Alfabeta - anno IV - n. 34 - marzo 1982

danza di qualsiasi stimolo culturale significativo. N egli anni 70, la mitizzazione del «corpo», in quanto moda, ricerca o utopia (corpo apparentemente riscoperto dal femminismo o forzatamente ritrovato dal naturalismo, spiritualisticamente rivelato dalle seduzioni orientali, o superficialmente addomesticato alle pratiche liberatorie del travoltismo e della discoteca) contribuisce a identificare il fenomeno «danza» nella sua peculiarità di specificazione massima del rapporto tra fisicità ed espressione. molanti nella ricerca di nuovi moduli di dinamica corporea, sono stati quelli condotti in contesti più specificamente teatrali. Il gruppo romano del Teatro dell'lraa per esempio,conduce da qualche tempo un lavoro di intensa ricerca diretta prevalentemente al corpo, nel senso di sperimentazione strategica sulle potenzialità espressive della nostra macchina biologica, tramite laboratori fondati sull'improvvisazione di danza e della voce. «Lo sguardo del cieco», spettacolo nato sui presupposti teorici di Arta ud, e sviluppatosi secondo una poetica autonoma del corpo per ogni singolo attore, costituisce uno dei risultati più compiuti di questa «autoesplorazioriguarda l'addestramento al lavoro di scena, di tecniche del corpo attinte, per diretta analogia, dalla nuova danza americana. In «Malabar Hotel», uno dei migliori spettacoli allestiti dalla Gaia Scienza, la ricerca sul gesto viene addirittura essenzializzata nella netta contrapposizione tra un corpo gelido e disincarnato, quello di una ballerina bianca sulle punte (Francesca Bertolli), e i ritmi motori (ripetitivi, nevrastenici, vitalistici, liberatori) dei due attori sulla scena (Alessandra Vanzi e Marco Solari). E, ancora, molto più di recente (nell'autunno dell'81), il gruppo «Spaziozero», diretto da Lisi Natoli, ha preconsiderazione, da parte teatrale, del referente-danza come momento centrale e vitalizzante: per confronto, per analogia, o per rottura. È più che altro qui, in questa direzione, in questo sconfinamento, che a nostro avviso può manifestarsi una zona nuova, ricca di indicazioni originali. E si tratta di una tendenza che nel futuro andrebbe approfondita proprio dal «versante-danza». Compiendo, cioè, anche l'itinerario inverso: non soltanto, quindi, dal teatro verso la danza, ma anche dalla danza verso il teatro. È infatti di cultura genericamente teatrale che troppo spesso si dimostrano privi i gruppi di danza moderna Cosi, le tecniche di danza moderna cominciano a diffondersi e ad essere insegnate, il balletto (classico e moderno) trova un suo pubblico nuovo, più ampio ed entusiasta, e contemporaneamente il mercato, lo show-business nazionale, si apre all'importazione delle nuove leve dagli Stati Uniti e dal Nord Europa, per un numero di spettacoli sempre crescente, ad uso non più soltanto di una ristretta cerchia di spettatori specializzati. dregnct~"L~acania La nuova danza americana, uscendo dall'ambito semiclandestino delle gallerie d'arte e degli spazi sperimentali (come poteva accadere negli anni 60 a Roma e a Milano) comincia a trovare un suo seguito di massa, mentre il più giovane teatro di danza tedesco fornisce indicazioni rilevanti sulla possibilità di un marchio nuovo, il neo-espressionismo coreografico; si diffonde la moda delle danze indiane, balinesi, africane, giapponesi, che si rivelano perfino in grado di fornire materiale di ricerca e riflessione ad alcuni gruppi dell'avanguardia teatrale italiana. L'affascinazione generale coglie il pubblico quasi di sorpresa. Senza che le differenti esperienze si trovino ad essere strutturate e composte secondo percorsi di differenziazione linguistica, nell'assenza di supporti teorici o di indicazioni culturali di massima, il pubblico si trova a subire beatamente una massiccia inflazione di miraggi corporei, dove è compreso tutto o un po' di tutto: dalla sublimazione erotica incarnata dal mito di Nurejev fino al formalismo straniato e psichedelico dei «Pilobolus», dall'impalpabile plasticità della danza Butoh fino al luccicante revival televisivo e cinematografico dei grandi musical americani. E nulla ci sarebbe da ridire su questo punto se il boom commerciale, debitamente gestito sul piano culturale, avesse in qùalche modo stimolato una serie di risposte concrete sul piano della produzione nazionale: il che non è accaduto, e non accade. Il mondo della danza italiana, affossato nelle sue carenze organizzative, nella sua mancanza di punti di riferimento teorici, nelle sue forzature superficialmente tradizionaliste, non accenna a venire fuori da quella stessa paralisi creativa che ne ha inquinato il passato prossimo. Per quel che riguarda ilversante della danza classica, basti fare cenno alla perenne fuga di talenti (e dal punto di vista interpretativo, in Italia non ne mancano affatto) a cui sono andati soggetti i nostri teatri negli ultimi anni: fatta eccezione per Carla Fracci, tutti i nostri migliori danzatori, da Elisabetta Terabust fino a Paolo Bortoluzzi, hanno deciso di lavorare prevalentemente all'estero. E proprio in questi ultimi mesi, è capitato che le migliori giovani leve del corpo di ballo della Scala, unanimamente considerato il più efficiente sul piano tecnico a livello nazionale, abbiano abbandonato la sede scaligera in aperta polemica con la politica anti-ballettistica del teatro. La danza contemporanea si muove su un terreno ancora più impervio. Del tutto assente come corso d'insegnamento integrativo dalle strutture di finanziamento statale (le scuole di ballo degli Enti lirico-sinfonici), alimentata solo dal volontarismo spesso confuso di qualche scuola privata, o da episodici seminari condotti da insegnanti stranieri nelle grandi città, la danza contemporanea non è ancora riuscita ad identificare un proprio spazio teatrale significativo. E vale la pena di notare a questo punto, come gli unici esperimenti stiOra che la vague si fa risacca, il tempo può aprirsi alla riflessione o perlomeno, l'occhio può riposarsi nello sguardo finalmente. E yedere. Anzitutto, come «la rivoluzione del linguaggio poetico» si sia mutata in questi anni in involuzione linguistica, per esempio e come, al lavoro della lettera abbia fatto seguito il compiacimento narcisistico della piccola differenza, l'arricciamento diffuso, in massa, nello stile o poetica, il gaddiano diamant, tagliatemi il lobo ma non il diamant ... Della cosa prenderò qualche scaglia, non tutta, l'idea di portare la Poesia, e con essa, ilpoeta, al pubblico che, visto l'andamento del mercato, forza è ammettere che è più manzoniano che leopardesco, in tutt'altre faccende affaccendato. Non che gli si faccia merito, per questo. È cosi. La diffusione e proliferazio- ~ della Poesia, con anneSfi e connessi, collane comuni spiagge assessorichiese scuole und so weiter, a una cosa è servita, a renderlo introvabile' questo pubblico, a farne quello che in effetti è, un fantasma. E quello che un tempo era il laticlivio, la tunica sotto la quale il poeta nascondeva i suoi versi, le sue vergogne, oggi è diventato il lenzuolo con cui la poesia avvolge il pubblico, nella illusione di trovarci riflesso, come in una lastra, il corpo del poeta, che vaga da una città all'altra, da un paese all'altro, passando dall'ippogrifo al boeing, dal traghetto allanave, i tempi, certo, i ritmi accelerati, non più cardiaci ma ferrone» collettiva, che si definisce, per l'lraa, nell'ambito di un più generale progetto di studio sulla gestualità «rimossa». Se il Teatro dell'Iraa trae spunto, per i suoi laboratori sul movimento, da elementi del teatro orientale e dalle forme rituali della trance e della possessione, del tutto al di fuori da atmosfere e stilizzazioni etniche si pone il lavoro di un altro gruppo teatrale romano, «La Gaia Scienza», in cui si tiene decisamente conto, per quanto Eleonora Vandelli, batteria, T.K. e Zitron 1 B1bl1otecag1nob1anco viari... Rivendico allapoesia il suo anacronismo, oggi, anche. Ancora. li passaggio dalla «spontaneità», dal «movimento» alla sua regolamentazione e istituzionalizzazione mostra, aprés coup, la complicità, tremenda, che sussiste tra le istanze del dominio (e proprio ora che pare che non ci siano manco più dominanti e dominati, spariti, tu/li liberi e uguali) e lo «sbrigliamento», enfatico e giubilatorio, dei poeti e della «creazione» poetica. Un tempo venivano bruciati vivi, assieme ai loro libri. Credo che l'assenza di roghi, oggi, sia motivo più di preoccupazione che di rallegramento. Perché, se tu/lo è lecito è senz'altro per far dimenticare che c'è dell'illecito, qualche parte e che l'assenza di regole, di vinco!~ i cosiddetti flussi, mestruali o poetici, sono il più grande ostacolo che il lavoro poetico deve abbai/ere, la musica che non bisogna sentire. Né imperat'?riné mecrnati, ma silenzio e prosti• tuzione. Ancora, due. Sempre après coup, e a/l'altro estremo, seda un lato dilaga, la poesia, dall'altro ciò che si raggruma e annoda è ciò chepossiamo chiamare lo «spirito de/l'orfanotrofio», la coppia lutto/malinconia che alimenta il pianto del poeta, la sua solitudine, il senso d'abbandono che l'avvolge, stritola, gli spezza il cuore, non le costole, il cuore, la ricerca disperata degli zii, nonne, padrini, cugini, fratelli, i fratelli, l'albero spezzato, i rami i tronchi ma soprattutto il canale, non quello escrementizio ma quello giusto, il buono, che sfocia al sentato «Alert», una performance scarna e brutale edificata su geometrie coreografiche e giochi di spazio-tempo-ritmo, atti a «localizzare» espressivamente i corpi degli attori, e a concentrarne le energie in una fisicità estenuante ed onnicomprensiva. Queste tre esmplificazioni non pretendono affatto di delineare in qualche modo la prospettiva (ben più ampia e articolata) del «teatro del corpo» italiano: si tratta semplicemente, in tutti e tre i casi, di lavori sintomatici della Denni Lugli, Zitron 1 mare, dietro i monti o sol/erra, l'onda che sostituisce la vergogna, appunto, la cresta, uscire ali'aperto, io, ci sono anch'io. La paura de/l'anonimato annienta la poesia ma il poeta è tutto, finalmente. Che i padri vengano misconosciuti è quello che di solito accade loro, è il loro destino, ma se è per essere riconosciuti, e basta, no, questo no, un limite bisogna che ci sia, a tu/lo, se no è il regno di cacania, il dominio osceno e feroce della controfigura, il figuro, che è ora venga sfigurato. Questo è compito della poesia oggi, che, perciò, non cessa di sottrarsi, ai poeti. Lasciando dunque da parte il valore antropologico della leuura, o del pubblico, che ce ne sarà sempre uno, di poesia, è bene che essa si spogli, gel/i alle ortiche oltre al mantello de/l'umanesimo e del conformismo, quello dell'orfano e de/l'orfanotrofio. Ciò che resterà, dopp, non saràancpra sufficente a coprire le sue nudità ma è sempre meglio un poeta nudo oggi che uno vestito domani. D'altronde, la nudità è l'abbigliamento dei re, come sanno tutti i bambini, ed è bene anche la poesia sappia che se vuole essere splendente e sovrana dovrà farsi abietta e ombrosa, miserabile sino alla crudeltà e allaferocia. Dovrà strangolare con le proprie mani, cioè, tanto i canarini che le allodole e darli in pasto ai galli, ai serpenti. Non poesia della mostruosità e del negativo, ma negativa e mostruosa essa stessa. Ami-umana, ami-sociale, antitullo. italiani, notoriamente frenati da un equivoco di fondo: l'intento, perenne e fallimentare, di modellarsi sul mito di un'appena intravista avanguardia americana. Fatta eccezione per il «Teatrodanza Contemporanea» di Roma diretto da Elsa Piperno e Joseph Fontano, a cui va per lo meno riconosciuto il merito di un'eccellente preparazione tecnica e di un continuo sforzo di rinnovamento (l'evoluzione dai condizionamenti espressionisti dello stile Graham verso schemi più liberi e personali), le compagnie autogestite di danza moderna offrono una panoramica d'insieme d'inguaribile dilettantismo. U n fenomeno isolato, che merita un discorso a parte, è quello rappresentato da Valeria Magli, artista che opera da qualche anno a Milano in performances solistiche. La Magli, che unisce ad una formazione teatrale (in qualità di attrice e di mima) una puntuale preparazione tecnica al movimento (come ex ginnasta-acrobata e come danzatrice), incarna, a suo modo, una sintesi delle precedenti osservazioni sulle possibilità di un rapporto nuovo tra danza e teatro in Italia. In «Poesia Ballerina», uno spettacolo di danza montato col supporto centrale di testi poetici, la Magli rischia una proprfa gamma di gestualità originale, che risulta dalla fusione delle sue differenti esperienze teatrali e di danza, per avventurarsi sul terreno inesplorato della relazione tra gesto musicale e parola poetica. La sua lettura dinamica dei versi di Nanni Balestrini, procede interamente lungo la linea d'incontro tra i due linguaggi: luogo che, a seconda dei momenti, può definirsi come lo spazio di una censura o di un congiungimento, ma che manifesta, comunque, una sorta di fisicità sonora, o anche di suono fisicizzato, che prolunga nel corpo la parola, o che, viceversa, scioglie la parola in un'arcana corposità. Ribaltando dunque l'itinerario tipico a cui s'accennava prima (dal teatro verso la danza), Valeria Magli rivolge in senso inverso la sua ricerca: il suo punto di partenza, ben riconoscibile, è costituito dalla élanza. La verifica dell'inclusione possibile di diversi linguaggi (la recitazione, la musica e soprattutto la poesia) si svolge infatti in un campo d'azione di evidente impostazione coreografica. Basti pensare a «Banana morbid», un pezzo della Magli in cui i suoni risultano dal movimento di danza (l'azione ritmica delle claquettes), trasformando il testo poetico di Balestrini in una melodia a cui il corpo, fattosi «sonoro», accede nel ritmo prodotto. Fatto più unico che raro nel panorama della danza italiana, la Magli esemplifica, a suo modo, una logica scenica per molti versi assente dalla scena nazionale: un procedimento che volga all'identificazione di mutamenti significativi nel rapporto tra danza e altri modi d'espressione. Se si considera quanto è accaduto negli ultimi anni nel teatro di danza d'oltreconfine, ci si renderà conto che soltanto in questo modo, ossia solo tramite un 'evoluzione che tenga conto di un approccio più sostanzialmente teatrale alla danza, si renderà possibile un approfondimento originale della nostra cultura coreografica, insieme a un'apertura verso nuove forme di sperimentazione del movimento corporeo. Bastino due soli esempi: la rivoluzione registica della coreografa tedesca Pina Bausch, la cui ricerca in fatto di danza ha saputo generare un nuovo segno gestuale, rivelatorio di implicazioni teatrali assai più ampie; e le raffinate sospensioni dell'americana Carolyn Carlson, la cui gestualità subliminare si è rivelata capace di tracciare una scrittura scenica inedita, tutta fondata sul dinamismo dei corpi. Il confronto può definirsi azzardato, se si pensa alle differenze che separano le due coreografe: diversità di formazione tecnica e culturale; diversità di referenti, di universi creativi, di intenti e di ispirazioni. Ma si tratta di un accostamento che riguarda esclusivamente la considerazione della validità intrinseca di due progetti che, sebbene distanti l'uno dall'altro nelle risultanze specifiche, dimostrano entrambi di essere nati e cresciuti su di un'ipotesi di lavoro comune: la volontà di una ricerca personale e rigorosa di culturalizzazione della danza in senso teatrale. . . . . . . . . . .

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