"" ' ' "' -~ "- ~ °' -. e ~ "' !: .... ...., " ~ -e _;,.,,.~ <i Un punto del questionario chiede un'analisi del crollo del «modello classico di realizzazione della giustizia nello Stato democratico borghese», che contempla la terzietà del giudice, imparziale tra Stato e imputato. Già l'impeccabilità con la quale Voltaire duecento e passa anni fa (quando le cariche giudiziare erano venali ed il magistrato era braccio della corona) descriveva ciò che oggi ci affligge, rende scettici che la terzietà sia mai esistita. Eppure in questi ultimi anni il comportamento della magistratura è cambiato. Non ripeterò qui, pur condividendola, l'analisi marxista del magi- .strato grand commis della classe dominante, non solo perché arcinota (cfr. ad es. V. Lenin, Stato e rivoluzione, trad. it. Ed. Riuniti, Roma, 1954, pp.11-14 e passim), ma soprattutto perché troppo spesso la cultura marxista considera date ed applicate una volta per tutte le sue categorie fondamentali, non sviluppando nuove analisi e spolpando una cultura ricca ed articolata in «-ismo• senza vitalità?. /. Tradizionalmente si conoscono due tipi di processo penale: normale e di rouura. Nel primo, l'imputato lascia agli officianti (P.M., corte,difensore) la celebrazione del rito, alla cui «giustizia imparziale• non crede affatto, e spera in bene. Nel secondo, che spesso è più o meno esplicitamente politico, questo strumentale riconoscimento d'imparzialità non c'è: si può andare dal fatto che l'imputato accetta si di difendersi, ma disconosce attivamente la buona fede del P.M., l'imparzialità della corte, denuncia montature e/o sevizie subite, ecc., sino al fatto che l'imputato nega alla corte il diritto stesso di giudicarlo, ed anzi contraccusa i giudici in nome di un'altra legalità. Cosi fecero ad es. i combattenti del Fin algerino contro le corti francesi. Come spesso, nella tragedia c'è anche la farsa: quando l'imputato non sia attivamente sostenuto da un popolo od una classe, più fragorosa è la rottura e più profondo l'isolamento che denota. Bastassero proclami letti in aula per trasformare la lotta di classe in rivoluzione in atto! Ma l'attualità del quesito è che recentemente è parso esistere un terzo tipo di processo, retto da un magistrato-demiurgo che, guardando all'idealità, pareva plasmare l'empiria, restando «terzo» tra classe dominante e lavoratori. Vi sono infatti momenti nei quali le forze popolari ottengono seppur parziali vittorie, ad es. sulla nocività. La razionalità operaia squarcia allora per un momento le menzogne dell'ideologia, ed appare l'abbagliante verità che, ad es., non è giusto che tutti gli operai di Cirié muoiano di cancro. E cosi, soprattutto nel campo del diritto del lavoro, il giudice recentemene sembrò talmente «terzo», che «non pochi si andavano convincendo che era possibile[ ...] far vivere nelle disposizioni di legge e nelle sentenze un dirillo proletario accanto al diritto borghese» (G. Spazzali, La zecca e il garbuglio. Dai processi allo Stato allo Stato dei processi, Machina Libri, Milano, 1981, p. 145). 2. Ciò è oggi radicalmente mutato, e giova dunque analizzare quella «stagione delle riforme che si è avuta in Italia negli anni a cavallo del 1970, (quando) tutto era sembrato possibile» (R. Canosa, Le libertà in Italia, I dirilli civili e sociali re/l'ultimo decennio, Einaudi, Torino, 1981, p. 49). All'analisi risulta invece che se anche qualcosa era sembrato possibile, poco o nulla lo era stato realmente. Cosi lo Statuto dei lavoratori (1970)- ora in fase di smantellamento - già allora garantiva solo gli (almeno parzialmente) garantiti, ma dietro contropartita: che rappresentanza e negoziazione fossero monopolio della Triplice sindacale o altre associazioni sindacali nazionali (art. 19); che l'attività antisindacale del padronato fosse punibile solo quando volta contro la Triplice o tali associazioni nazionali, mentre i piccoli ma combattivi «collettivi• locali erano lasciati alla mercé dell'antagonista di classe (art. 28); che la giusta causa nel licenziamento non si applicasse ai dipendenti delle piccole aziende; che la stabilità del posto di lavoro non si applicasse alla legione dei «precari» dello Stato e degli enti pubblici (art. 37). Se questo non è parlar chiaro! Lo scopo era evidentemente quello di sempre: dividere i lavoratori. Terzietà? Tra i molti altri esempi possibili, le carceri. La riforma del '75 appariva avanzata, ma l'art. 90 dava al guardasigilli la possibilità di metterla in mora. Nel '76, il regolamento applicativo la peggiorava; nel '77, prima un'altra legge (gennaio) la restringeva ulteriormente, e poi (maggio) scattava una delle peggiori barbarie recenti: Carlo Alberto Dalla Chiesa veniva incaricato di realizzare il circuito carcerario differenziato. Un anno dopo, il generale diventava ministro degli interni ■ ombra, con a disposizione ingenti forze armate e senza dover render conto alle Camere del suo operato («riferisce direttamente al Ministro degli Interni>, recita l'art. 2 del decreto interministeriale, 30 agosto '78). Per contorno, varie leggi speciali (Reale e Cossiga), che della terzietà fanno zerbino per gli stivali del generale: il giudiceè obbligato a differenziare: esistono imputati ai quali non può dare la libertà provvisoria, bensl deve comminare loro abnormi pene preventive; esiste una categoria di testimoni della corona, i «pentiti», che più sangue hanno sparso e più il giudice deve ritenere credibili; ovviamente discrimina i testimoni a discarico (quando si degni di ascoltarli; cfr. AA.VV., Il/egiuima difesa. Avvocati eprocessi politici, Milano Libri, Milano, 1982, passim). Terzietà? J. Ma non occorrono leggi speciali per liquidare la terzietà. Basta il diritto comune. «Stato di diritto> significa solo questo: che, a differenza di Caligola, Io Stato perde la causa se viola la propria legge. Se pretendesse oggi una tassa sul macinato, perderebbe la causa con gli evasori; ma può sempre ripromulgarla, una tassa tanto odiosa. Il carattere «di diritto> dello Stato non dipende infatti dal contenuto della legge, ed in certo modo anche lo Stato fascista era «di diritto»: le Camere legiferavano, il re promulgava, l'esecutivo applicava, ed un corpus di leggi UN PERIODICO DA LEGGERE, DA GUARDARE E DA CONSERVARE COME UN LIBRO era affidato a giudici che non avevano comprato la carica, bensl vinto un concorso, per un'asettica applicazione. Terzietà? SI, ma da Pulcinella: cl giochi erano stati fatti a monte una volta per sempre. Alfredo Rocco fu il maestro insuperato di questa operazione in Italia> (R. Canosa, op. cit., p. 189). Ma a sua volta era stato allievo: il codice Zanardelli (1890) puniva anch'esso incitamento ed apologia all'odio di classe, e lasciava la porta aperta ad interpretare i circoli anarchici e socialisti come associazioni a deliquere e sovversive (art. 248, 251); e difatti anarchici e socialisti ne fecero le spese (R. Canosa - A. Santosuosso, Magistrati, anarchici e socialisti alla fine dell'Ottocento in Italia, Feltrinelli, Milano, 1981, p. 11) In occasione degli scontri cruenti del 1° maggio 1891, ad es., il magistrato ordinario sentenziò che l'art. 248 colpisce ugualmente «chi toglie e chi spinge e determina altrui a spogliare> (R. Canosa - A. Santosuosso, op. cii., p. 45), sicché i circoli anarchici vennero giudicati associazioni per delinquere, senza distinzione tra chi avesse «agito» e chi no, potendosi dire a questi ultimi (conclude la sentenza): «sono i compagni, creazione vostra, che (con i delitti che hanno commesso) vi giudichano> (ivi, p. 45). Non mancò nemmeno il teorema Calogero: si stabiil che il delitto non provato si «deduce dalla stessa natura delle dottrine professate dagli associati> (ivi, p. 46). I famigerati articoli illiberali del codice Rocco rendono solo più scorrevole e funzionale questo aspetto repressivo del diritto penale comune. Contrariamente a quanto spesso si crede, la Corte costituzionale fu prodiga di sentenze che li legittimavano (cfr. R. Canosa, op. cit. , pp. 103 sgg.), mostrando di credere in una sorta di transustanziazione: sotto il fascismo erano articoli liberticidi, ma dopo la promulgazione della Costituzione, sacro monumento di democrazia iiberhaupt, quegli stessi articoli divenivano corifei di liberà, strumenti di un 'ILWSTRAZI L'ILWSfRAZIONE -- -· -· ITALIANA --- UN DONO A CHI CI SCRIVE Gentile Amico, qualora desiderasse ricevere in dono un numero della nuova serie dell'Illustrazione Italiana, sino a esaurimento delle copie disponibili, e il prospetto con le particolari condizioni di abbonamento, Lapreghiamo di indirizzare la Sua richiesta alla Guanda, in via Manin n. 13, a Milano. GUANDA b,u,1otecaginobianco
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