Alfabeta - anno III - n. 31 - dicembre 1981

\..-- PaoloValesio 00 " .s ~ "- 00 °' ..... ~ ,<) l ..... .., .; ~ ,<) La vita-in-morte Her lips were·red, herlooks were free, Her locks were yellow as gold: Her skin was as white as leprosy, The Nightmare Death-in-Life was she, Who thicks man's blood with cold. (Coleridge) O Death in Life, the days that are no more. (Tennyson) 1 Riposando il rasoio di sicurezza sull'orlo del lavandino, in piedi nudo nell'acquario del bagno in una mattinata grassa, si chiede: «E se mi tagliassi il cazzo?» Ecco, è proprio un'idea da sbudellarsi; sbudellarsi dal ridere, pensando alla lamella affondata tra i peli che appena scalfirebbe la radice inturgidita dopo il sonno, dopo i sogni. Eppure: un rasoio a lama fissa affilato tanto da abbagliare reciderebbe, tagliando nel grosso, quel ramoscello corallifero con un colpo netto e solo. Ed allora lo coglie la paura, la nausea ulcerosa, e s'afferra allo stomaco come per reprimere il vomito che non sporchi le màuonelle illuminate pigramente al/raverso le assicelle degli scuri. ~ .~aurice Henry, «Quello..~e vorr~i~_1933 2 «Let's get out of here»: frase a un certo momento inevitabile, il prezza da pagare per potere parlare; dice: non c'è bisogno dell'inglese ché si può bene italianare: 'Usciamo di qui'. Ma non serve a far l'amore in italiano; per noi è come un grido di terrore come «Fatemi uscire, uscireee!» o «Al fuoco!» Invece per poter far l'amore americano: dopo essere stati dolci dolci a par/ollare fluo tenendosi per mano (e tulio, intorno, è bruma o è brusìo) il sangue di lei vuole averla vinta, è come una sferzata - tulio il suo viso il suo sguardo - è una sferzata a lui, come lo scal/o roco del respiro uscendo a mezzo il busto dall'acqua troppo tepida di una piscina dal soffi110troppo basso, con l'acqua sgorgante che sgorgora gorgogliando insieme con il fiato. «Let's get.out of here»: se lo dicesse lui, sarebbe sempre cosa un poco mielata, pecorile. Ma se lo dice lei il tempo accelera: via i gomiti dal tavolino, indietro la seggiola, a passo di corsa dava/I/i alla cassa, lei davanti come un'amazzane, dentro. il tassì - c'è tu/la la cillà da a/Iraversare per giungere dal piano-bar al /e110. Dentro il tassì • /e bocche si schiacciano come pesci contro il vetro, i due si toccano goffamente, le vesti pungono come carta vetrata. Le frasi si pronunziano da sole marciano come giovani soldati, fischiellando nel buio: «Ma non ti preoccupare: abbiamo tu/la «la noi/e dava/I/i a noi». - neo 3 «Ma cos'i, piangi? Ancora?» chiede lei nel buio come parlando, del materasso posato per terra, alle stecche di bambù che filtrano il lucore dell'alba delle nove che spiomba giù nel cortile vasto e cieco, dunque muto nel velllre della ciuà. La prima volta s'era intenerira; ma adesso (le donne non perdonano chi piange) il 10110è quello della materna impazienza ironica; 110,neppure; quando chiede: «Ma cos'è, piangi?» è come se chiedesse: «Ehi ehi ehi ce l'hai? «Se ce l'hai forza, dài! «Forza dài, fammelo vedere!». Non le piace affa110,questo piagnucolìo di lui cane affe11uoso che pensa alla sua famigliuola. «Oh basta però «che non vi mettiate a piangere», aveva dello quella volta l'amica alta e sbrigativa a loro due vicini ali'automobile che l'avevano invitata a prendere un bicchiere insieme prima di una temporanea separazione. Non voleva scene, insomma; e in cambio, pagò da bere a tu/I'e due. Ma qualche perlutcia angosciata sfuggì egualmente me/I/re si abbracciavano come due pezzi degli scacchi (lui tu/lo in bianco chi sa perché, lei in nero), si abbracciavano in stile di stazione: cioè streui stre11ie lui la solleva un poco . e la gira la prilla. E dietro loro due un po' brilli, avvitati si distingue il muro del bar, dove mano ignota ha graffiato parole: «Reagan ha dichiarato guerra al mondo, «ma il mio problema resta Maddalena». 4 « Vieni e prendimi: ha proprio deuo così, al telefono; non « Vienimi a prendere», non «Passami a prendere». Un punto è tuuo: in questa miserevole villoria egli conosce anche la sua sconfina. Non era una frase scorrevole ben lubrificata, un'allusione lùbrica in cui lei celebrasse un suo potere, linfa d'arroganza. Era invece la frase della resa, di creatura ferita e rassegnata. Venire e prendere significa colpire, accoppare una persona già stordita in cosa; non venire, non prendere vuol dire succhiare le/1/amente dalla ferita piccò/a già aperta fino a che tutto il sangue gema fuori. E111rambi gesti - egualmente abbielli. Quella notte di dopofesta quando lui s'impuntò, prese a gridare, voleva andarsene s'era già rinfilato la giacca, lei si appoggiò sull'orlo della porta pallida come carta per puntellarsi mentre gli chiedeva, lo sguardo al pavimento, «Su, non andartene». Era una supplica fatta con odio; dir così era il suo dissanguarsi, ma dicendolo lei sapeva bene di scagliargli un bastone tra le gambe, lui per il resto della sua esistenza avrebbe continuato ad inciampare nel bastone invisibile. L'unica realtà, l'unico modo in cui si tocca la vita è il movimento rallentato, quello che tanti credono avvenga soltanto nei sogni o sull'altro schermo, quello di tela nelle sale buie. Cioè da quella sera in avanti lui ogni volta s'illude di prender la realtà dentro il suo passo; fa un bel passo deciso, poi un altro tulio va bene spalle ere/le incontro al ma11ino poi improvvisamente inciampa in qualche cosa d'invisibile cade anzi peggio - più giù, più grouesco - quasi stramazza a capo in giù una gamba in su, sgraziato poi si raddrizza penosamente all'ultimo istante si guarda dietro, guarda tra le gambe: nulla. Allora torna indietro cuit--------- rigira tutta la scena al rallentatore; e ancora niente. È la vendei/a di lei che lo persegue. Lei ha fatto il calcolo suicidario: «lo forse m'ammazzo carogna, ma tu «per questo gesto mio perdi «dieci anni almeno di vira «che ti succhio via col mio sangue.» E del resto l'aveva preavvisato: « La prossima volta, sarà - «chiunque sw la tua interlocutrice - «solo la tua specchiera, la tua altra, «solo uno speuro».

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