale, oppure la quota di prodotto lordo consumata dai capitalisti (a seconda di quale di queste due grandezze sia tratta come parametro per specificare la composizione del prodotto lordo); la composizione dello stock dei mezzi di produzione prodotti, e la composizione dei flussi di prodotto lordo e di prodotto netto. La nozione classica di equilibrio è essenzialmente dinamica: le condizioni di riproduzione del sistema, e la perpetuazione della struttura di classe che lo distingue, prendono la forma di una relazione (inversa) fra saggio di salario e saggio dei profitti, e dunque fra dinamica della popolazione produttiva e processo di accumulazione del capitale. L a teoria economica neoclassica (la teoria egemone dopo il 1870), anziché analisi di un dato modo di produzione,.è tecnica di soluzione del problema ecl!>nomicoche vi è assunto come generale ed eterno: secondo quali rapporti gli individui dovrebbero redistribuirsi, mediante lo scambio, i beni e i servizi produttivi di cui dispongono inizialmente, al fine di ottenere la situazione finale,,più vantaggiosa, secondo le loro preferenze. In questo schema la struttura di classe diventa analiticamente irrilevante, e cosi il concetto di sovrappiù. La prima viene annegata e sostituita dalla struttura data (così come è data la struttura di classe nello schema classico) della dotazione iniziale di beni e servizi produttivi dei singoli individui (o coalizioni). Un analogo indebolimento nella definizione delle circostanze (con conseguente guadagno di generalità, e perdita di rilevanza) si ha per quanto riguarda la tecnologia: anche nello schema neoclassico essa viene supposta come data, con l'unico vincolo di saper trasformare le risorse scarse in beni scambiabili. Nello schema neoclassico i parametri sono dunque i seguenti: le dotazioni iniziali di risorse, e una tecnologia efficiente (come determinanti dell'offerta); i gusti o preferenze degli individui, e la distribuzione fra questi della proprietà delle risorse (come determinanti della domanda). Sono invece variabili endogene: le quantità di servizi produttivi destinate alla produzione di ciascun bene, e le quantità di ciascun bene o servizio destinate a ciascun consumatore di beni o servizi produttivi; i prezzi dei servizi produttivi (e dunque i redditi dei proprietari delle risorse) e i prezzi dei beni finali (e dunque i redditi dei trasformatori). Questi prezzi assicurano l'equilibrio del sistema, in quanto assicurano che per nessun bene o servizio produttivo la domanda ècceda l'offerta, e in quanto tutti i redditi sono determinati simultaneamente, poiché il caso e il mercato mediano e rimediano i privilegi e i rapporti di forza. Nel sistema teorico classico la teoria dei prezzi è un termine medio nell'analisi del valore, della distribuzione e dell'accumulazione; nel sistema neoclassico - nel quale viviamo, con qualche eccezione - la teoria e la pratica economica si risolvono tutte e interamente nella teoria e nella pratica dei rapporti di scambio. Nel primo, dominato dalla necessità di fare, i prezzi di equilibrio sono una condizione necessaria per la riproduzine, allargata il più possibile, del rapporto capitalistico e delle sue stesse capacità di crescita. Nel secondo, dominato dalla necessità di scegliere, i prezzi di equilibrio sono condizione sufficiente per il mantenimento dello status quo ante. Nel 1870 comincia infatti la Grande depressione; da allora in poi è comprensibile che vengano definite di equilibrio situazioni in cui la domanda è uguale all'offerta, e razionali i comportamenti che a questa situazione si conformano. Almeno due cose vanno segnalate come rischiose in questa contrapposizione schematica, a fronte della possibile utilità didascalica. La prima è l'idea che gli schieramenti siano così chiari e semplici, da poter ridurre a due soltanto le innumerevoli tesi e gli 'àrgomenti dell'analisi economica, e tanto da impedire di collocarvi con un minimo di rispetto i contributi maggiori alla critica della teoria economica come ideologia dell'equilibrio (di Marx, Schumpeter e Keynes, dei quali si dirà appositamente; ma anche di Marshall, di cui non ci si occuperà qui se non incidentalmente, poiché degli equilibri parziali, anziché dell'equilibrio del sistema economico nel complesso, si tratta altrove). Il secondo rischio, ma più importante, di questa schematizzazione è di trarne la convinzione che le tecniche adottate nella produzione, la tecnologia, e quindi la scienza, siano variabili unanimamente e necessariamente trattate come dati, e perciò ovviamente neutrali. Gli stessi eretici nominati sopra (Marx, Schumpeter, Keynes), ma anche semplici esercizi di osservazione e riflessione disincantata bastano per convincere del contrario: che scienza e tecnica sono l'immagine speculare dei rapporti di produzione e perciò momento del processo di riproduzione. Ricette e macchine sono le variabili più pronte a plasmarsi secondo le necessità e le convenienze dell'equilibrio e della riproduzione capitalistica. Introduzione-estratto dalla voce « Equi/i• brio» di prossima pubblicazione nel Dizionario di economia politica (Boringhieri, Torino I 982) diretto da Giorgio Lunghini, di cui sono già apparsi nel iennaio scorso i primi tre volumi.
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