Alfabeta - anno IV - n. 34 - marzo 1982

Mensile di informazione culturale Marzo 1982 Numero 34 - Anno 4 Lire 2.S00 Printed in Italy Rock(Corti) Annitrenta(Vergine) Danza. (B!!nt!voglio) "Cronica1tal1ana" Edizioni Cooperativa Intrapresa • - -· Via Caposile, 2 20 I37 Milano Spedizione, in abbonamento postale gruppo 111/70 (I: ArbasinoN, egri,Rambaldi) TraFreudeJungFiumanò) SherlocHkolmesSebeok) r----,------~ ~ fi•H11QJa1;p l.amusicaciameK911a. :t: C?7tnli.à0 Niccolò Castiglioni Le favole di Esopo Salmo XIX disco ITL 70082 Stono HI-n M. Cortb Parola cli rock * L. Bolzan: Nanare • descrivere * F. M•lnb I clram•I cli Kokoschka G. Dorfles: • 1;;-111• Ingioco * L. Bentlvogllo: Le gamlte senza testa * V. Bonana: Il regno clicacanla . * Testo: Sherlock Noi•••• le alacluzlonl, cli T.A. Selteok • J.U. Selteolr Lea Vergine: N... uno ricorda con raltltla? * O. Calaltrese • R. Glovannoll: Geometria clella ~•ra R. Bugllanl: ■-nlamln ven• Batallle * R. Canosa• F. Leonettl (a cura cli): Cinti•• clo•anH «Cronica ltallana» (I: A. Arlt•lno, T. Negri, E. Ramltalcll) * M. Flu■nanlu Douler Splelreln M. Splnella: La natura e la grazia * G. Lunclnb L'equlllltrlo * J. Novàka Caro Eco A. Porta: Indennità cli mancata carriera * Poesie: corti veno Roana, cli P. Yol~I * Le lettere B .b 1. Glornale clel Glornall: Notizie clal Salvador * Le lmmaglnb Tortelllnl rock, tll Olhlo Barltlerl 1 cec g1no a e .

FELTRINE 11 NOVITj( E SUCCESSI IN TUTTE LE LIBRERE AENZOPAAIS Filo da torcere romanzo. lire 12.000 la rivincita di un narratore sulla psicanalisi; un ironico gioco del massacro dei rituali psicanalitici e dei meccanismi sentimel)tali che legano il protagonista alla madre, al padre, all'amante e all'amico drogato FRANCO ~~ MATACOTTA La lepre bianca A cura e con una introduzione di Alfredo Luzi romanzo, lire 12.000 il segreto di una vita: un'infanzia tenera e crudele un'adolescenza inquieta PIEA VITTORIO TONDELLI Altri libertini romanzo, lire 6.500 è il libro migliore, il più vivo, uscito negli ultimi anni, come proposta nuova Giuliano Gramigna GIULIO DEL TREDICI Uno in meno romanzo. lire 7.000 c'è dentro una rabbia e insieme un piacere di reagire a quella rabbia, di renderla feconda e vitale con lo scrivere, che solo da una grande tradizione può arrivarci CLAUDIO PIEASANTI Casa di nessuno romanzo. lire 6.500 Antonio Porta una scrittura sbrindellata e disincantata, che ha fatto - e fa - i conti col mondo ma si misura innanzitutto con la quotidianità e l'elementare semplicità dei propri spazi di esistenza per tentare li il sottile e distaccato gioco della sperimentazione, delle esperienze, della trasformazione Marino Sinibaldi ANTONIO CAMPOBAS$O Nero di Puglia Prefazione di Alfonso M. di Nola romanzo, llre 5.500 Campobasso con energia, con violenza, racconta, urla le sue dannate awenture, le sue peripezie, quel suo vivere per cui subito gli "ascese la colpa fino alla gola" Maurizio Cucchi GIUSEPPE CONTE Primavera incendi.ila romanzo, lire 4.500 molto vitale, dove la devianza, la diversità, il desiderio apocalittico di una nuova lrontiera per la vita diventa romanzo o il suo trucco più strepitoso, la vita! Dario Bellezza ROSA CAPPIELLO Paese fortunato romanzo, lire 8.000 questo è il nerbo strutturale del romanzo, forte di tutte le usuali, domestiche resistenze di ironia, comicità, ribalderia e di altre nuove che la Cappiello può inventare e impiegare con la sua intelligenza, con la sua penetrazione coraggiosa, socratica, della vita e con la sua bravura, dawero magnifica, di scrittore Paolo Volponi TOMMASO • Leimmagini di questonumero Tortellini rock Il serv1z10 fotografico di questo numero è dedica/O ai musicisti rock (duro, demenziale, punk, rock ...) di Modena. Il fotografo, Olivio Barbieri, è uno di loro e viene subito da pensare che abbia sentito la necessitàdi eternare l'effimero con una galleria di ritraili eterni, da museo. L'effimero della musica di una stagione e di una giovinezza in cerca di un'identità introvabile. Ecco l'istantaneo ricordo delle parole di una delle prime canzoni «demenziali» che hanno avuto successo in Italia: «lo cerco la Titina e non la trovo pas ...». Titina, oh Titina, immagine dell'io!, che con una metafora utile alla poesia abbiamo chiamato «disseminato». I giovani rock di Modena hanno preso sul serio la poesia, questo pare evidente, la poesia come vita, o come sopravvivenza, forse, perché il senso della vita che queste immagini ci trasmeuono è labile quanto una variazione sul tema del rock. Tullo sullo sfondo della ciuà più ricca d'Italia (Modena, appunto, come ci hanno rivelato le statistichepiù recenti). Sommario Maria Corti Parola di rock pagina 3 Loredana Bolzan Narrare e descrivere (lntroduction à l'analyse du descriptif, di Ph. Hamon; Tecniche della rappresentazione verbale in Flaubert, di S. Agosti; Flaubert à l'oeuvre, di AA. VV.; «Gustave Flaubert». Les actes de la jounée Flaubert, di AA. VV.; Memorie di Madame Ludovica, a cura di A. Capaui) pagina 5 Ferruccio Masini I drammi di Kokoschka (Assassinio, speranza delle donne, di O. Kokoschka) pagina 7 Gillo Dorfles I quattro in gioco (I giochi e gli uomini. La maschera e la vertigine, di R. Caillois) pagina 9 Leonella Bentivoglio Le gambe senza testa (li ba/leuo: repertorio del teatro di danza dal 1581, a cura di M. Pasi e A. Agostini; Balletto (rivista), nn. I, 2, 3, 4, 5; Maratona di danza, a cura di V. Ottolenghi; Manifesto della danza fu· turista, di F.T. Marinetti; Lo sguardo del cieco, teatro del/' lraa; Malabar Hotel, speuacolo de La gaia scienza; Alert, coop. teatrale spazio zero; Poesia ballerina, di V. Magli) pagina 10 Cfr. pagine 12-1 3 Testo Thomas A. Sebeok, Jean U. Sebeok Slrerlock Holmes e le abduzioni pagina 15 C'è un rifiuto in queste immagini ma non soltanto; c'è anche la volontà di diventare protagonisti di un mondo che ha il suo cuore altrove e dappertuuo, che parte dagli Usa, che passa per l'Inghilterra, la Germania, e che in Italia trova attori ben predisposti: qui ci si veste «casual» come a New York, tanto per fare un esempio. È troppo facile dire: provincia dell'Impero, perché sappiamo che il fascino del rock sarebbe pronto a conquistare anche l' Urss se vi fosse permesso, con tutto l'Impero d'Oriente. Ho letto una seri/la gigantesca (circa sei metri per tre) su un muro di Roma: «Bisogna sfondare in questo mondo del rock». Sfondare significa, come sempre, fama e soldi, ma non solo questo. Sfondare.vuol dire essere. Dal punto di vista strellamente fotografico questo servizio mi ha subito richiamato il gran nome di Diane Arbus (New York /923-1971), e sono andato a riguardarmi un bellissimo libro (Diane Arbus, An aperture Monograph, 1972) che antologizza il suo Omar Calabrese, Renato Giovannoli Geometria della paura (Opere complete di H.P. Lovecraft) pagina I 9 Roberto Bugliani Benjamin versus Bataille (Le collège de Sociologie, a cura di D. Hollier; Avanguardia e rivoluzione - Leuere I 9 I 3-1940 - Critiche e recensioni, di W. Benjamin; L'azzurro del cielo, di G. Bataille) pagina 20 Cronica italiana Romano Canosa, Francesco Leonetti (a cura di) Cinque domande Alberto Arbasino Il potere ovunque Antonio Negri Nessun futuro Enrico Rambaldi La giustizia pagina 21 Marisa Fiumanò Dossier Spielrein (Sabina Spielrein: Entre Freud etJung; Diario di una segreta simmetria, di A. Caroten1110;Tecnica della psicanalisi, di S. Freud; Il seminario Libro Xl, dii. Lacan) pagina 23 Giorgio Lunghini L'equilibrio pagina 25 Giornale dei Giornali Notizie dal Salvador A cura di lndex - Archivid Critico del- /' Informazione pagina 30 Finestre Lea Vergine Nessuno ricorda con rabbia? pagina 6 Vincenzo Bonazza Il regno di cacania pagina 11 Mario Spinella La natura e la grazia pagina 24 lavoro. Le differenze sono enormi. Diane Arbus guardava il mondo, la parte intollerabile della vita, dai nani aigiganti, dai matti ai travestili, dalle coppie portoricane alle gemelle... , mentre i praticanti de( rock modenese guardano se stessi. Ma in quel guardarsi per essere guardati mettono in scena un mondo che Diane Arbus avrebbe fotografato, credo con maggiore crudeltà. Qui quasi impercettibile spunta l' Emilia: per quanto cattivi vogliano sembrare si spera che non andranno al di là di queste fotografie ed è probabile che fra pochi anni rientreranno nel/'ordine dorato della ci/là più ricca d'Italia (salvo, naturalmente, eccezioni e qualche eccezione anche qui la si intravede e induce a incrociare le dita...). Diana Arbus inseguita dalle sue erinni e dalle visioni in cui si imbaueva, che a sua volta inseguiva, si è suicidata il 26 luglio I 97 l. Jaroslav Novàk Caro Eco pagina 26 Antonio Porta Indennità di mancata carriera pagina 27 Poesie Paolo Volponi Ancora verso Roma pagina 18 Lettere pagina 29 Immagini Olivio Barbieri Tortellini rock alfabeta mensile di informazione cullurale dellacoopera1ivaA!fabeia A.P. Comita10 di dire::.ione Nanni Balestrini, Omar Calabrese, Maria Corti, Gino Di Maggio, Umberto Eco, FrancescoLeonetti, Antonio Porta, PierAldo Rova11i.Gianni Sassi,Mario Spinella, Paolo Volponi Redazione Carlo Formenti, Vi11cenzoBonazza, Maurizio Ferraris, Bruno Trombetti (grafico) Art director Gianni Sassi Edizioni Intrapresa Cooperativa di promozione culturale Redazione e amministrazione Via Caposile 2, 20 I 37 Milano Telefono (02) 592684 Coordinatore editoriale Giovanni Alibrandi Composizione GDB fotocomposizione, via Tagliamento 4, Milano, Tel. 5392546 Tipografia S.A.G.E. S.p.A., via S. Acquisto 20037 Paderno Dugnano (Milano) Distribuziori'J Messaggerie Periodici Abbonamen10 annuo L. 25.000 estero L. 30.000 (posta ordinaria) L. 40.000 (posta aerea) Numeri arretrati Lire 5.0UU Inviare l'importo a: Intrapresa Cooperativa di promozione culturale a.r.l. via Caposile 2, 20137 Milano telefono 592684 Conio CorrentePostale 1S431208 Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 342 del 12.9.198I Direttore responsabileLeo Paolazzi Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica riservati -~ DI ·c1AULA -. Prima l'amaro poi il dolce . . f-----------------.,__ ________________ .,________________ _ romanzo, lire 5_000 Comunicazione ai collaboratori di «Alfa- dicati in apertura (con tutti i dati bibliogra- proposti direttamente dalla direzione del il libro risulta pieno di una sensualità beta» fici. prezzoe p'jgine compresi)giungaa una giornale, perchéderivano da sceltedi lavoall'erta, come se quel mondo delle origini sostanziale valutazione oricntativa,insiemc ro e non da motivi preferenziali o personali. fosse riscoperto con lo spirito del agli apporti teorici e critici dell'autore del- Tutti gli articoli inviati alla redazionesono desiderio L . l'articolo sul tema; esaminati, ma la rivista si compone prevaFerdinando Camon e collaborazioni devono presentare 1 c) che. insieme alla piena leggibilità di lentemente di collaborazioni su commissioseguenti requisiti: tipo espositivo piuttosto che saggistico. sia FELTRINELLI NOVITj( E SUCCESSI. IN TUTTE LE LIBRERIE a) che ogni articolo non sia più di una dato dove è utile e possibile un cenno di pagina del giornale. cioè al massimo di 7 spiegazione o di richiamo ai problemi e agli cartelle di 2000 battute. con un·acccttabili- accertamenti anteriori sull'argomento o sul tà fino a 9-10 cartelle (dovendo altrimenti campo. procedere a tagli e rinvii prolungati); La maggiore ampiezza dell'articolo o il b) che il riferimento diretto sui libri in- suo carattere non recensivo sono sempre 1b-lÌotèèiiginobianco ne. Il Comitato direttivo N.B. Gli articoli devono essere inviati in triplice copia. L'autore deve indicare: indirizzo, numero di telefono e codice fiscale. 80 imputati 21 detenuti 100 anni di carcerazione preventiva già scontati 2 anni in più ogni mese 100.000 pagine di atti 2 tronconi di inchiesta 2 opposle sentenze Questi alcuni numeri del caso 7 aprile Per far fronte alle spese dell'acquisto degli atti, affinché venga riconosciuto agli imputati il diritto alla difesa che è sempre stato negato, apriamo una Sottoscrizione nazionale rivolgendoci a quanti hanno seguito in questi anni il caso 7 aprile, a quanti oggi chiedono la verifica delle accuse e ritengono che I00 anni di carcerazione, complessivamente già scontati, siano troppi. Associazione 7 aprile - 21 dicembre 103, via·Tomacelli, 00186 Roma CCP. N. 23235005 Edizionedel Corpo Claude Pujade-Renaud Espressione corporea linguaggiodel silenzio volume di pag. 136 lire 5.000 Etienne Decrou.x Parole sul mimo (imminente pubblicazione) Il libro è uno dei testi fondamentali sul mimo e consiste in una serie di conferenze tenute da Decroux in cui vengono illustrate esperienze pratiche ed elaborazioni teoriche, che rappresentano una delle più importanti innovazioni nel campo del mimo puro. Decroux è infa1ti uno dei più grandi mimi e al tempo stesso uno dei più grandi teorici della nostra epoca, ideatore di una nuova metodologia che ha influenzato tulle le esperienze teatrali degli ultimi decenni. In Italia ha lavorato per il Piccolo Teatro di Milano. Il libro si articola in diverse parti di cui alcune analizzano il rapporto tra mimo e danza, mimo e teatro e altre espongono in modo estremamente interessante e stimolante le teorie e la tecnica che da lui ha preso il nome: concentrazione dell'attenzione e dell'espressività sul corpo, escludendo perfino la mimica facciale (da cui l'uso della mascheraneutra), astrazione massimadel gesto, e via dicendo. Oltre a ciò hanno grande valore di documento i resoconti autobiografici sull'allestimento di due dei suoi speltacoli. Il libro, di indiscussaimportanza per gli studiosi di teatro in genere, è di facile lettura e comprensione anche da chi si avvicina per la prima volta a quest'arte. Volume con illustrazioni di pag. 200 lire 9.000 Per le ordinazioni inviare l'importo a: Intrapresa edizioni Via Caposile 2, 20137 Milano Conio correntePostale 15431208 I prezzi sono comprensivi di spese di spedizione postali

Parola di rock S oleva dire il mio maestro Benvenuto Terracini che storia di una lingua è storia della cultura riflessa io tale lingua. In altre parole la lingua è un fiume sulla cui superficie si riflettono le immagini del reale; se mai, sono alcuni linguisti teorici a buttarvi trÒppi sassi che ne fanno sparire le immagini riflesse. L'indagine è bene si indirizzi non solo sulla lingua nazionale scritta e le parlate regionali, ma su tutti i tipi di coaguli linguistici prodottisi in un ambiente specifico, dai linguaggi settoriali ai gerghi. Oggi tutto si consuma velocemente; anche la lingua. Sicché è proficuo puntare di volta io volta l'obiettivo là dove qualcosa sta succedendo; per esempio, negli anni '60-'65 prese rilievo un tipo di linguaggio studentesco assai metaforico e ironico, decisamente scomparso nell'inquietante '68. Chi si recasse allora alle grandi assemblee studentesche immediatamente si accorgeva del cambio di registro del linguaggio, divenuto politico-teoricotecnologico (curiosa simbiosi che salta all'occhio facendo scorrere qualche schedario lessicale di allora). Oggi il linguaggio studentesco è quasi inesistente, la nozione stessa appare ai giovani goliardica e supervacanea. In tale prospettiva non c'è nulla di stupefacente che si porti l'attenzione sul linguaggio della canzone rock, certo più eversivo a suo modo e originale di quello di buona parte della tradizione dei cantautori, che potremmo in discreto numero chiamare «lirico-dipendenti• per via di quel collegarsi a stilemi della poesia alta o della canzone italiana del passato. Ovviamente una ricerca volta alla lingua del rock è di natura documentaria e non implica di per sé un giudizio di valore. Non appare certo agevole né consolatorio il procedere nel bosco del rock italiano non solo perché impreveduti come funghi nascono gruppi e gruppuscoli ovunque anche se con prevalenza nelle terre del Nord (Bologna, Milano, Genova, Torino, Vercelli, Pordenone ecc.), ma perché nel breve scorrere del tempo dal '77 all"81 si sono verificati tanti mutamenti a livello di musica e di linguaggio rock che gli addetti ai lavori, spesso venticinquenni o giù di lì, parlano enfaticamente di «nuove generazioni•. no, divenuto poi il complesso GazNevada). Questo appartiene alla storia; la preistoria porta a cantine bolognesi, a vecchie case abbandonate, a camioncini dove nei primi anni Settanta i giovani creatori del nostro rock si ritrovavano a suonare, discutere, fare canzoni magari recuperabili più tardi, come avvenne nel primo nastro degli Skiantos pubblicato nel 1977 dalla Harpo's Bazar (cooperativa che succede alla Humpty Dumpty e poi sfocerà nella ltalian Records}: si tratta di lnascoltable dove è ripresa una canzone comMaria Corti differente contesto delle due città. Gli Skiantos sono stati forse il gruppo più originale e creativo del rock italiano. L'etichetta o marca di rock «demenziale• (apparsa sulla copertina del loro primo LP, MonoTono, Cramps 1978) non ha certo favorito all'inizio la decodifica da parte di giornalisti e critici musicali: «Noi che facevamo finta di essere stupidi e loro che ci prendevano per dementi veri•, commenta in un'intervista Freak Anioni (cfr. Giancarlo Riccio, Percorsi del Rock italiano, Milano, Il Formichiere, 1980, 12). Cosi Paolo Bertrando in Bologna Rock (Milano, Re Nudo, 1980) può scrivere per la sola città di Bologna: «Ma se rock demenziale vuol dire Onesto Barbieri, cantante, Ragau..i Selvaggi. In alto: Marco Ferraresi, chitarra, T.K. Skiantos, il rock di Bologna conta gruppi a miriadi: GazNevada, Luti Chroma, Windopeh, Naphta, Rusk Und Brusk, Confusional, Andy Forest And The Strumblers, Grusbir, Cheaters, e ne sta uscendo un 'altra generazione ancora, con gente come il Rutter Gropp, gli Stupid Set o i Guttalan. Forse il meglio di sé è già stato dato dal linguaggio rock negli anni 1977 - 1979; comunque il processo di formazione linguistica ancora non è stato illustrato; siamo a terreno quasi vergine, di fronte alla vasta bibliografia musicale. Il rock italiano nasce, come è posta nel 1972, Makaroni. Un pizzico di attenzione non dico al contesto sociale ma persino ai minuscoli eventi del tempo non danneggia: sempre in /nascoltable la frase del coro Permanent Flebo non allude, come a prima vista si potrebbe pensare, alla droga bensl al fatto che in un certo bar di Bologna i giocatori di biliardo prediligevano l'espressione «Fatti un flebo• quando il tiro di qualcuno risultava debole. Gli esempi di questo tipo si potrebbero moltiplicare e richiedono cani da tartufo. noto, a Bologna ove diviene fenomeno N on potendosi per ragioni di spacollettivo nel 1977, all'epoca ruggente zio esaminare qui il corpus con le della morte di Francesco Lorusso, di sue invarianti generali e varianti Radio Alice, soprattutto del «movi- locali, si estrapolano pochi gruppi col mento 1977• che durante il convegno fine modesto di offrire un esemplare di sulla repressione e il dissenso si spaccò analisi; per Bologna si scelgono gli in due, un'ala politica e una detta Skiantos, per Milano i Kaos Rock e le «creativa•; il rock diviene appunto ragazze del Kandeggina Gang (la cui una delle manifestazioni dell'ala crea- cantante ha poi formato un proprio tiva. Né è un caso che proprio a quel gruppo, Jo Squillo Eletrix). Vi è una convegno vi fosse la prima esecuzione profonda diversità di punto di vista fra di un testo rock (Mamma dammi la i bolognesi Skiantos e i milanesi Kaos BI orctlPca'Urlo Moofà n cor la quale gioca certo anche il A disorientare ha senza dubbio giocato un forte ruolo la carica semantica del termine demenza col suo aggettivo, laddove i vocaboli follia e pazzia già dai tempi di Erasmo da Rotterdam (Laus Stultitiae) e lungo tutta una tradizione intellettuale hanno indicato valvole di ricambio, meccanismi di eversione e molle indirette di verità. Nella chiave degli Skiantos, a loro detta, demenza si identifica con «comportamento» contestatario, teso a «stravolgere gli schemi nei quali quotidianamente viene proposto di riconoscerti• (J. Bellafronte nell'intervista edita in Percorsi, cit). A livello creativo ecco il testo Diventa demente edito nel LP Mono Tono, tutto giocato su una esasperala serie di rime baciate e assonanze prese dal campo semantico della opposizione cultura/non cultura: demente I sapiente I deficiente I deludente I ignorante I imponente I niente; e si aggiungano le rime al mezzo del ritornello: la kultura I poi ti cura I con premura. Come questa speciale nozione di demenza violenta la lingua dei testi? Qual è l'impianto formale del testo che poi sarà cantato, gridato, urlato? Sia detto subito che potrà sembrare arbitrario un discorso che separi l'operazione linguistica da quella musicale, vocale e gestuale, ma all'inizio è prassi pertinente se si vuole uscire dalla dimensione del generico. Solo successivamente è possibile misurare la collaborazione dei due mezzi comunicativi; si noterà allora che in prevalenza la parola ha funzione di illustrare la musica, magari fino a dissolversi fonicamente in essa, ma ci sono parecchi casi in cui il punto di vista ironico o drammalico o mimetico nei confronti del reale offerto dalla tematica del testo è quello che determina diversi usi degli strumenti musicali e della voce umana, al di là della costante generale antimelodica. L'operazione insomma è bidirezionale; fermarsi alla sola musica, come finora si è fatto per il rock italiano, è contribuire a una perdita di identità del «genere» in rapporto al jazz-rock, come ha messo già in luce Umberto Fiori in La parola nel rock e l'Europa (comunicazione ancora inedita al convegno «Lorenzo da Ponte e la poesia per musica», organizzato dal Premio Treviso-Co misso nel settembre 1980). In A!"erica, è sempre Fiori ad illustrarlo, il rock a partire dal 1965 circa (Bob Dylan) diviene una «merce musicale di concetto. [....] Anche nelle varietà di rock che non danno gran peso allelyrics, al 'messaggio', le parole hanno la funzione di orientare il destinatario, fornendo assieme ad altre informazioni exlramusicali (grafica, abbigliamento dei musicisti ecc.) una sorta di 'istruzioni per l'uso', un asco!- to preventivo e insieme un'aura ideologica•. Torniamo agli Skiantos, all'insieme di costanti e varianti con cui si sgrava la demenza del gruppo dal 1977 al 1980, data di Pesissimo (Cramps). 1 prelievi dall'italiano sono sempre al registro medio-basso, salvo punte occasionali e con carica ironica, sarcastica, a seconda. Questo italiano basso serve a un trattamento mimetico del reale oppure deformante in chiave drammatica o ironica o giocosa; comunque sia, coopera sempre a un calcolato disordine linguistico del testo. Aggiungasi l'ossessiva rima baciata che si costruisce su un lessico molto ristretto e iterativo, rima che dà un senso di fisicità grezza alla parola, accentuato dagli effetti vocali e musicali, un senso di esasperazione per il codice comunicativo: come un tic che da una parte coinvolge l'ascoltatore, dall'altro blocca volutamente la comunicazione. Insomma, a differenza della canzone tradizionale, quella rock usa rime baciate e rime al mezzo non a legame, ma a frattura del comimwm discorsivo; questa è una novità di cui si deve tenere conto. L'operazione più riuscita, a parer mio, però non è tanto quella della rima baciata stravolta, fenomeno comune a tutti i gruppi rock e, tutto sommato, abbastanza facile; è lo sfruttamento della figura retorica della paronomasia, il mutamento organico di un fonema; per esempio, nel testo lo me la meno del LP Mono Tono la serie delle rime baciate è rotta appunto da interventi paronomastici: «Basta!!: Non voglio più pasta/ odio la posta/ rifiuto la festa ... » Questo uso è abbastanza frequente negli Skiantos e collega vocaboli di campi semantici diversi ma unificati nel rifiuto e nella contestazione, magari umorali e non ideologici. Cosi in lo sono uno skianto, testo che fra l'altro dà la chiave dell'epiteto Skiantos, derivato quindi da un'espressione della lingua «Che schianto!» in origine riferita al rumore improvviso di qualcosa che si rompe, si lacera, poi figurata e gergale («Che schianto!» o «Sei uno schianto!» nel gergo studentesco degli anni Sessanta indicava l'apparire di una bella ragazza), bene, in questo testo la paronomasia dà gli stessi esiti: a fianco delle rime baciateskianto I affranto I tanto I vanto ecco comparire: tanfo, vento, vengo. Quanto alla predilezione, già americaneggiante, per il grafema K (skianto, makaroni, massakrami, banka, panka ecc.) da collegarsi ad altre grafie aberranti come in Karabigniere, penso si tratti di un fenomeno da mettere insieme alle violenze fonetiche e morfologiche che non mancano e costituiscono l'aspetto più ingenuo del rock demenziale (laddove, se fosse stata un'operazione grafica sottile, si sarebbe limitata alla serie analogica, cioè a casi come Kultura; ma forse è pretendere troppo!). L o specifico di ogni gruppo rock, e quindi anche degli Skiantos, vien fuori all'incontro fra tematica e resa linguistico-musicale. Prendiamo il LP Chino/lo (Cramps 1979); ovviamente i testi non corrispondono che parzialmente alla loro esecuzione sia perché la performance nel rock è per principio aperta anche se non giunge al testo libero della free music, sia perché la struttura iterativa delle strofette consente all'esecutore spostamenti, tagli, ripetizioni, varianti improvvisate, inserimenti di nuove parole, di esclamazioni, urli oppure prolungati si-

lenzi connotativi. Vale la pena di ascoltare il principale aurore di testi Freak Anioni: «Di solito noi scriviamo prima il testo, e poi ci imbastiamo su una musica; in qualche modo ce l'impariamo, poi quando andiamo sul palco; succede quel che succede. Dipende dalla serata, dal pubblico, dall'occasione. Ma non c'è il sapore goliardico che molti vogliono attaccarci addosso. lo vivo gli Skiantos come un gruppo d'assalto, un gruppo che arriva per rompere degli schemi» (Bologna Rock cit., 33). Qui, per i motivi sopra detti, si fa tappa al testo scritto; orbene, del LP Chinotto J. Bellafronte ha detto a suo tempo (Percorsi cii., 18) «contiene tre pezzi molto belli, secondo me: Gelati, Mi piaccion le sbarbine, Se mi ami amami). Musicalmente, cre·do che anche un inesperto sia portato a considerarli i migliori pezzi, ma dal punto di vista tematico l'intero disco, come il successivo 45 giri Fagioli, (Rock '80 della Cramps) attesta una curiosa scelta di oggetti assorbiti, per cosi dire, via orale: gelati, chinotto, bibite ghiacciate e dolci alla panna, o rifiutati per la stessa via: «U formaggio mi fa impazzire/ la ricotta mi fa morire/ il gorgonzola c'ha (sic) la muffa/ la mozzarella è molto buffa» (si badi bene, in Se mi ami amami). Sarebbe a proposito redditizio il confronto su come il tema amoroso, anche a finale tragico, sia trattato a distanze stellari dai rockisti e dai cantautori. Quanto ai Fagioli, che fu presentato è, ovviamente, non scelto al ... Festival di San Remo, i sopraddetti legumi entrano inconsapevoli in un giocoso balletto anaforico da cui ricevono la punizione comica (anche la musica ci sa fare qui): « I fagioli non li posso più mangiare/ i fagioli mi fanno vomitare/ i fagioli non li riesco a digerire/ i fagioli mi fanno soffrire / fagioli fagioli fagioli fagioli./ I fagioli sono la mia rovina / i fagioli li mangiavo in cantina / i fagioli sono la mia disperazione / i fagioli li compravo in aviazione». Si noti la voluta alternanza presente-imperfetto. Provocazione giuliva di fronte ai temi seri e ideologi21,atipresenti in altri gruppi? O forse semplicemente l'idea di attuare cosi il rock «demenziale»? O puro divertimento? Forse un misto di queste motivazioni a cui si potrebbe rispondere come loro rispondono agli altri: «Fatevi i fatti vostri». Rimane sicuro che là ove maggior coscienza di quello che rende il testo comico o ironico o eversivo è presente, il testo occupa un posto più alto. Abbastanza riuscito è a volte l'uso metaforico del campo semantico di cibarie e affini, come là ove il freezer ha funzione dissacrante per problemi di cuore: «È un freezer il mio cuore / io non sento più amore» nel testo intitolato appunto Freezer e ben riuscito per l'espansione metaforica nelle varie strofe. La fraseologiagiovanile di vari ambiti è oggetto di attenzione ma con dosatura equilibrata e senza punte estreme: i soliti mi stende, puttanaio, sbarba, sbarbina, ti rullo, brutto pesce (per teppista). Molto iterativi, forse per sciatteria o forse per scelta, chissà, certi stilemi anaforici, ad esempio: Mi piaccion (in Mi piaccion le sbarbine), Mi piace (in Sono un teppista), ancora Mi piaccion (in Sono buono). Col tempo gli Skiantos si sono trasformati, come loro stessi dichiarano; sempre Freak Anioni nell'intervista citata (Percorsi cit., 13): «Pur seguendo sempre la via autoironica del 'Rock Demenziale' gli Skiantos, in una seconda fase del loro sviluppo, hanno tentato di creare una certa raffinatezza nell'impasto musicale e nell'impiego delle stonature con la conseguente inevitabile perdita di una certa immediatezza selvaggia e irragionevole nel loro essere». Per l'appunto, c'è più razionalità. e coscienza compositiva, anche a livello linguistico: esempio tipico il LP Pesissimo (Cramps, 1980) di cui si è già parlato nel n. 24 (maggio 1981) di Alfabeta, a cui si rimanda. Scompare la ricerca di un antimodello formale con la sua carica contestataria, anche se rimane l'alternanza del punto di vista ironico e mimeticodrammatico, chè si fa un po' più spettacolare nel senso positivo del termine. Scompaiono i vocaboli di tradizione goliardica, inopportuni dove si vuole rifiutare i mostruosi ritmi metropolitani del vivere (Sono veloce) nell'atto in cui linguisticamente si mimano, o il patetico dell'amore verso la madre, descritta con similitudini che daccapo portano al campo semantico delle cibarie (lei odora di insalata, di polpettone, di camomilla) in Mammaz, il testo senza dubbio più raffinato e riuscito del disco, dove si ha una armonica Skiantos Mammaz (Stefano Cavedani) Ti bacio sulla faccia che odora d'insalata mamma tu mi piaci perché ti sei sposata ti bacio sulle mani che san di polpettone. Ti bacio, sì ti bacio ti bacio sul/~ faccia mamma sei sbarbina la domenica mattina con santa ragione tu sei la mia passione. Sulla faccia e sulle mani io ti bacio anche domani mamma, la mamma è sempre quella una mamma 1101s1altella una mamma in carne ed ossa se t'abbraccia dà la scossa. Mangia adagio che t'ingozzi come hai fatto a farti male Ti bacio sulla faccia che sa di camomilla mamma io ti guardo in fondo alla pupilla Mamma sei odorosa, fai la spesa senza posa ti travesti per la gita con gli anelli nelle dita sei sconvolta di dolcezza per il tuo geranio rosa ~e ti trovi senza sale ti appoggi sulle scale con santa ragione tu sei la mia passione Vieni su presto che sudi Dove vai con questo vento Mangia adagio che t'ingozzi. spartizione dei ruoli fra il parlato affettuoso-lirico e il musicale ironico (cfr. la vocetta stonata del sottofondo «mangia adagio che ti ingozzi!»). A questo punto il futuro degli Skiantos è imprevedibile; comunque da ragazzi I b liOte ca g InO b Ia nCQ intelligenti hanno capito che il gioco è bello se dura poco. A Milano ci riportano i gruppi Kaos Rock e Kandeggina Gang, la cui produzione è più dura, più razionale e meno giocata, come richiede una metropoli oggi crudele e infelice, città della solitudine e della droga. Tutto nasce nel centro sociale Santa Marta, cioè nel cuore della vecchia città intorno al 1978: «Noi siamo un 'gruppo politico', facciamo il rock perché siamo incazzati. I nostri testi sono dei segnali, dei messaggi» (in Percorsi cii., 34). Kandeggina Gang Sono catti~a (Giovanna Co/etti) Mamma mi dai le chiavi che devo andare Ecco sei appena ritornata a casa ed esci di già, ma io 1101l1o capisco 1101h1ai un po' di pensiero per i vostri genitori, devo fare tutto io e la casa chi la manda avanti sempre in giro in mezzo alla strada a suonare il tamburo, la chitarra. Ma insomma, dai dobbiamo provare. Hai solo quindici anni, 1101l1o so, cerca di capire questi poveri genitori che son sempre qua a servirti. Dobbiamo provare ..... No insomma 1101è1 possibile 1101è1. Dai mamma lasciami uscire... Ho detto di no è no basta hè! Dai mamma 1101r1ompere Sono cattiva se la sera mi gira prendo il coltello ti stravolgo il cervello il cervello che bello il cervello che bello Perché io so che tutti voi belli o brutti ce l'avete con noi, con noi A volte sai mi piace, mi piace voglio girare in pace, pace,, pace, pace, pace, pace, La tua ribellione su di me vuoi sfogare ma questa volta te la faccio pagare, pagare, pagare Sono cattiva ciao mamma Già lo stile della risposta contiene una carica ideologica e una durezza formale inconcepibili negli Skiantos, come pure i titoli di alcune canzoni dei due gruppi: Basta, basta; Orrore; La rapina; Metropoli, Facce di merda. Le ragazze di Kandeggina Gang a loro volta parlano con energia della fatica di creare una nuova immagine della donna che non sia quella della cantante con belle gambe in un gruppo musia cale maschile e cercano la loro punta di diamante. Il disco 4~ giri Rock '80 della Cramps contiene due testi rilevanti del gruppo Kaos Rock: Basta, basta e La rapina. Nel primo si coglie subito una struttura testuale diversissima rispetto ai testi degli Skiantos e un differente rapporto della parola con la musica. La musica ha ruolo dominante in assoluto e procede per sequenze spesso prive di aécompagnamento vocale in quanto è ad essa che spetta nell'esecuzione d'insieme il compito mimetico Kaos Rock La rapina (Giovanni Muciaccia) Voglio fare !'"a rapina ho studiato la piantina, se va bene vado in Cina insieme alla biondina Oh come sono gasato tutta la notte ho camminato ora sono deciso il piano è preciso. Chissà quanti soldi ci saranno dopo la serratura cambieranno oh quanti soldi in tasca avrò e con la biondina scapperò È una bio11di11ma olto bella e anche molto s11ella elegante, seria e carina anche se è un po' biricchina Qua11doentrerò a tutti quanti spaventerò la banca così svaligerò e col bottino me ne andrò Sparato ho sparato ma sono stato beccato qualcosa 1101h1a funzionato è da quando sono nato che sono uno sfigato Per gentile concessione della Cramps Music S.r.l., Milano. verso il reale: colpi di batteria sordi, ossessivi rendono la crisi fisica dovuta alla mancanza della dose di droga e corrispondono ai suoni verbali del ritornello: «Basta, basta, non ce la faccio più / Se non arrivi tu, mi butto a Leo, batteria, Rats Wilko, chitarra,Ra1s Frani.. basso, Rats ClaudiaLoyd, cantante,RaJs testa in giù oh!». Di conseguenza, oell'e·secuzione il ritornello ha funzione primaria di fronte alla secondaria delle strofe; donde anche l'inversione numerica: 16 versi di ritornello di fronte a quattordici complessivi di strofe. Scompare ogni gioco formale entro le rime baciate, tutto è linguisticamente neutro, opaco ad accentuare la febbrile attesa concentrata nel grido del ritornello. Se a livello ideologico compare il fantasma dell'approfittatore («Ma sei dei miei/ o sei dei loro/ quelli che hanno l'oro?»), la forza del disco sta appunto nella concentrazioòe formale e musicale dell'intero pe.zzosull'unico motivo della sofferenza spasmodica; qualcosa di analogo, anche se tematicamente più narrativo e musicalmente più monotono, in La testa del gruppo bolognese Windopen (Rock '80 della Cramps). In La rapina il tema è trattato con moduli narrativi assai colloquiali e permeato a livello linguistico di lieve ironia: si tratta di una rapina fallita. La struttura metrica è ben articolata: sei quartine senza ritornello, proprio per accentuare l'aspetto narrativo: prima, quinta e sesta monorime, le altre con due rime baciate. La musica accentua felicemente il processo di gradazione regressiva dell'entusiasmo con un andamento iniziale scattante, da cavalcata al galoppo, cui seguono un lungo trotto degli strumenti e alla fine un rallentamento da molla in via di scaricarsi. Originale è l'uso di rime fantasiose che accarezzano il sogno di fuga di un emarginato: «Voglio fare una rapina / ho studiato la piantina / se va bene vado in Cina/ insieme alla biondina», la quale naturalmente è «carina e un po' birichina». Segue una serie di rime costruite sulla desinenza del futuro (entrerò I spaventerò I svaligerò I me ne andrò) a rendere sotto forma di martellata visione il fertile programma; indi la strofa finale dove il fallimento piomba col peso del reale immediato. Qui è proprio la forte colloquialità del linguaggio con il suo lessico connotativo (beccato, sfigato) e con le sue inversioni sintattiche espressive («Sparato ho sparato/ ma sono stato beccato /qualcosa non ha funzionato / è da quando sono nato che sono uno sfigato») che produce l'effetto ironia. Chiudiamo lo schizzo con le ragazze del Kandeggina Gang e un loro 45 giri (Rock '80 della Cramps), testo e musica di Giovanna Coletti: su una facciata esso contiene Orrore, il cui messaggio non pare molto propizio all'universo maschile: «Che lavaggio del cervello/ tu non pensi che al tuo uccello / che lavaggio secolare / tu non pensi che a scopare». Un po' drastico ma, tutto sommato, abbastanza corrispondente alla realtà. L'altro pezzo Sono cattiva è superiore artisticamente. A livello ideologico ecco lo scontro generazionale calato in un litigio serale madre-figlia (casa/ strade, discussioni/ pace, costrizione/ libertà); a livello linguistico c'è una mimesi ben riuscita del parlato familiare, nel caso la sfuriata materna: tale è il rilievo dato al testo che la musica tace durante tutto il brontolio materno costruito con interiezioni, esclamazioni, accentuazioni di sillabe toniche o atone, sospensioni, riprese; un gradevole ritratto fonico e ritmico del parlato colloquiale basso d'oggi. È certo che per i delicati che fiutano a nari tese ogni prodotto, è facile dire che a proposito di tutti i messaggi rock non c'è bisogno di jntuizione troppo fine per percepirne il senso, in quanto in essi è calato sempre qualcosa del franco tiratore, dell'autodidatta, dell'artigiano della lingua . .È anche vero, ma l'effetto a conti fatti nell'universo della canwna italiana è positivo, più positivo di certi blabla romantico-patetici a cui siamo cosi abituati che facciamo fatica a capire ciò che si configura essenzialmente diverso. Ma come il sangue non ci chiede il permesso di circolare, cosi la generazione dei giovani penetra a modo suo nel reale e lo esplora, anche per noi.

Narrare descrivere Ph. Hamon Introduction à l'analyse du desaiptif Paris, Hachette Université, 1981 pp. 268, fr.fr. 106 S. Agosti Tecnkhe della rappresentazione verbale in Flaubert Milano, Il Saggiatore, 1981 pp. 135, lire 12.000 AA.VV. Flaubert à ·1•oeuvre Paris, Aammarion, 1980 pp. 217, fr.fr. 70 AA.VV. «Gustave Flaubert». Les Ades de la Journée Flaubert (Università di Fribourg, 1980) Fribourg, ed. Universitaires, 1981 Memorie di Madame Ludovica manoscritto anonimo fra le carte di Gusta ve Aaubert, a cura di A. Capatti Milano, Il Saggiatore, 1981 pp. 90, lire 5.000 P ur presente in tutti i sistemi semiotici che si fondano sulla rappresentazione (verosimile) della realtà - e ferma restando la variabilità storica circa il rispetto di tale canone - la descrizione sembra costituire un pr:>blema solo nell'ambito della rappresentazione verbale, o meglio, in quella sua manifestazione ortodossa che è la letteratura. Se, infatti, per descrizione si intendono tutte le determinazioni particolari che servono a individuare o a caratterizzare personaggi, ambienti o cose nell'accezione più ampia, si potrà immediatamente riscontrare una prima divaricazione nell'uso che ne faranno, da un lato, i sistemi semiotici ad alto tasso mimetico (tutti quelli che inscrivono la loro diegesi in uno schema più o meno spazializzato: cinema, teatro, arte figurativa) e, dall'altro, l'arte cosiddetta verbale, la letteratura appunto, costretta a veicolare i propri contenuti rappresentativi sul solo asse della temporalità. Nelle arti del primo gruppo, infatti, la maggiore resa nel senso della verosimiglianza va ascritta alla compresenza di descrizione e narrazione; meglio, alla naturalezza di questa saldatura, in quanto tutto quello che riguarda l'apporto contestuale (il cosiddetto sfondo, o «décor> o «milieu•), nonché le determinazioni fisiche e aspettuali dei personaggi, «scorrono• simultaneamente al contenuto diegetico vero e quella esistenza «solitaria>. Le indagini più attente che hanno avuto per oggetto la descrizione (Propp, Genette, Barthes e, come specialista del settore, Hamon), indagini tutte riconducibili ad una prospettiva di tipo strutturalista, hanno, per la quasi totalità, concordato nel riservare alla descrizione un posto subordinato rispetto alla narrazione vera e propria, che costituisce il solo apporto determinante, e relativamente fisso, dell'intero apparato narrativo. In altre parole, alla descrizione è concesso di «rivestire» tali costanti, o di riempire gli interstizi fra i vari nuclei narrativi, oppure di lasciarsi decifrare come specola del narrato, ma non di porsi come istanza altrettanto necessitante. Un primo fattore da cui partire per ridare alla descrizione il suo valore, è di riconoscerne la presenza, pressoché proprio. Per questi casi, solo eccezio- costante, lungo tutto l'arco della narnalmente, cioè solo per via di rilievi rativa, dalle sue manifestazioni primistilistici puntualmente sottolineati da tive di «récit» ancora fortemente caparte dei singoli autori, il dettaglio ratterizzate dall'oralità, e pertanto daldescrittivo può essere isolato fino ad le esilissime pause digressive, a quel emergere in primo piano; ma come massimo di espansione che si ha con la norma generale, la descrizione, non narrativa ottocentesca, e fino alle stesessendo caratterizzata autonomamen- se pratiche «dissolutive• della letterate, vive in stretta simbiosi con la narra- tura novecentesca, che in una delle sue zione. forme più estremizzate (Nouveau Tutt'altre sono invece le convenzio- Roman) capovolge addirittura i terni nell'ordine verbale. 1n questo cam- mini normali d'integrazione fra depo, anche per quel settore della lette- scritto e narrato. ratura che si richiama con maggiore Ora, se l'estensione quantitativa energia all'imperativo del «realismo», della descrizione è da annoverare fra la resa verosimile è minore rispetto le variabili del genere narrativo, e deve alle arti del primo gruppo, proprio per essere pertanto indagata con riferii( vincolo inesorabile imposto dall'or- mento ai contenuti del mondo rappredine temporale all'intera rappresenta- sentato, quello che ci preme di fissare e zione. Quel nesso tra descrizione e di puntualizzare criticamente è innannarrazione che nel primo gruppo si zitutto il modulo descrittivo in quanto dava come inscindibile e simultaneo, tale e, in un secondo momento, di verila narrativa è costretta a reciderlo, ficare se la modifica di un certo canone proiettando nella discontinuità della descrittivo (che riconosceremo nell'ocatena verbale quello che là era «natu- pera di Flaubert, per lo meno nell'amralmente• incorporato al narrato. Ed è bito della letteratura francese, che qui allora proprio questa autonomizza- si prende come punto di riferimento), zione che fa della descrizione un pro- non implichi anche una ridefinizione blema eminentemente linguistico e del genere narrativo stesso, ed in parche implica, di conseguenza, che se ne ticolare dei rapporti fra descrizione e Btt,tibtétegaTnb 0d\ a"rtttl Loredana Bo/zan Nonostante l'evoluzione di cui si diceva, e qualunque sia il contenuto da sottoporre a descrizione, il meccanismo di questa appare relativamente fisso: si tratta di scomporre un determinato referente nei termini che lo compongono, sino a proporne la dimensione più caratterizzata (individualizzata) possibile. Va da sé che l'obbligatorietà di un simile procedimento è più inerente ai personaggi che alle «cose», e proprio per ragioni connesse all'accettabilità del senso in un testo narrativo, in relazione soprattutto alla presenza di una onomastica, di volta in volta variabile. F ra gli interventi critici sul problema descrizione (di cui abbiamo riferito sommariamente all'ininarrativo. Ma accanto a queste considerazioni diverse del fatto descrittivo, a più riprese, nel corso del saggio, Hamon ne propone un'ulteriore configurazione, secondo la quale la descrizione costituirebbe la coscienza linguistica dell'enunciato. Il fatto insomma che la descrizione si dia come scomposizione di un termine globale della referenza· (o «pantonyme» secondo Hamon) negli attributi e negli elementi che lo compongono, dà l'avvio ad una serie massiccia di «mise en équivalence» di elementi del reale (e di conseguenza di elementi del linguaggio), procedura che permette al testo di acquisire u_nalto tasso di leggibilità. --~~ zio), il recente libro di Ph. Hamon ha il merito di riproporne la centralità, attraverso un riesame che, per essere tanto analitico, rischia di produrre una valutazione globale fin troppo eterogenea. Per cui, ad esempio, la presenza della descrizione in un testo servirebbe a propositi diversi di tecnica narrativa, dai quali possono perciò scaturire approcci distinti nel considerare il problema. Il punto forse di maggiore estensione nell'uso della descrizione, riguarda il suo valore di indice esplicativo per le serie di dettagli di cui correda le entità di volta in volta introdotte, e che possono servire anche a distanza per la comprensione del testo. Oppure, e qui Hamon si richiama ad una prospettiva greimasiana, l'unità descrittiva, assimilata ad un attante, è suscettibile di offrirsi ad un'analisi in termini di relazioni attanziali, dove appare chiaro che l'atlante può in questo caso «manifestarsi» sotto forma di entità non antropomorfa: un paesaggio, appunto. Ancora, essa potrebbe essere considerata come semplice prodotto di una tecnica narrativa, una sorta di operatore di focalizzazione, che dà rilievi diversi a singoli elementi delliuniverso '•. I Mauro Montanari, Zitron 1 Che queste procedure interessino interi settori di «sapere» (i lessici particolari dei mestieri o delle tecniche) o semplicemente quel modello basilare dell'equivalenza che è dato dal passaggio da denominazione a definizione, secondo il principio messo in atto dai lemmi del dizionario, esse hanno lo scopo di provocare nel testo un effetto di ripetizione, di esplicitazione e, in ultima analisi, di ridondanza. Tale ridondanza andrebbe allora a compensare quella diversificazione, quella trasformazione, quell'incognito sempre incombente che è invece il presupposto dell'ordine narrativo, assicurando in tal modo la leggibilità degli enunciati. In definitiva, sempre secondo questa prospettiva, la descrizione costituirebbe «un'ipertrofia del paradgmatico», contro tutte le altre operazioni narrative che si inscrivono invece sull'asse sintagmatico. Tuttavia, la leggibilità che il testo consegue attraverso le procedure di messa in equivalenza, è una leggibilità che resta tutta di «superficie», in altre parole che investe soltanto il linguaggio o il metalinguaggio ed è per questo che Hamon può opporre le operazioni descrittive, in quanto strutture semiotiche di superficie, alle strutture semiotiche profonde che viceversa reggono la «grammatica» narrativa vera e propria. Ora, a nostro avviso, è proprio la nozione di leggibilità che bisogna sottrarre ad una considerazione meramente linguistica e ricondurre ad una visione in profondità. Ma per far questo bisognerà allora disgiungere (contrariamente a quanto ha fatto Hamon) la descrizione in prosa dalla descrizione in poesia, e partire proprio dalla considerazione del valore di rappresentazione verosimile connesso al genere narrativo. In questo contesto, la descrizione è sl un'operazione di tipo lessicale, ma il cui valore va ben al di là dello strato superficiale del testo. Corredando ogni unità determinante del testo (sia essa antropomorfa o meno) di tutti i connotati che ne rendono possibile l'individuazione, la descrizione va infatti a costituire il fondamento stesso del senso in un testo di tipo verosimile, precisamente coll'operare la trasformazione da genericità a specificità, a quella specificità delle individuazioni concrete attualizzate nel testo; ed è proprio come operatore di specificazioni, e quindi di distinzioni, che la descrizione potrà fondare la leggibilità -e la massima leggibilità - di un testo in prosa. Con una simile premessa, la descrizione diventa sl condizione di leggibilità, ma in maniera preliminare a qualsiasi manifestazione testuale. È questo a nostro avviso il senso fondamentale della descrizione lungo .tutta la stagione in cui il romanzo ha abbracciato il canone della verosomiglianza; ma è anche il luogo che accrescendosi a dismisura ha finito col minare quello stesso senso, fino a modificare e a scardinare i legami reciproci fra narrazione e descrizione. Nell'ambito della letteratura francese che abbiamo preso come campo (implicito) di verifica, è con Flaubert che il valore della descrizione, quale è stato da noi proposto, trova il culmine della sua applicazione, pur racchiudendo nel contempo i germi di nuove possibilità di rappresentazione. Tuttavia la modifica dello statuto della descrizione non va considerata come un riassetto parziale della rappresentazione, poiché implica un riordinamento ben più complesso dell'ordine narrativo, rivelandosi l'effetto (o la causa) dell'alterazione complessiva dei rapporti fra descrivere e narrare. In altre parole, con Flaubert comincia a corrodersi anche il principio della consequenzialità esplicita e lineare che sorregge l'ordine narrativo, e che raggruppa e collega le varie funzioni narrative, imprimendo loro quella forte impronta coesiva tipica del regime della verosimiglianza. Inscrivibili entro questa linea sarebbero ancora i testi flaubertiani che vanno da Madame Bovary alla Légende de saint Julien l'Hospitalier (la distinzione, operata da Agosti, serve a limitare alla prima delle due serie l'ambito della sua ricerca) mentre gli altri, in misura maggiore Bouvard et Pécuchet e minore Un coeur simple e Hérodias, si inscriverebbero in una semplice coordinazione seriale. M a il romanzo flaubertiano non corrisponde più alla prassi 1ella rappresentazione ortodoss~ perché ha mutato radicalmente, anche in relazione allo speciale rapporto inaugurato dall'Autore con il proprio testo, le caratteristiche stesse del narrare e del descrivere. Schematicamente, con Flaubert si darebbe insomma uno spostamento della re/azionabilità dal piano sintagmatico, che accoglie normalmente le relazioni nella loro più stretta coesione di causa-effetto, al .... ,.,.,

piano «paradigmatico» in senso lato, come relazionabilità diffusa e fittissima nei testi, quale appare in tutta la sua splendida resa dall'analisi datane da Agosti il quale la ripartisce in tre modalità di rapporti o «parallelismi»: parallelismi di identità, parallelismi di opposizione e parallelismi di sostituzione (o di equivalenza). Ora, il fatto di leggere il testo flaubertiano secondo questa trama di interazioni «paradigmatiche», implica ovviamente qualcosa di ben più radicale di un semplice rilievo stilistico. Riconoscendo nella configurazione complessiva del testo, nelle minime strutture come nelle grandi articolazioni, la proiezione•di una scritwi-a tutta tesa a problematizzare l'univocità del senso veicolato dall'asse sintagmatico, il lavoro di Agosti apre ad una rinnovata lettura di Flaubert. Infatti, ciò che il procedimento della relazionabilità mette in questione, è proprio il fatto della stabilità degli universi rappresentati, e in ultima analisi, la loro -capacità a lasciarsi identificare, soprattutto per quegli elementi «statici» del testo (gli esseri, le cose) che, come si diceva all'inizio, dovrebbero farsi portatori dell'attitudine a significare non ambiguamente. E gli «effetti di reale» nell'accezione agostiana - quel Reale lacanianamente inteso come eccedenza rispetto alle restrizioni operate dalla rappresentazione, che sacrifica sempre al dominio del Significato -:..Sarebberocosl da leggere come conseguenza di quella s_ovradeterminazione del senso che proietta l'opera, dalla sua dimensione «compressa» di Racconto, alla polivalenza del Testo. · È forse andando a osservare « Flaubert à l'oeuvre» che si possono comprendere questi mutamenti. Come illustrato da Capatti per Madame Bovary, il fatto che Flaubert proceda alla stesura dei suoi romanzi a partire da nuclei fissi di vario genere, favorisce in prima istanza questa manipolazione dei materiali in senso paradigmatico: si tratta infatti di una combinatoria che Flaubert porta avanti insieme al lavoro di amplificazione e di giustapposizione dei vari blocchi. In definitiva, se l'ordine sintagmatico provoca delle «contraintes» di verosomiglianza del tipo: se Rodolphe è un signore di campagna, allora Rodolphe· è un cacciatore e allora sarà-. vestito di velluto (p. 68), i vari pezzi mobili del testo, che costituiscono il lavoro preparatorio, favoriscono invece tutte quelle relazioni libere nelle quali si produce una sovradeterminaCultura come spettacolo (2) zione di senso e che sono di tipo paradigmatico. Si potrebbe dire insomma che tutte queste relazioni libere fra elementi distanti del testo sono la contropartita dell'allentamento delle relazioni necessitanti: quelle che dovrebbero prodursi sull'asse sintagmatico, e che Flaubert sembra accanirsi a rendere problematiche. Dell'allentamento dei nessi di causa-effetto all'interno del narrato, ivi comprese tutte le escrescenze esplicative di balzachiana memoria, rendono conto particolarmente il saggio di P.M. De Biasi (L'élaboration du problématique daf!S la Légende contenuto io F/aubert'à l'oeuvre) e il saggio di P. Thomp~n relativo a Hérodias nella silloge delle «Journées Flaubert». Cosl per una sorta di rovesciamento complelJlentare, le relazioni sembrano venire allora amplificate al livello paradigmatico: ed è proprio la descrizione che se ne caricherebbe io modo particolare, sino a perdere quel valore di fondamento stabile e univoco di senso di cui si diceva. La descrizione flaubertiana sarà perciò sì ancora il luogo dove il senso si fonda, ma anche il luogo dove questo comincia a perdersi nel vortice della sua relazionabilità. Per concludere, se si deve a Flaubert la più rigida applicazione del canone della verosimiglianza - almeno nell'ambito della letteratura francese-è a lui che deve essere ricondotto anche il principio della sua dissoluzione: quella --msarticolazione reciproca che subiscono narrazione e descrizione sono Il ad indicare la strada alle più audaci e radicali innovazioni novecentesche. Nessunoricordcaonrabbia? «troppo futuro - chiudi gli occhi riaprili adesso - il futuro è passato» (da «from the youth of my Coboldness» di Gianni Toti) e redevamo che le «porcherie degli anni '30» (N. Aspesi) fossero già liquidate da un pezzo;. che «la criminalità sentimentale dei cari estinti» (R. Di Giammarco) fosse stata sufficientemente dileggiata dall'ultimo inef /abile dandy dei palcoscenici europei, Paolo Poli. Credevamo che gli abbrividenti souvernirs del Regime e le cu/- turerre azzurro De Pinedo Balbo resistessero solo presso i superstiti fascisti della prima ora eche /'i11co11sciloittorio fosse pascolo di Almirante e di certa Dc. /11vece no: topica grossolana! La rassegna «Annitrenra», organizzata dalla Ripartizione Cultura e Spettacolo del Comune di Milano e firmata dalla Commissione operante per conto di tale Comune - Bari/li, Caro/i, Fagone, Morello - (non si capisce perché venga sempre tirata in ballo Mercedes Garberi, direttrice dei Civici Musei, che si è sempre autoesonerata da qualunque forma di collaborazionismo) intende porsi - e lo dichiarano i responsabili -come massimo risultato dell'incarico pubblico conferito a raie squadra, nonché come lucido e anticonformista spaccato dell'arte e della cultura italiana degli anni '30. Non si tratta di una mostra di destra vista da destra (difatti la destra istituzionale allontana da sé il suo passato, non ha nessun interesse a riconoscersi in questa mostra; la deplora, beffandola). Non è l'inconscio littorio quello che viene fuori dal calderone milanese, ma quello del Psi. Ha ragione quel mio amico (ex-gardenia bianca all'occhiello del/'«Arcana Editrice») a sottolinearmi che tutta la messa in scena tra Arengario, Palazzo Reale, Sagrato e Galleria costituisce il rimosso del Socialismo contemporaneo. Difatti, come usciredi senno, senza rendersi conto del tritolo che maneggiavano, anime psine e pcine hanno messo su con un'arroganza e una superficialità incomprensibili, in un primo momento, la più errata rivisitazione del decennio che doveva portare alle tragedie del '43/45. Cerro, si dirà, in tm' Italia che festeggia i cento anni di Prezzo/in i, sensibilissima agli effimeri e ai Carnevali, che programma la rivalutazione della pittura ottocentesca napoletana (perla di Maurizio Va/enzi), in un Paesesedotto da Verdiglione, dai filosofi e dai pittori nuovi-nuov~ che tra Evo/a e Nietzsche non fa più differenza, e che chiama rutto questo il nuovo Sturm und Drang o, nei casi più scaltriti, «pluralità di stili, ambiguità, diritto al desiderio», perché stupirsi di tanta tolleranza verso tutta la chincaglieria riemersa dalla polvere delle cantine e dei solai e contrabbandati come testimonianze storicamente obiettive? E vediamo, per cominciare, /'idea della manifestazione e i criteri selettivi. Bari/li Renato, che di raieoperazione si è caricato, a suo dire, «un particolare onere sul piano organizzativo», ha rilasciato dichiarazioni del tipo «... una caratteristicadei nostri tempi è che non si riesce a giurare su una carta sola... rutto passa, ma tutto ritorna... la nostra età post-moderna memorizza tutto l'accaduto e quindi (il corsivo è mio) lo annulla ... il Razionalismo reprimeva l'Eros, il super-ego, le componenti erotico-libidiche, abolendo la decorazione... niente esce di scena e tutto ritorna, non voglio dire che chi loda il passato ha sempre ragione: dico che oggi abbiamo scoperto che esiste un'ortica di rivisitazione del passato che bisogna saper usare... non credo sia tempo di scelte univoche ... la mostra chiarisce che il Regime fu una grande cappa protettiva, sotto la quale ogni artista era libero di seguire la propria vocazione ... non c'è stata un'arte di Regime, anzi oso dire che sotto un governo parlamentare le cose andrebbero allo stesso modo ...». Questa, dunque, la Weltanschauung della rassegna, sparpagliata in circa venti settori. Ma che gli fa Bari/li ai socialisti, uno si chiede? Sorvoliamo sulle risposte goliardiche che circolano da quasi un lustro e cerchiamo di capire se i Craxi, i Martelli, i Tamburano, han proprio bisogno di un ideologo cosi eclettico per occupare le pagine de L'Avanti, li Giorno, L'Espresso, le Biennali, le cattedre delle università e dei Dams, le Gallerie Civiche d'Arte Moderna, le case editrici. La strategia portante dunque è chiarita. Vediamo le modalità di ricerca. Era difficile arrangiare, appiattire e pastorizzare il materiale a disposizione con tanto pressapochismo e leggerezza, per dirla eufemisticamente; eppure ci sono riusciti. Si è osato -per osare, cosa non si è osato! - chiamare équipe interdisciplinare la caterva di famigli che han tirato la carrello - studiato quasi mai! - per farcire questo pane/Ione d'immondizia (altro che il Fernet Branca per digerirlo!): una quarantina (tanti, ma si sa, l'entusiasmo è l'entusiasmo!) di trovarobe abbigliati da critici, storici, esperti. Cosi si sono verificati episodi di sciatteria e cialtroneria, rari a rintracciarsi nelle mostre degli ultimi venti anni. Esempi: la moda. L'esposizione di insignificanti campionature proprio a Milano, dove Musei, grandi modisterie, case di confezioni, e gallerie d'arte, negli ultimi cinque anni, hanno esposto capi squisitamente selezionati nell'ambito del gusto di un'epoca. Gli oggetti. Non ci siamo mai negati al gusto degli oggelli anni' 30, c.hesono di moda fin dal '66, nell'arredamento, nell'abbigliamento, nel maquillage. Sul proto-design, sulle affiches, sulle paste B bl1otecagnob1anco Lea Vergine di vetro, sulle alzate da frulla, su tullii ninnoli e i bibelots Lenci, sulle ceramiche, sugli argenti, sulle gelatiti e bacheliti, sui tavolini da boudoir, e quindi sui Boccasile, sui Venini, sui Bugaui, sui Vacche/li, su Elena Koeing Scavini (zia di tanto Giovanni!); e ancora sui costumi da tennis o da sera di crépe georgette e di chiffon, sulle parures di strass, tullo, ma proprio tullo, era stato ampiamente visto in particolar modo a Milano prima ancora che la follia per il decò arrivasse nei supermercati rionali, da quella esperta - quella sì - antesignana di queste scoperte, che è srara Carla Pellegrini Rocca. Basti ricordare le mostre della galleria Milano, ancora in via Spiga, nel '65 e nel '68; e poi in via Manin, nel '74, '78, '79. (A proposito, in omaggio al tutto ritorna, notate la somiglianza tra mobili, mobile/te e stoffe di quegli anni con i prodorri'd'avanguardia del gruppo «Alchimia»?). E poi sono anni che le infuocare aste della Finartepumano sugli anni '30 italiani. I responsabili della Casa assicurano che «non c'è oggeuo dell'epoca fascista, anche il più retro, che non valga ormai milioni». Sarà pur vero se i plateaux dei gioiellieri e degli antiquari pullulano di meraviglie decò, le modisterie di aigrettes e le librerie alternative (e snob) di intere vetrine con vagoni di pubblicazioni made in ltaly, di riepiloghi e cataloghi ragionati sulla moda, l'arredo, la grafica, la cartellonistica. Tra Laterza, Einaudi, Bolaffi, Mondadori, Ricci e Felrrinelline avranno venduti talmente tanti da rimpinguare le sempre esauste casse della nostra editoria. Pittura e scultura (poi lasceremo ad altri il discorso sul/' architellura e urbanistica o sulla lelleratura). Che senso può avere enfatizzare la «Crocifissione» di Gurrusodel '41 o il Cagli del '36 (va bene, non lo vedevamo da vicino da venti o trenta anni, ma potevamo vivere lo stesso senza ammirarlo da sorrainsù per altri trenta anni. È sempre meglio andarsi a riguardare la battaglia di Paolo Uccello, di cui è un «d'apreS>>...)? Finezza estrema. Non avevamo capi- • ro, in sulle prime. Serve a distinguere il Fascismo illuminato di Bottai da quello becero di Farinacci. E, per il resto, non bastano certo i Mafai, gli Scipione, i Biro/li, i Levi, gli astrattisti lombardi o i Sei di Torino a bilanciare la marea di Sironi e Carrà (fascisrissimi!) i Funi, Andreotti, Carpanetti, Dazzi, Borra, Tozzi, Pucci, Lodi, Bazzoni, Donghi, Bucci, Broggini, Cadorin, Mariani, Vagnerti, Speranza, Carena, Sciltian, Paresce, Barbieri, Messina, Fagioli, MeMndri, Baroni, Enrini, Bresciani da Gaza/do, Colombo, Bonfantini; vale a dire tu/lo il Novecento più codino e stucchevole. Ma evidentemente, marché oblige, oltretutto. In qualche sala ci sono due tele di Paolo Ricci e Mario Lepore (con tutti i distinguo che due pittori implicherebbero per i ruoli avuti); e gli scultori Gemito, Tizzano, Gallo, Pepe Diaz? E pittori come Crisconio, Mario Vittorio, De Rosa, Edoardo Giordano? E il gruppo dei «Circumvisionisti», Cocchia, Deambrosio, Peirce col loro manifesto? E Carlo Bernard, Ricci e Peirice col manifesto UDA (unione distrurrivisri auivisti) dove sono? È tulio uno scarica barile, un lavarsene le mani. Non bisogna mai lavarsi male: non c'è nulla di più puzzolente dello sporco «mal cotto», dicevano le balie d'una volta. Ma il critico non è renuto'asapere? E siccome non è pietoso deprecare solo il gaffeur ufficiale dell'Emilia Romagna accenniamo anche a Caroti e Fagone, che hanno sostenuro il povero Bari/li a marciare in questa impresa ardita. Di Caro/i Flavio bastino alcune righe del caralogo: « ... siamo indotti a compiacerci, con una punta di sensualità perfino torbida, di un passato e di piaceri talora frustrati, ma proprio per questo solleticanti ... la magia degli anni '80 è dionisiaca ... gli anni '30 sono un capitolo risolutivo della fiducia ideologica nel moderno, e ne assumono in toto le mitologie ouimistiche ...». In quanto a Fagone Vittorio, deve esser tutto amputabile - intendo la camaleontica trasformazione - a/l'ingresso, ne/la sua esistenza, delle «Spirali» e della conseguentissima ascesa a pubblici incarichi. Per quel che concerne quello di cui parliamo, le ceneri di Edoardo Persico non troveranno pace, sommosse così a sproposito. E anche qui che il /errore vada a documentarsi su tanto catalogo d_iGabriele Mazzoua, vertiginoso per pondo e per contenuti (le schede biobibliografiche raffazzonate o copiate qua e là senza citare le fonti). li Pcinon sa proprio scegliere meglio le sue «bande bassotti» o è questa la «terza via»? Ma lo sa Aldo Tortorella che ci fa rimpiangere quei galantuomini geniali di De Miche/i, Morosini, Micacchi e, finanche, Venturo/i? Per la politica abbiamo invece uno storico in boccio, addirittura probabilmente postmodernissimo anche lui, che esibisce fez, gagliardetti, maschere antigas per signora, lo scarponcino di Benito e altri reperti-reliquie, obliando la vera iconografia del decennio, quella della guerra civile spagnola, della campagna d'Etiopia, del colpo di stato in Albania, della difesa della razza di lnrerlenghi, la pagina del Popolo d'Italia con le leggi contro gli ebrei o quella della scuola milanese di mistica fascista. Cosucce da niente. E, tanto per elencare rapidamente un po' di cosucce da niente che hanno fatto da contorno alla mefitica operazione, corre l'obbligo di ricordare il cinema (e che ce le risparmiavano le Zarah Leander di casa nostra, o gli « Uomini, che mascalzoni»?), un'intera settimana di non-stop televisivo della Terza Rere sempre ali' insegna di come si stava meglio quando si stava peggio, per «mettere a fuoco un periodo che ha lasciato il segno nel processo di modernizzazione della cultura italiana». È duro arginare l'anarchia filofascisra, si sa. Sempre patrocinata dal Comune di Mi/ano (dove eravate Tognoli, Aghina, Saccabusi?), al Centro Domus di via Manzoni, nell'interregno tra vernissage e inaugurazione, promossa dalla industria po/troniera Zanotta, un divertissement dove Marisse, Disney, Moretti, Severini, Branzi e Mussolini venivano agitati e miscelati in uno stre-. piro luuuoso, partendo da una rilettura, che si riprometteva, forse, di esseresolo sdrammatizzante e finiva con l'essere criprica sulla sala da bagno del Duce. Adesso Milano è soddisfaua: ha rutti i Totem e Tabù che merita. Ma se questi neo-camerati, solidali ne/l'organizzare un teppismo casual sulla pelle di una tragedia ancora recente, avessero invece lavorato ad una verifica critica, come avevano detto di voler fare, altro sarebbe stato lo spessore della manifestazione. Forse le distanze prese avrebbero permesso veramenu di valutare la cultura del decennio fatidico nel pro fondo: almeno di vedere la vera faccia degli anni '30, quella che è stata abbondantemellle censurata quando non snaturata. Come spiegarsi questo revanchismo? Ahimé, in una sola maniera. Che la «nostalgia», concimala da tutto quel clima che oggi si chiama postmoderno, è un'atteggiamento (sentimento?) ancora gagliardo e diffuso. Nessuno ricorda con rabbia. La critica da sinistra ha minimizzato o finto di guardare alla faccenda come ad un guazzabuglio di coboldi sbarazzini. Perché tanta paura? Nessuno vuol fare il caralogo degli errori; è ancora considerato pericoloso compilarlo? O lo è oggi come allora? Vuoi vedere che quando Bager Bozzo afferma (per gli Editori Riuniti) che «Il futuro viene dal futuro», hanno ragione quelli che dicono che grandi sono e intime le liaisons tra anni '30 e anni '80? Non era Mussolini a urlare: «Ho nosralgia del futuro?» Mi viene in mente il socialista (vecchio questo non nuovo-nuovo) Nenni che, in Sei anni di guerra civile scriveva: «Avventure come quella del fascismo riescono difficilmente, ma quando si sono assicurare le necessarie complicirà, possono durare per molti anni». Intanto sono in corso tavole rotonde riparatorie con personaggi specchiali e insospettabili affinché bilancino la situazione: dappertullo, alla Rai, in Tv, nella sressa Milano. Un'ultimaparolina sul consenso sperticalo di alcuni critici e storici: non ci pensano mai a quello che veniva fatto loro sotto quel regime? Annitrenta Arte e cultura in Italia (Mostra) Milano, primavera '82

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