Alfabeta - anno IV - n. 33 - febbraio 1982

vendere la propria forza lavoro e incassare un salario, e soltanto successivamente possono accedere al mercato. Gli imprenditori di Keynes, così come hanno il potere di attivare il processo produttivo, possono ridurne il livello, provocando disoccupazione e crisi. Anche per questo aspetto la natura di economia monetaria si rivela cruciale. Infatti, la decisione dei capitalisti di ridurre la domanda di investimenti comporta una decisione simultanea di tenere invece maggiori scorte liq~ide, il che implica, da parte dei capitalisti, la convinzione che la liquidità sia, fra le1ante forme di collocazione della ricchezza, la più redditizia, o quella meno esposta a perdite. La natura' monetaria dell'economia capitalistica, l'essere il capitalismo una economia basata sul potere, e il suo essere soggetto a crisi, sono dunque aspetti inscindibili, in quanto facce diverse del medesimo meccanismo. Ne è prova il fatto che quanti hanno tentato di costruire una teoria del capitalismo come teoria di una società senza potere e senza crisi, hanno finito con il costruire anche la teoria di un'economia senza moneta. Keynesiani e monetaristi Forse la costruzione teorica di Keynes non fu mai veramente compresa se non nella cerchia più intima dei suoi allievi. Fu compreso, e nel secondo dopoguerra anche largamente adottato, il suo messaggio a favore di un intervento più sistematico dello Stato nel mondo dell'economia. Degli aspetti prettamente teorici del suo pensiero si intuì però la profonda carica critica. e i tentativi effettuati per cancellare l'elemento di eterodossia che egli aveva introdotto, furono pronti molteplici e scaltri, Al giorno d'oggi, come si legge nel saggio di Luigi Spaventa, questo processo di annullamento può dirsi compiuto, e la dottrina dominante si ritrova sulle posizioni tradizionali di mezzo secolo fa. Il primo passo, in questa opera di fagocitazione del pensiero keynesiano entro gli schemi tradizionali, fu quello di accantonare il problema centrale di Keynes, che era quello di descrivere il sistema capitalistico come sistema fondato sul potere, limitandosi a discutere la sua conclusione più vistosa, quella della tendenza del capitalismo a generare disoccupazione. Keynes veniva cosi ridotto a un teorico della crisi, alla stregua di mille altri. Su questo terreno di discussione ridotto, le forze non hanno tardato a dividersi. Da un lato, si schierano coloro che riconoscono a Keynes il merito di avere indicato nella disoccupazione il problema più acuto del capitalismo moderno. Costoro, che al giorno d'oggi si fregiano dell'etichetta di «economisti keynesiani», comprendono studiosi di grande prestigio, quali Frank Hahn, James Tobin, Lawrence Klein, Franco Modigliani. li loro problema è quello di spiegare come, anche nell'ambito di una teoria di stile tradizionale, possa generarsi disoccupazione. Le cause cui essi riconducono il fenomeno della disoccupazione sono le più svariate: attriti, rigidità dei prezzi o delle quantità, insufficiente trasparenza dei mercati, incertezza sull'andamento del futuro, e via dicendo, in un fuoco d'artificio crescente di complicazioni teoriche. Sul fronte opposto, si colloca la semplicità glaciale dei così detti «monetaristi»,i quali vantano anch'essi personaggi di grido, quali Milton Friedman, Thomas Sargent, Robert Lucas. Costoro, pur riconoscendo l'esistenza di attriti e di malfunzionamen- . ti, sostengono tuttavia che il meccanismo del mercato possiede una sua funzionalità di fondo, e che esso, purché liberato da sovrastrutture mono.polistiche, è in grado di garantire la piena occupazione (il testo più moderno e più completo è l'ottimo manuale di Dornbusch e Fischer; quello più avanzato e analiticamente sviluppato è quello di Sargent). Uno degli argomenti centrali di cui i monetaristi si servol\o merita di essere ricordato. Keynes aveva affermato che una caduta dei salari risulta sterile ai fini dell'-0ccupazione, perché essa non dà luogo ad un aumento adeguato di domanda globale, per cui anche se gli imprenditori, invogliati dalla caduta dei salari, decidessero di aumentare l'offerta, essi non riuscirebbero a vendere le maggiori merci prodotte. I monetaristi attaccano proprio questo punto, e sostengono che una caduta dei salari non può mancare di produrre non soltanto un aumento di offerta ma anche un pari aumento di domanda. Essi riconoscono che la caduta dei sdlari ed il conseguente aumento di offerta· producono una caduta dei prezzi. Ma questo è soltanto un primo effetto ìmmediato. La caduta dei prezzi infatti aumenta automaticamente il potere d'acquisto delle scorte liquide e induce i detentori di esse a spenderne una parte, o per , acqu·istare titoli (il che fa cadere i~tasso del! interesse e stimola 1t domanda di beni capitali) o addirittura per acquistare beni di consumo (il che accresce direttamente la domanda di merci). Quindi una caduta dei salari produce alla fine anche un aumento di domanda che si protrae fino a paregg-iare l'offerta. Per valutare la rilevanza di questa argomentazione, si deve ricordare che, per i monetaristi, il mondo dell'economia è costituito da operatori razionali, ciascuno dei quali massimizza il proprio utile personale ed è soggetto Salone dell'aeronautica di Le Bourget Equipaggiamento militare alla regola dell'utilità marginale decrescente. Di conseguenza, al crescere delle scorte liquide, l'utilità marginale di esse deve necessariamente declinare, il che, prima o poi, induce il soggetto a disfarsene per convertirle in altre risorse. A questo punto, in qualche mercato, non importa se in quello dei titoli o in quello delle merci, la domanda deve aumentare. Il capitalismo possiede dunque un meccanismo interno di reazione alla crisi e garantisce la piena occupazione. (Inutile aggiungere eh~ questa argomentazione perde il suo valore se, tornando al pensiero di Keynes, cerchiamo di applicarla ai capitalisti, i quali agiscono, come. diceva lo stessò Keynes, non per procurarsi utilità persona- _ le, ma per trasformare denaro in maggior denaro, e per i quali può agevolmente darsi il caso che l'investimento più at!raente sia il non investimento, e cioè l'accumulazione di liquidità, senza che ciò dia luogo ad alcun declino nell'utilità marginale delle scorte liquide possedute). L'argomentazione dei monetaristi è congegnata in modo particolarmente astuto, perché collega il meccanismo ' della ripresa all'agire raziònale del soggetto che massimizza il proprio utile personale. Essa si presenta quindi come apparentemente inoppugnabile, almeno per chi acce11icome ovvio il fatto che le regole dell'utilità marginale si applichino non soltanto al consumatore, ma indistintamente ad ogni e quaJsiasi soggetto' ecpnomico. Nessuna meraviglia, quindi, che i keynesiani di oggi siano caduti nella trappola. Come unica argomentazione da contrapporre al ragionamento monetarista, essi hanno osservato che una caduta dei prezzi metterebbe le imprese in difficoltà, in quanto accrescerebbe il peso dei debiti monetari contratti in precedenza; argomentazione debole, alla quale i monetaristi rispondono agevolmente, osservando che difficoltà simili si superano mediante una indicizzazione generale dei debiti monetari. I keynesiani sono stati quindi coSalone de/l'aeronauticadi Le Bourget Equipaggiamento militare strelli a ripiegare sull'argomento principe dell'incertezza, che, come è noto, può indurre nel funzionamento dei mercati le deformazioni più mostruose. L'argomento dell'incertezza e della scarsa trasparenza dei mercati è un argomento di rilevanza teorica limitata, ma di peso pratico fondamentale. I monetaristi infalli, per tenerne conto, sono stati a loro volta costrelli ad elaborare l'intera «teoria delle aspellative razionali», nel tentativo di dimostrare che un sogge110 razionale, il quale sappia raccogliere informazioni correlle nel mercato e sappia anche utilizzarle a dovere, è in grado di prevedere l'andamento dei prezzi e dl vincere l'opacità dei mercati e l'incertezza che domina il futuro. È proprio intorno alla teoria delle aspellative razionali che oggi il diba11ito è più acceso. Keynesiani e monetaristi sono dunque apparentemente fermi su posizioni opposte. I keynesiani pongono l'accento sui difetti dell'economia di mercato e sostengono la necessità di un intervento pubblico riparatore, mentre i monetaristi sono pronti a segnalare i guasti prodo11i dall'intervento pubblico e raccomandano che il mercato venga lasciato a!ia sua razionalità spontanea, che ne costituisce sempre il timone migliore. Tu11avia. anche se sul terreno della politica economica e sulla valutazione dell'efficienza comparativa dell'intervento pubblico f dell'agire privato, i 1 loro giudizi !f1vergono, il fattq, stesso che ìl dibattito proceda con cosl cordiale inimicizia e senza che l'attenzione reciproca venga meno un solo istante, indica che le due scuole debbono avere un sottofondo comune. Infatti esse convergono nel rifiutare qualsiasi visione di classe della società e nel considerare il capitalismo come costituito da individui che agiscono su un piano di parità, tutti dotati del medesimo potere, che è soltanto quello di accedere al mercato, contrattare e scegliere, fra le soluzioni accessibili, quella più 0 conveniente: visione questa che è Equipaggiamentoper la guida A vista di missili filoguidati proprio della scuola tradizionale neoclassica. Sraffa e i neoriairdillni All'infuori dei grandi raggruppamenti dei keynesiani e dei monetaristi, rimane un terzo arcipelago, quello degli «econom1s11 neoricardiani». Finora, costoro hanno sdegnosamente rifiutato di lasciarsi collegare ad altre correnti ed hanno anzi ostentato un certo disprezzo verso ogni altra tendenza teorica. Essi hanno lasciato intravvedere una possibilità di accomodamento parziale con la dottrina di Keynes, ma, da parte dei keynesiani, le loro cortesi anche se limitate aperture, sono state ricambiate con bordate di fuoco. Chi voglia averne un saggio gustoso, può leggere l'intervista concessa da Frank Hahn a Politica ed economia nel maggio scorso. Rispello alle correnti dominanti. la scuola neoricardiana resta quindi sostanzialmente isolata. I neoricardiani fondano il loro pensiero sull'opera di Piero Sraffa. Considerato in sé e per sé, il famoso libro di Sraffa, Produzione di merci a mezzo di merci, pubblicato nel 1960, affronta un problema estremamente circoscritto: analizzare la determinazione dei rapporti di scambio fra merci in ·un'economia avente una struttura produttiva rigidamente predeterminata e che ammetta invece una flessibilità nella distribuzione del reddito fra salari e profili i. Quali possano essere i rapporli fra questa analisi ed i grandi temi della macroeconomia, è difficile dire. 'ei limiti in cui è lecito fare illazioni, si potrebbe presumere che Sraffa, uomo di sinistra, amico di Antonio Gramsci, critico mordace della politica bancaria del fascismo e per ciò esule in Gran Bretagna, sia più incline a vedere il mondo dell'economia come basato sul potere e sul conflillo che non sull'eguaglianza e l'armonia. Inoltre, la sua familiarità con Keynes, protrallasi per un ventennio, fino alla morte del maestro, lascia pensare che qualche influsso reciproco possa es ervi stato. Ma, su questi temi, S.raffa non si è espresso all'epoca in cui i suoi lavori venivano pubblicati, ed è improbabile che il grande vegliardo lo faccia adesso. Dovendo procedere per indizi, più che le tracce biografiche è consigliabile valutare quelle analitiche. Il modello iniziale di Sraffa considera un sistema economico nel quale la quantità prodotta di ogni singola merce viene considerata come una grandezza data, quasi si trattasse di un elemento esterno ai meccanismi ed ai problemi dell'economia strellamente intesa. Al tempo stesso, il suo modello non analizza i meccanismi che reggono la distribuzione del reddito tra salari e profitti, ma si limita ad indagare le conseguenze che il variare della distribuzione esercita sul sistema dei prezzi relativi. Queste caratteristiche fanno sl che, per quanto ciò possa apparire paradossale, il modello di Sraffa si collochi assai prossimo, nella visione generale, a quello di Keynes. Anche Keynes considerava produzione e distribuzione al di fuori delle contrattazioni di mercato e, come abbiamo detto, la caratteristica innovativa del suo argomentare, consisteva nell'affidare ai meccanismi del potere proprio quello che la teoria tradizionale allribuiva al potere del mercato. Qui tuttavia ogni riflessione deve arrestarsi. I processi indiziari, oggi tanto io voga nella scienza come nei tribunali, sono pur sempre fragili. Per di più, i seguaci di Sraffa si sono impegnati esclusivamente nell'approfondimento analitico del tema posto dal maestro, senza affrontare esplicitamente il problema dei collegamenti con altre scuole o tendenze. Uno dei pochi tentativi di desumere, dagli scritti dei neoricardiani, una visione generale del processo economico, è quello effettuato da Nero Salvadori nel bel libro su Esperimenti intelletwali ed economia po/irica. In modo diretto, i neoricardiani hanno parlato molto poco. Se provocati, come ~ accaduto di recente ad opera di Frani< Hahn, essi si sono limitati a rib.ldirc che il loro modo di affrontare la teoria dei prezzi è l'unico corretto; ma cosa essi pensino del resto del mondo, essi non lo hanno rivelato. Quando, dopo l'anno duemila, si scriverà la storia della rivoluzione keynesiana e di ciò che ad essa segui, si dovrà riconoscere che, mentre imonetaristi si dichiaravano estranei all'ottica keynesiana,mentre i keynesiani, pur difendendo il maestro, gli riconoscevano gravi errori e finivano con il collocarsi su un terreno diverso, mentre i neoricardiani tacevano corrucciati, il messaggio di Keynes era andato totalmente smarrito.

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