Alfabeta - anno IV - n. 34 - marzo 1982

Geometa:i,l~ .. !ltl,lapaura H.P. Lovecraft Opere complete Milano, Sugar, 1978 pp. 950, lire 10.000 Comune di Reggio Emilia La paan mano-maggio 1982 convegni, mostre e dibattiti H ·oward Philips Lovecraft (18901937) va considerato come il principale innovatore del racconto gotico. Senza di lui, difficilmente questo genere, che alla fine dell'ottocento era ormai estenuato, si sarebbe potuto rigenerare sotto forma, più novecentesca, di horror story. La modernità di Lovecraft sta forse nel fatto che egli si muove in una terra di confine tra horror soprannaturale e fantascienza. I suoi racconti sono tutti tesi verso una definizione formale (topologica) dell'oggetto di paura ( «la Cosa•). Riassumiamo le sue ipotesi. (Si veda in particolare il racconto L 'Innominabile, scritto nel 1923 e pubblicato due anni dopo.) Secondo Lovecraft, «poiché lo spirito, per produrre tutte le manifestazioni attribuitegli, non può essere limitato da nessuna legge di materia•, non «è stravagante immaginare cose morte viventi in forme - o in assenza di forme - che per gli osservatori umani devono essere completamente e spaventosamente innominabili». Si dirà che questo è ancora l'orizzonte delle storie di fantasmi; in realtà c'è qualcosa di assolutamente nuovo, che è appunto la definizione formale della Cosa. Questa ha due caratteristiche principali: a) la «mancanza di forma• (per' parlarne Lovecraft si serve di uno strano vocabolario: caotico, gelatina, melma, abisso, vortice, gorgogliante), che può essere interpretata anche come presenza di una forma anomala, non descrivibile da una geometria umana (costanti in Lovecraft sono i riferimenti alla geometria non euclidea, agli spazi riemaniani, a cosmiche geometrie «tutte sbagliate•); b) l'impossibilità di essere nominata. Lovecraft, naturalmente, sa raddoppiare la definizione formale in abile scrittura: «... se le emanazioni psichiche delle creature umane fossero grottesche distorsioni, quale coerente rappresentazione esprimerebbe o descriverebbe una nebulosità cosi gibbosa e infame come lo spettro di una perversione malefica e caotica, essa stessa una morbosa bestemmia contro la natura? Modellato dal cervello morto di un incubo ibrido, un tale vago terrore non costituirebbe, in tutta la sua disgustosa verità, l'innominabile nel modo più vivo e lacerante?» Ma proprio la letteratura e l'arte, continuando ad agitare il fantasma dell'informe e dell'innominabile, hanno fatto in modo che il problema, nella sua versione formale, non fosse accantonato. Le idee che furono di Lovecraft sono oggi al centro della teoria della stabilità strutturale e della morfogenesi di René Thom, più nota come «teoria delle catastrofi•. L'opera più importante di Thom si apre proprio con la definizione di «forma informe•. Thom considera lo spazio usuale suddiviso in «anrattori», ognuno dei quali corrisponde «a una forma-tipo, biologicamente importante•. (Anche in Lovecraft l'accento è posto sulle forme biologiche: la Cosa è un'entità viva). Dal punto di vista matematico, la «forma» sarebbe la classe di equivalenza di tutti quegli oggetti che possono essere ottenuti l'uno dall'altro attraverso un gruppo di operazioni. Perché una forma sia strunuralmente stabile occorre che ogni altra forma che le è abbastanza «vicina• appartenga alla stessa classe di equivalenza. (Qui «abbastanza vicina» va inteso in senso topologico: due forme sono abbastanza vicine quando possono essere considerate come ottenuta l'una dall'altra attraverso una lieve deformazione che, beninteso, può non preservare certe caratteristiche d'equivalenza delle forme in questione.) el caso che la perturbazione di una forma vicina faccia uscire una forma dalla classe di equivalenza, ci troveremo di fronte a una forma instabile «che una perturbazione infima può trasformare; tali forme non meritano la qualifica di forme; sono propriamente informi•. È a questo punto che Thom giunge all'idea lovecraftiana dell'innominabilità: «le forme soggettivamente identificabili, le forme provviste di una denominazione, rappresentate nel linguaggio da un sostantivo, sono necessariamente srr111111ralmemsteabili•. Thom distingue poi due tipi principali di forme informi, che di fatto, essendo «collegabili con una catena continua di intermediari», vanno intesi come i punti estremi di una stessa sostanziale informità. «Certe forme sono informi perché presentano una struttura interna assai complicata; caotiche, esse non offrono all'analisi che pochi o punti elementi identificabili; altre al contrario, son composte di un piccolo numero di elementi identificabili, ma di cui l'associazione in uno stesso oggetto appare contraddittoria o eteroclita (le chimere e altri mostri ne forniscono esempi tipici). «Queste forme instabili sono, nello spazio sopra considerato, forme di biforcazione; il loro punto rappresentativo si trova alla soglia fra due o più bacini di attrattori; di fronte a queste forme, la mente oscilla indefinitamente fra gli attrattori adiacenti senza giungere a una scelta. Ne risulta per l'osservatore uno stato di disagio o di angoscia; i pittori surrealisti hanno conosciuto bene questi effetti, che hanno abbondantemente sfruttato. Al contrario, le forme instabili del primo tipo saranno rappresentate da punti aderenti ad una infinità di bacini di attrattori diversi ... •. LI idea deU'innominabilità sta anche alla base di numerose operazioni svolte nelle arti visive, e in particolare dai surrealisti, che BI u 11 u L~t,;c:ty I nu L, 1a n vu Thom stesso è il primo a citare. Fra i surrealisti, ad esempio, Magritte è l'artista più cosciente del problema della stabilità strutturale di una immagine. Negli anni '30, riflettendo sul tema inaugurato nel 1928-29 con il notissimo lavoro «Ceci n'est pas une pipe•, Magritte mette a punto una serie di quadri formulati come degli abbecedari, e cioè costruiti con delle immagini elementari cui sottostà. il sostantivo che le definisce. L'atto di parola di Magritte, però, mette in forse l'apparente stabilità di quelle immagini, applicando un'etichetta incongrua: le ciel sotto una valigia, l'oiseau sotto un temperino, la table sotto una foglia e l'eponge sotto una spugna. La successione, nel mettere in crisi il rapporto verità/falsità fra parola e immagine, mette in crisi in realtà certe stabilità morfologiche precedentemente veicolate dalla «certezza» di corrispondenze fisse fra mondo reale, la sua rappresentazione figurativa e la designazione verbale di quest'ultima. Scrive Magritte: «Un oggetto non svolge mai lo stesso ufficio del suo nome o della sua immagine•, e questa frettolosa asserzione viene applicata allo schizzo «Le parole e le immagini», del 1929, in cui un cavallo, il quadro col disegno di un cavallo e un signore che va pronunciando la parola /cavallo/ vanno ognuno per la sua strada. Il lungo periodo magrittiano di riflessione sull'ambiguità delle forme e delle loro designazioni si conclude però con alcune opere che ci paiono ancor più interessanti. «La condition humaine», del 1933, è in questo senso estremamente emblematica. Ricordiamo il soggetto: una finestra si apre sul mondo e ne mostra un rigoglioso paesaggio collinare coperto da un cielo azzurro e leggermente nuvoloso; ma alla finestra si sovrappone un quadro ancora installato su un cavalletto, e che rappresenta lo stesso paesaggio dallo stesso punto di vista; solo i contorni del quadro definiscono la sua presenza davanti alla finestra: di fatto i due personaggi coincidono, ed è indecidibile quale sia rappresentazione e quale sia realtà, o meglio quale sia rappresentazione di una rappresentazione e quale rappresentazione di una realtà. Ma c'è di più: Magritte e tutti gli altri surrealisti che si dedicano alla rappresentazione di forme instabili (instabili perché poli-morfe), da un lato riferiscono i loro quadri-visione al momento psichicamente più instabile dell'immaginazione, cioè il sogno; e dall'altro lato si dedicano al più instabile dei sogni, l'incubo (il più instabile dal punto di vista della sua natura interna, ma il più instabile anche dal punto di vista degli effetti prodotti). Conflittualità morfologica e conflittualità psicologica van.no dunque di pari passo e sono da intendersi come reciproche causa ed effetto. Altro artista divenuto ormai il simbolo medesimo dei cosiddetti paradossi della visione è Escher. Qui il meccanismo è un po' diverso da quello dei surrealisti: non c'è ad esempio una tesi ' «ideologica» nella presentazione dell'ossimoro visivo (laddove i surrealisti esibivano i corollari antideterministi delle loro operazioni visive, come ad esempio in Max Ernst o in Salvador Dalì). E scher mostra come puri giochi i paradossi visivi che si possono ottenere nell'ambito di una pur rigorosa applicazione dei principi figurativi dell'illusione (la prospettiva lineare, la direzionalità della visione, eccetera). Così ecco i famosi voli di uccelli che possono intendersi diretti verso destra o verso sinistra del quadro; ecco le forme animali che possono prendere indifferentemente le sembianze dei rospi come dei cigni; ecco le costruzioni prospettiche nelle quali gli spazi in salita possono essere intesi anche come spazi in discesa, e così via. Paradossi della visione, come dicevamo, privi di assunti ideologici. e privi di riferimenti ed eventi al di fuori del sistema della visione stessa. In Escher la rappresentazione paradossale non è giustificata dal suo essere rappresentazione di qualcosa fuori di essa (sogno, irrealtà): la rappresentazione è semplicemente rappresentazione, e il paradosso è insito nella instabilità morfologica della sua propria struttura. Eppure, anche in Escher, dobbiamo riconoscere degli effeui destabilizzatori sul piano della fruizione: la lettura del paradosso visivo crea indiscutibilmente anche una instabilità psichica. Una sorta di misterioso turbamento. Il che porta a pensare, in definitiva, che un meccanismo come quello che regola cert_i.comportamenti passionali (la paura, appunto, su tutti) sia il portato non tanto di una struttura di contenuto (gli effeui di paura in quanto effetti di senso), ma piuttosto di strutture formali di riconoscimento. In questa direzione, saremmo confortati anche da alcune delle più recenti teor-ie nel campo della percezione. Fra queste, citeremo ad esempio la cosiddetta «teoria dell'ipotesi», formulata per la prima volta da Warren e Wapner alla fine degli anni Sessanta. Secondo tale teoria, la percezione degli stati del mondo proviene da una serie di ipotesi che l'organismo, posto di fronte a un fenomeno, formula sulla base di esperienze precedenti e di situazioni stereotipe che contestualizzano la sua manifestazione. Una percezione viene definita per ipotesi di somiglianza rispetto ad ipotesi precedentemente verificate. A questo punto l'organismo comincia a produrre una serie di verifiche attorno all'ipotesi formulata, e queste conducono alla stabilizzazione dell'ipotesi come molto probabile (e quindi «vera• , nel senso di stabile), parzialmente probabile e perciò da modificare in una ulteriore forma stabile, o altamente improbabile e dunque da scartarsi. Si possono dare casi nei quali l'ipotesi risulta per lungo tempo indecidibile, inverificabile: la percezione sarà allora conflittuale, e produrrà comportamenti rispetto allo stimolo ugualmente conflittuali. Da quanto precede si può ricavare una prima conclusione: paura e fascinazione, terrore e seduzione rispondono a una stessa situazione percettiva. La paura è paura dell'informe e dell'instabilità. La paura della morte (e delle sue versioni figurative, come il cadavere o lo scheletro) non deriva forse dalla constatazione dell'instabilità della nostra forma biologica? Ma l'informe e l'instabilità, sotto forma di oggetto estetico e di segno dei tempi (la rivoluzione, la mutazione), sono anche ciò che attrae noi avventurieri. Perché il nostro destino nasce dall'informe e all'informe periodicamente ritorna. I personaggi di Lovecraft sono sopraffatti dal terrore, ma anche dal piacere della scoperta e dell'avventura. La paura, in definitiva, è un sentimento da vigliacchi. Meglio il coraggio, che sarà definito allora come il possesso della forza di guardare in faccia l'informe. Dobbiamo l'idea di una giustapposizione delle opere di Thom e di Lovecraft a ,ma fortunata discussione con Sandro Vaiemi. Sergia T., cantante dei T.K. con Eleonora Vandelli dei T.K. e ~ " E .... .., ,i ~ - -<:> ~,. si

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