Alfabeta - anno IV - n. 34 - marzo 1982

Jacques Nobecourt e Miche) Guibal, aggiunge agli inediti altri importanti articoli della Spielrein quasi sconosciuti; in più ristruttura il materiale secondo un ordine cronologico e lo intervalla con pezzi dei curatori che propongono una lettura di fatti e parole in cui la Spielrein, anche se non nominata, è presente. Da rilevare che la famiglia Jung non ha autorizzato la pubblicazione delle molte lettere inviate da Jung. Riassumo brevemente la vicenda: Sabina Spielrein è una giovane ebrea russa analizzante di Jung, da lui stimolata a diventare psichiatra, più tardi allieva di Freud. Alcuni episodi psicotici l'avevano fatta ricoverare giovanissima nell'ospedale psichiatrico di Zurigo dove lavorava Jung, all'epoca trentenne, che l'aveva presa in cura. Cinque anni dopo il debordare del transfert in una storia d'amore spezza bruscamente l'analisi. Una lettera anonima di Emma Jung informa igenitori di Sabina dell'accaduto, Jung si tira precipitosamente indietro e Sabina disorientata scrive a Freud chiamandolo a terzo e testimone. Freud è cauto ed evita nette prese di posizione pregando addirittun,1 di non essere iirato in causa come giudice mentre invita Jung a controllare il suo controtransfert. Jung, da tre anni suo brillante allievo, designato come successore, proprio allora gli aveva procurato la possibilità del famoso viaggio in America per un ciclo di conferenze.« In Europa mi sentivo come un proscritto, mentre in America mi vedevo accolto come un pari», commenterà Freud nell'Awobiografia. Si trattava per lui di un'occasione prestigiosa che nulla avrebbe potuto fargli mancare. Dopo la laurea, la crittura di un articolo che precorre di dieci anni il concetto freudiano di pulsione di morte - Freud stesso lo riconoscerà in una nota di Al di là d_epl rincipio di piacere - vale alla Spielrein l'ingresso nella Società psicoanalitica di Vienna. ProIl manifesto che annunziava le pubbliche giornate di s111diode« La pratica freudiana», celllro di studi e ricerche psicoanalitiche, su « La na111rae la grazia», svoltesi a Milano il 23 e 24 gennaio, recava - quasi come indicazione programmatica - una citazione dal saggio di Freud, Un ricordo d'infanzia di Leonardo da Vinci: « Tuui noi mostriamo ancora troppo poco rispetto per la Natura, la quale, secondo le parole sibilline di Leonardo, precorritrici di quelle di Amleto 'è piena di infinite ragioni che non furon mai in isperienza'. Ogni uomo, ognuno di noi, corrisponde a uno degli innumerevoli esperimenti nei quali queste 'ragioni' della natura urgono verso l'esperienza». Ma questa natura, che a suo tempo Marx aveva definito «corpo inorganico dell'uomo», lungi dall'esser considerata con maggior rispetto, appare sempre più - sono parole de/l'intervento introduttivo di Sergio Finzi a/l'incontro -, come «qualcosa con cui è quasi impossibile elllrare in rapporto diretto, qualcosa che porremmo assegnare alla sfera del rimosso, alla sfera dell'inconscio». Interrogarsi sulle cagioni ci ciò, al di là delle troppo facili spiegazioni sociologiche, o delle mode diffuse di un quanto mai artificioso e commercializzato «ritorno allanatura», e i111errogarsi dal posto cemrale della psicanalisi, ha significato, nei due giorni di fiuo lavoro, cui hanno partecipato, oltre agli psicoanalisti Sergio Finzi e Virginia Finzi Ghisi, scienziati, critici /eaerari, scrittori, proieuare l'attenzione su una tematica che coinvolge, per riprendere l'allusione di Freud ali' Amleto, moltissime cose tra la terra e il cielo. Da tempo Virginia Finzi Ghisi, in una serie di saggipubblicati sulla rivista Il piccolo Hans, va elaborando un suo specifico approccio al tema della fobia; durrà altri testi fra i quali conviene segnalare quello del '20 «La genesi delle parole infantili papà e mamma• che è il primo tentativo di mettere in rapporto il linguaggio e la teoria freudiana delle pulsioni. Su consiglio di Freud, dopo il '23, tornerà in Russia e U sparirà negli anni trenta durante le purghe staliniane. I documenti ritrovati mostrano che la figura di questa donna ebbe un peso sulla psicoanalisi di quegli anni e sui suoi protagonisti, pure ilsuo nome non è passato alla storia. Singolare inversione di destini rispetto a Lou Andreas Salomè che negli stessi anni si accostava all'insegnamento freudiamo seppure con tutt'altro bagaglio umano e culturale e in età matura, ma soprattutto con la forza di chi si sa soggetto del proprio discorso. Anche a lei Freud riconosce il merito di saperlo anticipare, ma da una posizione simmetrica, di teorica e analista, mentre a Sabina sembra lasciare piuttosto l'intuizione, !'«ancora• di verità dell'isterica. Nella circolarità del transfert che include Jung, Freud e Spielrein ciascuno di essi è, sottolineano Nobecourt e Guibal, terzo per gli altri due anche se Freud si colloca come un po' più terzo, come essenziale; la presenza del terzo è ovunque ci sia un divano e una poltrona, è la situazione fondatrice stessa della psicoanalisi. Alla triangolazione transferenziale si aggiunge in questo caso il fatto che i tre sono in preda ai fantasmi di una teorizzazione della psicoanalisi. Molti dei nodi e degli inciampi con cui la psicoanalisi ha avuto ed ha a che fare sono enucleati in questa vicenda che ha la freschezza e la drammaticità di un'avventura mai sperimentata prima. Nodi e inciampi che nascono da opacità transferenziali peculiari, ma sollevano problemi teorici fondamentali. Ad esempio: Che cosa è analizzabile nel transfert che nell'amore resta opaco? È la domanda ostinata che la Spielrein rivolge prima a Jung e successivamente a Freud. Perché l'occupare una posizione di soggetto supposto sapere col prestigio ed il riconoscimento che ne conseguono produce effetti fantasmatici all'interno di una comunità analitica che da un lato ostacolano, in quanto tali, il progresso della ricerca clinica e dall'altro accelerano la produzione teorica e la sua messa in scrittura? In che misura lo scritto può supplire all'interminabilità di un'analisi terminabile? Come mai i modi di affrontare tale interminabilità sono cosi particolari in quella donna che era la Spielrein? Quali capacità legate all'immaginario materno hanno indurito l'ascolto di Freud e Jung e fatto calare una cortina di silenzio sul nome Spielrein? Più da vicino. L a prima lettera che la Spielrein scrive a Freud per chiamarlo a testimone di un amore prima ardentemente confessato e poi seccamente ritrattato risale al 1909. La vicenda si sarebbe certamente conclusa con la resistenza di Freud a volerne sapere di più se Sabina si fosse rassegnata al fraintendimento; infatti lo considera tale e si sforza di spiegare a Freud qual'è la vera posta in gioco: «Il mio desiderio più grande è di separarmi da lui con amore ... lo vorrei separarmi totalmente dal dottor Jung e andare da sola per la mia strada; ma questo posso farlo solo se sono tanto libera da poterlo amare, se gli perdono tutto o lo uccido ... » (lettera del I0/6/ I909). Non è chiedere giustizia di una reciprocità promessa e poi mancata, piuttosto chiamare un terzo a testimone di un transfert non tutto analizzato che interroga qualcosa al di là di ciò che si conviene per amore. Come se una sola certezza, ma trasparente. sorreggesse la durezza dell'esperienza: non si liquida un amore di transfert se non analizzandolo fino al terminabile, fino a quando la domanda non si sia consumata. Tutta l'analisi non è che analisi del transfert, dirà poi Lacan; è proprio ciò che queste lettere sostengono. Che siano poi indirizzate a Freud allinea alla questiòne della fine dell'analisi quella del passaggio alla posizione di analista. Ancora tormen\ata dalla questione dell'amore reale «Dov'è l'uomo che potrei amare? ...Sono ancora sola» (Diario del 7-1-12) Sabina ha però ormai faticosamente partorito «La distruzione come causa del divenire», il lavoro teorico da inviare in dono a Jung in luogo del bambino immaginario che aveva fantasticato di partorirgli: Sigfrido. Jung ne misconosce la paternità e aggiunge l'invito di pubblicarlo altrove. Un'altra donna intanto ha preso il posto della Spielrein accanto a lui, ma più devotamente e disciplinatamente: Toni Wolff. A partire dal I2 il carteggio con Jung si interrompe, la Spielrein si sposa, ha una bambina, ma soprattutto intensifica la produzione teorica e lapratica clinica come allieva dichiarata di Freud. Cinque anni dopo è ormai una analista a scrivere a Jung per commentare il significante - Sigfrido - su cui non aveva cessato di interrogarsi, la «creatura ideale» nata dagli insegnamenti congiunti di Freud e Jung: «Le ho già scritto che contemporaneamente o in seguito alla comparsa di un violento sogno su Sigfrido durante la mia gravidanza, io stavo quasi per perdere la bambina ... Quale contraddizione esiste tra Sigfrido e la mia piccola Renata che ha fatto sì che le due componenti si siano contrapposte in un arduo conflitto nel mio intimo quando la piccola Renata stava formandosi?> (lettera del gennaio 'I 8). Se neanche la completezza immaginaria della maternità colma il vuoto che la Spielrein ostinatamente mantiene per fare spazio al suo cercare. la sua analisi incompiuta è certo conci usa pur restando interminabile. Le lettere che invia a Jung diventano materiale di lavoro - chiede che le siano restituite insieme alla risposta - che domanda di essere letto e commentato. C'è da domandarsi come mai resista ancora l:analur•~t!Jgarazia e Sergio Finzi, dal canto suo, attraverso un itinerario che ha so110/i11eatloe forme spaziali, le silhouettes, il disegno, si è avvicinato ad una nuova collocazione delleperversioni, che la relazioneal convegno, dal titolo (leopardiano) « Dialogo della Natura e di 1111 perverso», esplicita proprio nel particolare rapporto con la natura. A suo tempo, traendo spunto dal- /' Analisi della fobia di un bambino di cinque anni (Caso clinico del piccolo Hans1 di Freud, V. Finzi Ghisi aveva messo i11luce il rilievo che veniva assumo dalla «barriera» dell'edificio del Dazio, e dall'apertura immaginata da Hans per superarla, una sua personale aggiunta che cancellava l'apertura ef fettiva. Come leggiamo nel restodi presemazione alle giornate di studio, «l'esperienza clinica» ha portato V. Finzi Chisi «a individuare un luogo all'inizio delle nevrosi, che si configura nella prima infanzia come passaggio da una fase di angoscia all'ergersi di una barriera». Questo «luogo della fobia» è stato al centro della relazione «Niente cani», te11111aal vonvegno: un itinerario affasciname che, muovendo da u11caso clinico e richiamandosi sia ad altri casi, già oggetto dei suoi saggi e comunicazioni, sia al referente Freud, non solo imroduce anche il profano nella complessità della «cura» analitica, ma rappresema un avanzamento sul pia110 teorico e conoscitivo. Considerazioni analoghe si potrebbero fare per la relazione di Sergio Finzi. Qui la ricerca si muove sul terreno delle perversioni, e sugli interrogativi che, a tale riguardo, gli stessi Tre saggi sulla teoria sessuale di Freud lasciano aperti. I loro spazi vuoti pongono perciò l'esigenza di una ulteriore elaborazione. Avvalendosi, ancora una volta, dell'esperienza clinica, Finzi individua nel rapporto con la nalllra la particolarità del perverso: « li perverso i111erpellala 11aturacome soggetto, le dà del 111». E ciò in co111rote11de11pzear, dir così, con lo iato,laspezzatura,chefa sì chedi frome alla natura la «normalità» dem111ziaun «1101s1aperci fare», un «blocco» che ha a che fare con la fobia, e che il nevrotico, pur avvertendo la propria ine1titudi11etenta di risolvere con un compromesso. Ma ciò che il perverso sembra perdere, in cambio, è la sua propria soggetti• vità; è come se quanto egli fa, e pur sa fare, non gli appartenesse. Se mi è lecito staccarmi dalla ricca articolazione ed argomentazione di Finzi con un aneddoto personale, direi che non è forse casuale che uno scrillore di mia conoscenza ami usare l'espressione: «Scrivo come sudo». Lo scrivere gli appare come una funzione naturale;con la conseguenza che abbandona per lunghi periodi questa sua forma di auività - nella quale pure, «ci sa fare» - nella vana ricerca di collocare «altrove» la propria soggeuività. Questo riferimell/o alla scriuura 11011 è casuale. All'incontro della «Pratica freudiana» hanno dato infaui un contributo esse11ziale - nel quadro più ampio offerto dalla psicoanalisi - critici e scrittori. Sia Paolo Volponi, nel parlare di «Natura ed animale», sia chi scrive questa nota, svolgendo il tema «Né ingenua né sentimentale», hanno fatto esplicito riferimento allo Schiller che indaga i rapporti tra «natura» e «poesia», e chiama i poeti «custodi della natura». «I poeti sono animali, fratelli degli animali», ha detto, tra l'altro, Paolo Volponi; ma gli uomini di oggi hanno del tutto smarrito il senso della grazia animale. Al contrario, essi usano dell'animale -e della natura -in modo «cinico, spietato, sopraffai/ore». E Spinella, indagando le funzioni che nella poesia di Montale vengono affidare a/l'immagine ambigua degli inseui, si è richiamato alla complessa fenomenologia che tale immagine ha avuto nella cultura: dalla Bibbia sino al sordo ronzio dei satelliti armati che - giga111eschinseui voliranti sul nostro globo - lo minacciano, oggi, ai distruzione rotale. Ad alto livello di tecnicità, Stefano Agosti e Giovanni Pozzi hanno concentrato l'attenzione sulle modalità, rispettivamente poetiche e mistiche, del tra/lamento della natura. Agosti si è soffermato su un testo in prosa di Mal- /armé, Crise de vers, per porre in luce come il poeta faccia emergere dal rapporto tra natura, «une fleur», e il suo nominarla in parole, «je dis», il concetto di «nozione pura», che sarà alla base del suo lavorio di scrittura. Giovanni Pozzi («La natura eia grazia nella retorica dei santi») ha tracciato un finissimo itinerario sulle metafore e le metonimie attraverso cui i mistici costruiscono una specifica immagine del corpo, differenziata da quella deducibile dalla tradizione poetica (va ricordato che Pozzi è autore, tra l'altro, di uno squisito saggio sulla metafora della rosa, La rosa in mano al professore). «Se il linguaggio dei poeti e quello dei mistici -ha osservato Poui - ricorre alle figurazioni del linguaggio analogico.e metonimico, se ambedue producono effetto di significato meuendo dei termini noti in combinazioni la cui coerenza semantica non è quella normale, sembra però nei singoli casi che il percorrimento sia del tutto diverso, addiriuura opposto». Una tesi, questa, che ha suscitato una vivace discussione. Mentre, nello stesso ambito di riferimemo, Marisa Bulgheroni ha studiato «Il bestiario di Emily Dickinson», le relazioni di Giulio Giorello e di Felice una attribuzione di sapere a Jung ormai così lontano da Freud di cui Sabina si dichiara allieva in toto. Forse perché, come nota Lacan, nessuno psicoanalista può pretendere di rappresentare, foss'anche in modo minuscolo, un sapere assoluto? Ma Lacan fa eccezione per Freud e lo indica non solo come soggetto supposto sapere ma come colui che sapeva, per quanto concerne l'inconscio. Una legittimazione d'eccezionalità che la storia conferma, ma non completamente valutabile all'epoca di questi avvenimenti. O forse c'è dell'altro, qualcosa di rimosso e di opaco nel transfert tra Freud e Jung su cui la Spielrein indaga confrontando e commentando di ciascuno dei due le costruzioni teoriche e scrivendo dell'uno all'altro? Freud serberà sempre un sobrio silenzio sulla questione, mentre Jung scriverà a lungo ed esplicitamente sulle ragioni del suo dissenso, ma nessun discorso comune sarà più possibile. Il nome Spielrein -gioco giusto, gioco vero -resterà fra i due con la funzione di punzone, cioè di quel segno O di congiunzione e disgiunzione che Lacan ha introdotto per la formula del fantasma,$ O a, che indica la posizione del soggetto radicalmente diviso rispetto al «piccolo a» causa del desiderio. Ed è proprio per aver individuato in Freud la causa del desiderio di Jung che Sabina, da buona isterica, gli si rivolge perché l'aiuti a rintracciare la strada, la giusta direzione del suo percorso analitico. Un'analisi procede infatti in vista del materializzarsi di questo oggetto nel transfert: tappa decisiva ma non ancora il suo termine come molti. pur andando lontano come la Klein o Winnicot, hanno teorizzato. Se non ha ucciso la «piccola» Renata Sigfrido non ne è stato ucciso, dice la Spielrein. Resta appunto inafferrato e inafferrabile, come mancanza che non cessa di scriversi. Mondella si sono richiamati alle recenti problematiche aperte sul rapporto tra uomo e natura, e su quello tra scienze naturali e scienze umane, dalle riflessioni di llya Prigogine, di Gregory Bateson, di Miche/ Serres. Queste nuove impostazioni testimoniano della auualità e delle implicazioni intorno a cui le giornate di studio della • Praticafreudiana» si sono mosse. L'alto grado di comunicabilità col pubblico presente, pur nel rigore concettualedei vari momenti del convegno, e la perrinenza di molti interventi nel dibattito (tra cui quelli di Guido Crepax e di Emilio Tadini) pongono, infine, la questione più generale su questa specifica modalità di comunicazione imellettuale e culturale. Si ha l'impressione, contrariamente a un'opinione variamente affiorata nel dibattito sulla cultura che allorché i «convegni» sfuggano,come in questo caso, alla casualitàe ali'occasionalità di scelte tematiche e organizzative cui si perviene, in questa o quella sede, per accumulazione di «iniziative>, ma siano invece periodica espressione di un lavoro in corso da parte di organismi di ricerca, la loro funzione, lungi dal/'essere esaurita, si inserisce con un suo ruolo specifico nella strumentazione dellaproduzione e del dibauito culturali, accanto alle struuure degli istituti, alle riviste, alla editoria specializzata. La natura e la grazia Giornate di studio de • La Pratica freudiana», Milano, 23-24 gennaio 1982. Relazioni di Giulio Giorello, Felice Mandella, Virginia Finzi Ghisi, Sergio Finzi, Marisa Bulgheroni, Stefano Agosti, Giovanni Pozzi, Paolo Volponi, Mario Spinella.

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