Keynes,monet1risteisraffiani R. Dombusch e S. Fischer Ma.croeconomia Bologna, Il Mulino, 1981 pp. 740, lire 30.000 T.J. Sargent Macroeconomie Tbeory New York, Academic Press, 1979 F.H. Hahn cil mestiere dell'economista come lo vedo io», in Politica ed economia, maggio 1981 F.H. Hahn e Teoria economica o storia del pensiero economico», ivi, settembre 1981 L. Spaventa e Una svolta ad U nella teoria economica». Lezione tenuta all'Università di Roma il 20 novembre 1981 N. Salvadori Esperimenti intellettuali ed economia politica Milano, Franco Angeli, 1981 N on vi è corso di teoria economica, al di qua o al di là dell'Atlantico, che non riconosca come fondamentale l'insegnamento di John Maynard Keynes. Ma, al di là degli omaggi verbali e del rispetto terminologico, forse non ve ne è uno solo che riproduca con fedeltà la sostanza del suo pensiero. Si potrebbe pensare (e molti lo ee!1sanoLc~e chiedersi oggi, a quasi mezzo secolo di distanza dalla Jfubblicazione della Teoria generale dell'occupazione, quale fosse la vera teoria economica di Keynes, rappresenti una mera pignoleria filologica. E lo sarebbe, se Keynes fosse stato un pensatore qualsiasi e non il portatore di una visione del capitalismo, non soltanto precisa in sé ma anche radicalmente diversa dall'ortodossia allora dominante. Rintracciare le fila del pensiero keynesiano avrà certamente il sapore dello scavo archeologico; ma rappresenta al tempo stesso uno scavo all'interno delle idee di oggi, nel tentativo di ritrovare una parte di noi stessi, forse dormiente, forse narcotizzata, ma, c'è da augurarselo, ancora vitale. L'idea del potere in Keynes La visione del meccanismo economico che Keynes si trovava dinanzi, praticata da colleghi eminenti, insegnata dalle cattedre dell'intero mondo accademico, era quella di un capitalismo formato da una miriade di operatori individuali (imprenditori, lavoratori, consumatori, risparmiatori) iquali, intrecciando una rete fittissima di contrattazioni singolari, determinavano inconsapevolmente l'assetto economico della produzione, della occupazione, e del consumo. Per spiegare il funzionamento dell'economia, il metodo individualista non aveva bisogno di ricorrere ad alcun concetto di classe, concetto che restava ai margini della teoria economica ufficiale. In un meccanismo del genere, veniva ammessa la presenza di ogni sorta di attriti, perché si sa bene che nessun congegno è perfetto; ma, e questo era il punto centrale, il meccanismo stesso escludeva la possibilità che un soggetto, un gruppo, una classe sociale, esercitasse alcuna forma di potere su altri soggetti, o che le decisioni di alcuni avessero un peso maggiore di quelle di altri nel determinare l'assetto economico generale. Se potere vi era, questo andava ricondotto alla presenza di :~~az~o!1~ ~'?n~~-is_~~{~~n~p<!I! ~ naturali, accordi, cartelli, consorzi). Ma, rispetto all'ideale del capitalismo puro, si trattava di deformazioni che una società autenticamente democratica avrebbe dovuto e potuto combattere e dissolvere. Keynes, invece, senza essere né socialista né marxista, aveva netta l'idea del potere. Nel sistema capitalistico, il potere di cui godono gli imprenditori è quello di decidere e porre in essere l'attività produttiva, fissare quali nierche la lotta di classe fosse un equivoco da superare. I suoi capitalisti a volte (come nel Trattato sulla moneta, del 1930) seguono con baldanza la stella del profitto, altre volte (come nella Teoria generale, del 1936) vagano disorientati fra le nebbie dell'incertezza. Ma, quale che sia il criterio che regge le loro decisioni, è certo che i capitalisti di Keynes non sono mercanti isolati, immersi nella moltitudine che popola il mercato, Caccia inglese Jaguar con le varie combinazioni dei suoi carichi bellici ci, con quale tecnologia, in quale ammontare, vengono prodotte, quanti lavoratori trovano occupazione e quanti restano disoccupati, quanto gli occupati percepiranno sotto forma di salario reale, quale ammontare di beni potranno consumare. L'idea del potere esercitato dai capitalisti-imprenditori è fermamente radicata nel pensiero di Keynes e ricorre con regolarità in tutte le sue opere. Appare forse mutevole il modo in cui egli tratta un problema ulteriore, e precisamente quello dei criteri con cui i capitalisti amministrano il potere di cui dispongono. Su questo punto, il pensiero di Keynes, anche perché sospinto da eventi storici diversi, non appare pienamente cristallizzato. Keynes non era marxista ((forse non aveva nemmeno letto /1 Capitale direttamente e si era accontentato di un riassunto, scritto da un certo McCracken), e quindi non pensava che la storia dell'umanità fosse retta dalla lotta di classe; anzi pensava bensl soggetti dotati di potere. L'idea del potere che Keynes accolse era un'idea dissidente, ma non era certamente un'idea nuova. Chi volesse rintracciare la storia, si troverebbe a ripercorrere a ritroso l'intero cammino del pensiero umano. Allorché Keynes prese a svilupparla, egli non stentò a trovare alleati fra gli studiosi suoi contemporanei dell'Europa continentale: Schumpeter, che dikggiava l'idea del consumatore sovrano, Georg Knapp, con la sua famosa teoria statalista della moneta, Albert Hahn con il suo mito del banchiere sovrano. Quali che fossero i precedenti e le concordanze, fatto si è che, fra il 1920 ed il 1930, Keynes, ormai quarantacinquenne, procedendo sotto braccio con il suo amico e collega di poco più giovane Dennis Robertson, accantonò l'idea del mercato come insieme di azioni individuali coordinate da una mano invisibile e sviluppò una teoria del capitalismo basata sull'idea delle classi e del potere. Militare dell'artiglieria alpina duranre le esercitazioni Nato in Cadore B1bl1otecag1nob1anco Questa teoria trovò posto sia nel Trattato sulla Moneta che nella Teoria generale dell'occupazion~. Essa assunse, nelle due opere, aspetti analitici diversi, perché nello scrivere la prima opera Keynes era dominato dal problema delle oscillazioni cicliche e delle fluttuazioni dei prezzi, mentre nello scrivere la seconda, egli aveva in mente la disoccupazione che dilagava in tutti i paesi industrializzati. Ma, al di là di questi adattamenti dovuti all'oggetto concreto dell'analisi, l'idea centrale rimase immutata. In sintesi, l'idea che Keynes propose del meccanismo capitalistico è la seguente. Gli imprenditori decidono il volume di produzione complessivo: per la produzione di beni strumentali, essi seguono linee autonomè, basate sulle prospettive di profitto e sulla situazione dei mercati finanziari; per la produzione di beni di consumo (e qui seguiamo la versione della Teoria generale) essi si uniformano alla domanda del mercato. Ma, poiché la domanda di consumi è una frazione stabile del reddito guadagnato, e l'unica componente davvero autonoma sono gli investimenti, si può dire che siano proprio le decisioni di investimento a determinare il volume globale di produzione. Con questo, anche il livello di occupazione, (e quindi la disoccupazione) e di conseguenza la produttività marginale del lavoro ed il salario reale vengono ad essere univocamente deterMilitare americano in esercitazione minati. Le decisioni indipendenti degli imprenditori in merito al volume degli investimenti determinano dunque tutto: produzione, occupazione e distribuzione del reddito. Di fronte alla situazione fissata dalle scelte degli imprenditori, cosa possono i lavoratori per modificarla? Pressoché nulla. Se le scelte degli imprenditori creano disoccupazione, i lavoratori potrebbero accettare una riduzione dei salari, nella speranza di veder crescere la domanda di lavoro. Questo è infatti il rimedio contro la disoccupazione che la teoria tradizionale suggeriva. Ma, nello schema di Keynes, la caduta dei salari risulta inefficace. Infatti, anche se invogliati dalla caduta dei salari, gli imprenditori assumessero nuovi lavoratori e producessero un ammontare più elevato di merci, essi non riuscirebbero a venderle, dal momento che la domanda globale non crescerebbe di altrettanto (infatti la domanda di consumi crescerebbe meno della produzione mentre la domanda di investimenti resterebbe immutata). Si determinerebbe dunque un eccesso di offerta che a sua volta provocherebbe una caduta dei prezzi. A questo punto, essendo caduti sia i salari che i prezzi, il salario reale tornerebbe al livello primitivo, e le concessioni dei lavoratori, oltre che improduttive sul terreno dell'occupazione, risulterebbero anche vanificate nei fatti. Keyncs concludeva quindi che, non soltanto una caduta del salario non accresce l'occupazione, ma addirittura che non è nel potere dei sindacati di attuare una riduzione del salario reale. In un'economia capitalistica, egli osservava, tutto quello che i sindacati possono contrattare è il salario monetario, e cioè la quantità di moneta corrisposta ai lavoratori. Il salario reale è tutt'altra cosa. Esso dipende non soltanto dal salario monetario, ma anche dal livello dei prezzi; e il livello dei prezzi è una grandezza che sfugge inesorabilmente al potere di contrattazione del sindacato. Se i sindacati, cosl come la teoria tradizionale immaginava, potessero davvero contrattare il salario reale, e cioè la quantità effettiva di merci che gli imprenditori consegnano ai lavoratori, si verificherebbero due circostanze ché contrastano con la realtà dei fatti. Da un lato, gli imprenditori, contrattando il salario reale, concorderebbero anche il volume e la composizione del prodotto nazionale, e perderebbero quella autonomia nella sfera della produzione che invece Keynes-_ riteneva fermamente che essi avessero; dall'altro, una contrattazione basata sul salario reale implicherebbe un patto di scambiare un dato ammontare di lavoro contro un dato ammontare di merci, il che darebbe al capitalismo la natura di un'economia di baratto, mentre, come Keynes non si stancava di riaffermare, carattere preminente del capitalismo è quello di essere un'economia monetaria, un'economia cioè nella quale le contrattazioni vengono effettuate esclusivamente in moneta. A ben vedere, è proprio sulla natura di economia monetaria che i capitalisti-imprenditori fondano il proprio potere di decisione. Infatti, in un'economia monetaria, soltanto chi dispone di moneta può accedere al mercato ed acquisire merci o comprare forza lavoro, e, nel sistema capitalistico,so/tanto gli imprenditori (oltre che il settore pubblico) possono contare su una disponibilità originaria di moneta, in quanto le loro spese vengono finanziate dal credito bancario. I lavoratori- -c,msumak>ri -invece - Ele-vono
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